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L'Anief l'ha scritto grande e grosso sul suo sito: ci sono otto buoni motivi per fare ricorso contro il concorsone della scuola che prenderà il via il 17 dicembre. Il Tar finora gli ha dato ragione su due motivi, il secondo si è appena saputo ed è il divieto previsto dal ministero di partecipare per i docenti abilitati anche se di ruolo nella scuola.

Si veniva, insomma, a creare secondo il ricorso dell'Anief una situazione di evidente discriminazione: tutti i dipendenti pubblici possono partecipare tranne chi è un docente già abilitato. E il Tar Lazio ha dato ragione ai legali Ganci e Miceli dell'Anief che in un ricorso patrocinato dall'associazione per una ricorrente che intendeva cambiare classe concorsuale e ordine dalla scuola media a quella superiore aveva fatto ricorso contro il procedimento di esclusione dopo aver inviato una domanda cartacea a causa della procedura telematica predisposta dall'amministrazione.

"E' la seconda vittoria dopo l'ammissione dei laureati negli ultimi dieci anni che il ministero aveva escluso. Il concorso e' nato sotto una cattiva stella e fa acqua da tutte le parti", commenta Marcello Pacifico, presidente dell'Anief.

La prossima sfida riguarda la soglia del test per passare alle prove successive: 35 punti su 50 per i candidati che si siederanno tra il 17 e il 18 dicembre, da 30 a 34 per il sindacato Anief che ricorda come il legislatore abbia fissato in punti 6 su 10 il punteggio minimo per accedere alla fase successiva.

Fonte: La Stampa

 

In attesa dell’approvazione del regolamento per il rinnovo delle Rsu nelle scuole dimensionate, l’Aran fornisce i dati della tornata elettorale dello scorso marzo e degli iscritti: l’organizzazione di Pantaleo fa il pieno di consensi alle urne, ma quella di Scrima comanda saldamente per numero di deleghe. Stesso esito per Snals e Uil. E tra le organizzazioni minori: l’Anief prende meno voti, ma vanta più iscritti dell’Unicobas. Riprendono intanto le "scaramucce".

A meno di un anno dall’ultima tornata di elezioni delle rappresentanze dei lavoratori della scuola, nelle prossime settimane una bella fetta degli istituti pubblici (quelle dimensionate) sarà chiamata ad un altro rinnovo delle Rsu. L’ipotesi di accordo su cui Aran e sindacati hanno lavorato e definito una bozza definitiva, come già comunicato su questo sito internet, sta ora seguendo l’iter di verifiche e pareri da parte della Funzione Pubblica e del Mef (poi sarà la volta della Corte dei Conti).

“Tale Ipotesi – ha commentato l’Aran - consente di adeguare la normativa vigente alla particolare situazione determinatasi nel settore della Scuola a seguito dei processi di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, nell’ottica di rispettare il principio dell’unicità della RSU e, al tempo stesso, garantire la stabilità della stessa”.

In attesa del ritorno alle urne d’istituto da parte di decine di migliaia di lavoratori della scuola, l’Aran ha reso pubblici i conteggi riguardanti l’esito delle elezioni svolte nella prima decade di marzo 2012. E, per la prima volta contemporaneamente, ha anche reso noto il numero di deleghe, che rappresentano le iscrizioni dei lavoratori agli stessi sindacati.

Il quadro che ne è uscito fuori va a costituire quello che sempre l’Aran definisce “l’accertamento della rappresentatività sindacale per il triennio 2013-2015”. Andando ad esaminare il comparto Scuola, diciamo subito che gli equilibri rimangono sostanzialmente immutati. La Flc-Cgil, come già rilevato, primeggia per numero di voti: oltre 257mila lavoratori l’hanno indicata come l’organizzazione più indicata a cui affidare la difesa dei propri diritti professionali all’interno dell’istituto dove operano. Segue la Cisl Scuola, con circa 191mila preferenze.

Un po’ curiosamente, il sindacato di Francesco Scrima, però, si rifà ampiamente quando si vanno ad esaminare le deleghe: se la Flc-Cgil si ferma a 128mila tessere, la Cisl Scuola tiene saldamente il comando di questo versante con oltre 154mila sostenitori.

Lo stesso genere di alternanza si registra anche per altri due sindacati più rappresentativi. Se, infatti, la Uil Scuola è riuscita a superare lo Snals-Confsal per numero di votanti Rsu (119mila contro 115mila), anche in questo caso la quantità di deleghe è invertita: l’organizzazione guidata da Marco Paoli Nigi sfiora, infatti, i 100mila iscritti (99.405), mentre quella con a capo Massimo Di Menna si ferma a poco più di 72mila.

Il quinto e ultimo sindacato che si siede al tavolo delle trattative con il Miur rimane la Gilda degli Insegnanti, che in occasione del rinnovo delle Rsu del 5, 6 e 7 marzo scorsi ha riscosso quasi 50mila voti. La stessa quantità che viene registrata per le deleghe.

Il fenomeno delle deleghe non proporzionali alle preferenze uscite dall’urna si registra anche tra le organizzazioni minori. I Cobas, ad esempio, con 15.664 voti si confermano (pur perdendo terreno) la prima rappresentanza di lavoratori che non manda i proprio sindacalisti a trattare con il Miur. Ma se poi si va a vedere il numero di iscrizioni al sindacato, si scopre che la sesta posizione è ad appannaggio dell’Anief: l’organizzazione gestita da Marcello Pacifico, infatti, evidentemente grazie alle vertenze vinte nei tribunali, a soli quattro anni dalla nascita si ritrova già 8.623 iscritti (a fronte di quasi 10mila voti Rsu). Mentre i Cobas si devono accontentare di 6.533 deleghe.

Stesso discorso per Cisal Scuola e Unicobas Scuola: il sindacato di d’Errico ha incassato, sempre in occasione del rinnovo delle rappresentanze d’inizio marzo, 4.168 voti; il numero di deleghe, però, non raggiunge le 2mila unità. Mentre la Cisal ha sì preso appena 2.616 voti, ma le tessere sono di più (3.899).

Tra le reazioni dei diretti interessati che si sono susseguite in questi ultimi giorni, c’è quella particolarmente positiva espressa dal segretario generale della Uil Scuola: “I numeri parlano chiaro – commenta il sindacalista - l’azione sindacale non solo non è in crisi ma le persone scelgono il modello di sindacato che sentono più vicino. Tra il 2007 e il 2011 per numero di nuovi iscritti, la Uil Scuola risulta al primo posto passando da 65.165 a 72.127 con + 6.962. Con consensi sempre crescenti stiamo affrontando con determinazione e chiarezza l’attuale complessa fase che richiede un forte impegno per la qualità della scuola pubblica”.

Ad essere entusiasta è anche Marcello Pacifico (Anief), secondo cui i dati riportati dall’Aran rappresentano un segnale “importante se si pensa che finalmente, dopo venti anni, nella scuola si comincia a percepire un'alternativa ai sindacati tradizionali di potere o di base. La scelta di non connotare ideologicamente il nuovo sindacato, ma di orientarlo alla tutela dei diritti attraverso il sapiente ricorso alla magistratura, - conclude Pacifico - oggi risulta non soltanto apprezzata dai colleghi ma vincente in un momento in cui la contrattazione è bloccata”.

Decisamente polemico, con riferimenti impliciti agli altri sindacati, è il commento della Flc-Cgil: “ la sindacalizzazione fra i lavoratori della conoscenza – scrive l’organizzazione guidata da Mimmo Pantaleo - è cresciuta ma non per tutti. Perdono iscritti, e anche sensibilmente, quelle organizzazioni che per questo vantavano il primato”. La Flc-Cgil sostiene poi che gli ultimi accadimenti faranno pendere ancora più la bilancia a proprio favore: “la recente vicenda dello sciopero e della manifestazione del 24, prima proclamati e poi sospesi o revocati per il solo fatto di essere stati ammessi a sedere al tavolo con tre ministri e un sottosegretario, - scrive sempre l’organizzazione di via Leopoldo Serra - ha suscitato la reazione di migliaia di lavoratori che sono scesi in piazza con la Flc Cgil, che ci hanno mandato messaggi di sostegno e solidarietà, che hanno deciso di lasciare tessere ormai senza valore”.

Di avviso opposto la Cisl Scuola, che non manca l’occasione di rispondere per le rime. “Sono ancora una volta i numeri, alla fine, a restituire il giusto senso delle proporzioni, facendo giustizia delle parole in libertà con cui, approfittando della generosa ospitalità di una rivista on line, qualcuno si è autonominato vincitore delle elezioni, con arditezze di calcolo e di ragionamento che lasciano strabiliati. Non avremmo altro da aggiungere, perché le tabelle diffuse dall’Aran parlano da sole. La Cisl Scuola conferma un saldo primato nel numero degli iscritti, incrementando sia pur di poco la percentuale di consensi elettorali, in una tornata di rinnovo delle Rsu – conclude il sindacato di Scrima - nella quale erano in tanti ad attendersi (e ad augurarsi) un suo tracollo”.

Insomma, altro che tregua per combattere assieme il tentativo del Governo di imporre le 24 ore settimanali d’insegnamento e blocco degli scatti automatici in busta paga: la nuova stagione elettorale per il rinnovo di migliaia di Rsu nelle scuole dimensionate è già entrata nel vivo.

Fonte: Tecnica della Scuola

 

Nella scuola nessun corporativismo, ma una richiesta all’unisono: cambiare il modo di gestire la res publica.

Invece di inviare accuse irreali alla scuola, il Governo dei tecnici potrebbe lasciare un segno indelebile destinandogli i soldi delle accise sui carburanti o delle tasse turistiche. Ed in generale, rilanciando l’enorme patrimonio culturale dell’Italia. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, non può continuare a dichiarare pubblicamente che la scuola è protetta dal corporativismo e che è pronto ad “ascoltare le istanze del mondo della scuola a patto che siano fatte in maniera costruttiva e senza strumentalizzazioni”.

L’Anief risponde a Monti dicendo che nella scuola non esiste alcun corporativismo, ma una sola voce che chiede un profondo cambiamento nel modo di gestire la res publica, la cosa pubblica. Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, l’attuale capo del Governo “non dovrebbe dimenticare che è stato un docente anche lui. E anche per questo, l'essere considerato un esperto, è stato chiamato alla guida del Paese. Il problema è che le riforme da lui proposte hanno avuto il solo merito di essere state approvate con maggiore celerità dal Parlamento, senza alcun compromesso, e tuttavia rimangono ancorate alla vecchia filosofia dei tagli lineari e alla pericolosa deriva autoritaria della compressione di diritti inalienabili. Creati dalle democrazie moderne per tutelare il lavoro, la famiglia e la felicità esistenziale”.

Il sindacato non può rimanere inerme di fronte a questa cronica mancanza di sensibilità. Che da diversi anni sta sfiorando l’autolesionismo: come si può definire, del resto, l’azione degli ultimi Governi, che pur cambiando “pelle” continuano a voler risanare l'amministrazione vendendo i suoi servizi e i suoi preziosi beni immateriali? E soprattutto a licenziare i suoi professionisti dell’insegnamento?

“Monti dovrebbe sapere – continua Pacifico - che da Platone in poi ai maestri è stato sempre affidato il compito del cambiamento e del buon governo attraverso l'esercizio della giustizia, che non può che essere in primo luogo sociale. Se veramente tenesse alle sorti dell’Italia, il presidente del Consiglio dovrebbe fare di tutto per aumentare almeno di un punto percentuale di Pil l'investimento sul settore dell'istruzione, dell'università e della ricerca”.

Non è vero che è impossibile raggiungere questo obiettivo prioritario, che allineerebbe l’Italia ai Paesi più avanzati dell’Ue e agli Stati Uniti: per il presidente Pacifico, “basterebbe prelevare i soldi dalle accise sui carburanti o dalle tasse turistiche. E più in generale, adottare un serio piano di riconversione della produzione economica-industriale intorno all’enorme patrimonio culturale dell’Italia. Che va valorizzato e non svenduto”.

Anief è convinta che “il prestigio goduto dal presidente Monti in Europa non può essere speso esclusivamente per tutelare interessi economici consolidati. Ma deve poter esser utile al cambiamento, verso un umanesimo che il mondo ci invidia e che ci ha riconosciuto nel recente nobel per la pace. Non vi è pace senza giustizia, e non vi è una società giusta senza cultura”, conclude Pacifico.

Fonte: AgenParl

 

"Il presidente del Consiglio, Mario Monti, non può continuare a dichiarare pubblicamente che la scuola è protetta dal corporativismo e che è pronto ad 'ascoltare le istanze del mondo della scuola a patto che siano fatte in maniera costruttiva e senza strumentalizzazioni'. L'Anief risponde a Monti dicendo che nella scuola non esiste alcun corporativismo, ma una sola voce che chiede un profondo cambiamento nel modo di gestire la res publica, la cosa pubblica". È quanto si legge in una nota del sindacato.

Secondo il presidente dell'Anief, Marcello Pacifico, l'attuale capo del Governo "non dovrebbe dimenticare che è stato un docente anche lui. E anche per questo, l'essere considerato un esperto, è stato chiamato alla guida del Paese. Il problema è che le riforme da lui proposte hanno avuto il solo merito di essere state approvate con maggiore celerità dal Parlamento, senza alcun compromesso, e tuttavia, rimangono ancorate alla vecchia filosofia dei tagli lineari e alla pericolosa deriva autoritaria della compressione di diritti inalienabili. Creati dalle democrazie moderne per tutelare il lavoro, la famiglia e la felicità esistenziale".

"Il sindacato non può rimanere inerme a questa cronica mancanza di sensibilità - prosegue l'Anief -. Che da diversi anni sta sfiorando l'autolesionismo: come si può definire, del resto, l'azione degli ultimi Governi, che pur cambiando 'pelle' continuano a voler risanare l'amministrazione vendendo i suoi servizi e i suoi preziosi beni immateriali? E soprattutto a licenziare i suoi professionisti dell'insegnamento?".

"Monti dovrebbe sapere - continua Pacifico - che da Platone in poi ai maestri è stato sempre affidato il compito del cambiamento e del buon governo attraverso l'esercizio della giustizia, che non può che essere in primo luogo sociale. Se veramente tenesse alle sorti dell'Italia, il presidente del Consiglio dovrebbe fare di tutto per aumentare almeno di un punto percentuale di Pil l'investimento sul settore dell'istruzione, dell'università e della ricerca".

"Non è vero che e' impossibile raggiungere questo obiettivo prioritario, che allineerebbe l'Italia ai Paesi più avanzati dell'Ue e agli Stati Uniti - per il presidente Pacifico - basterebbe prelevare i soldi dalle accise sui carburanti o dalle tasse turistiche. E più in generale, adottare un serio piano di riconversione della produzione economica-industriale intorno all'enorme patrimonio culturale dell'Italia. Che va valorizzato e non svenduto".

Anief è convinta che "il prestigio goduto dal presidente Monti in Europa non può essere speso esclusivamente per tutelare interessi economici consolidati. Ma deve poter esser utile al cambiamento, verso un umanesimo che il mondo ci invidia e che ci ha riconosciuto nel recente nobel per la pace. Non vi è pace senza giustizia, e non vi è una società giusta senza cultura", conclude Pacifico.

Fonte: Italpress

 

Mentre il presidente brasiliano, Dilma Rousseffche, destina al sistema d’istruzione, con il record di abbandoni precoci, “il 100% delle royalties dei nuovi contratti”, nel nostro Paese siamo fermi alle proposte. Come quella di Carlo De Benedetti di un paio di giorni fa: i soldi delle armi e missioni di pace investiamoli per sviluppare le “teste” dei cittadini. Pacifico (Anief-Confedir): finalmente un segnale contro la politica miope dei tagli. Ma il Governo che dice?

È possibile che l’Italia debba prendere lezioni sul rilancio dell’istruzione pubblica anche da Paesi del Sud America, dove il livello culturale medio e il numero di bambini che vanno a scuola non è nemmeno paragonabile a quello della nostra Penisola? Eppure è possibile.

Basta andare a leggere i lanci delle agenzie di stampa del 1° dicembre per averne la riprova. Il protagonista è il presidente del Brasile, Dilma Rousseffche, che ha comunicato l’approvazione di un decreto di cui si parlerà a lungo: i proventi delle nuove concessioni petrolifere del Brasile andranno tutti a finanziare la scuola.

Non ci sono trucchi o inganni: il decreto, approvato da Dilma, riporta proprio che "il 100% delle royalties dei nuovi contratti" sarà devoluto al sostegno dell'istruzione.

Per capire la portata del provvedimento basta andare a leggere le cronache dei quotidiani. Nel 2011, ha scritto El Pais, le entrate garantite dalle concessioni petrolifere sono stati pari a 13.000 milioni di real (circa 4.600 milioni di euro), che potrebbero aumentare a fronte del via libera concesso dal governo per l'esplorazione di nuovi giacimenti. Il ministro dell'Istruzione, Aloizio Mercandante, ha sottolineato il valore storico della decisione del governo: "non c'è futuro migliore per il paese – ha detto il responsabile dell’istruzione brasiliana - che investire nell'istruzione".

Per il ministro, "solo l'istruzione renderà il Brasile un Paese veramente sviluppato, dal momento che l'istruzione è il fondamento di ogni futuro sviluppo economico". Nonostante la sua forza economica, infatti, il Brasile continua a rimanere nel fanalino di coda per la qualità dell'istruzione: il 40% degli studenti che iniziano gli studi superiori, li abbandona prima di completarli.

Il Parlamento brasiliano aveva approvato il 6 novembre scorso questo progetto di legge piuttosto controverso, perchè prevede un'equa distribuzione dei proventi tra tutti i 27 Stati del Paese, produttori o meno di petrolio. La norma aveva quindi ottenuto il via libera del Senato e non rimaneva che la decisione del Presidente. La legge porta dal 30 al 20 per cento le royalties per il governo federale e dal 26 al 20 per cento quelle per gli Stati produttori; gli Stati non produttori le vedranno invece aumentare dal 7 al 21 per cento entro il 2013 e fino al 27% nel 2020.

Fin qui la cronaca di quello che è stato deciso in Brasile. E in Italia cosa si fa? Il copione è sempre lo stesso: nella migliore delle ipotesi si mantiene l’assetto originario. Spesso, però sempre più spesso, la tendenza è quella di tagliare. Dal numero degli insegnanti alla quantità dei fondi destinati agli istituti, dalla quantità delle classi a quella delle sedi dove si fa lezione.

È di pochi giorni fa la proposta di Carlo De Benedetti di convogliare sull’istruzione le copiose spese che il Paese sostiene per gli apparati militari e le missioni di pace: per il famoso industriale, conosciuto in tutto il mondo, una nazione che intende migliorarsi ha deve puntare sulla “testa” dei suoi cittadini. “Se investissimo nel sapere evidentemente costruiremmo il nostro futuro”, ha spiegato De Benedetti.

Le sue parole, tuttavia, non sembrano aver mosso troppe coscienze. Quando si parla di scuola, purtroppo, funziona così: è come se si parlasse di un tema astratto.

Qualche reazione, comunque, c’è stata. Come quella di Marcello Pacifico, che parlando a nome di Anief e Confedir ha giudicato la proposta convincente. Se non altro perchè ha “il merito di aprire il dibattito nell'opinione pubblica sulla necessità di trovare a tutti i costi una fonte da cui attingere risorse per rilanciare l'istruzione e la ricerca nel nostro Paese”.

“L’auspicio di Carlo De Benedetti – ha continuato Pacifico - rappresenta finalmente un segnale opposto alla politica miope dei tagli di risorse e di finanziamenti che in questi ultimi dieci anni ci ha sempre più allontanato dalla crescita globale”.

“Lo hanno capito in Germania e negli Stati Uniti, dove gli investimenti per l’istruzione non si toccano, anzi si incrementano. In Italia, invece, le ultime proposte calate dell’alto mirano ancora una volta a produrre risparmi nella scuola. Come quella dell'aumento delle ore d’insegnamento settimanali dei docenti italiani in servizio nella scuola media e superiore: un’idea balzana del Governo, saggiamente cancellata in Parlamento, che sarebbe stata funzionale solo al risparmio di altri milioni di euro da sottrarre – ha concluso amaramente il sindacalista Anief-Confedir - all'istruzione dei nostri giovani”.

Fonte: Tecnica della Scuola

 

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XXIV2012

 

 

 

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Ricorso contro il blocco quinquennale della mobilità per il personale docente neo immesso in ruolo 

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