Riceviamo da Patrizia e pubblichiamo.
Oggi è il 6 aprile: è passato un anno. E’ passato già un anno. E’ passato solo un anno. Dipende.
Questa mattina ricevo una telefonata: “scriveresti qualcosa sulla scuola a L’Aquila?”. Questa notte qui a L’Aquila ci siamo riuniti nella nostra piazza e alle 3.32 abbiamo ascoltato in silenzio i 308 rintocchi per chi di noi quella notte non si è più risvegliato: tra loro insegnanti che non sarebbero più tornati in cattedra, bambini e ragazzi che non sarebbero più tornati tra i banchi. Un anno fa, di questa giornata, io ero una tra i più fortunati: stavo davanti casa mia e non sapevo cosa fare. Casa mia, solo un po’ malconcia, era in piedi, mi aveva protetto e mi aveva fatta uscire viva. Non sapevo cosa fare, ma potevo chiedermelo e avevo un futuro da organizzare. Sarei tornata a vivere a casa mia dopo otto mesi. Solo otto: poco male, c’è chi rientrerà tra anni e anni, c’è chi rientrerà in una casa diversa perché la sua è da abbattere o è crollata. Avrei terminato la SSIS da sfollata viaggiando da una stanza d’albergo: poco male, avevo comunque fatto la pendolare per due anni e la mia non era una situazione poi tanto diversa da quella degli studenti fuori sede. Avrei cominciato a lavorare a scuola, la mia prima supplenza, da sfollata viaggiando da una stanza d’albergo: poco male, è normale che i precari viaggino, anche molti docenti di ruolo viaggiano, solo 60 km di distanza rispetto ai 100 e passa di chi è sfollato sulla costa. Ironia della sorte, la supplenza è in un liceo della mia città, esule in patria, ma tant’è: ho avuto l’onore e l’onere di cominciare proprio da qui, proprio ora, un battesimo di fuoco.
Non ho fatto in tempo ad entrare in classe, la mia prima classe, che… “Buongiorno Professoressa, lo sa che durante questa sua ora abbiamo la prova di evacuazione antisismica?” e i ragazzi mi hanno spiegato cosa avremmo dovuto fare… Ben arrivata, Professoressa: in un rapporto di insegnamento/apprendimento anche l’insegnante impara continuamente dai propri alunni. L’anno precedente, da tirocinante e molto prima del terremoto, mi era capitato di partecipare ad una prova di evacuazione: faceva parte di un progetto sulla sicurezza nelle scuole. L’anno successivo, cioè questo, la scuola non avrebbe ripetuto il progetto, perché già sapeva che non avrebbe ricevuto abbastanza fondi per via dei tagli. Molti che non l’hanno vissuto probabilmente pensano che essere svegliati nel cuore della notte da un sisma di 6.3 Richter sia un’esperienza orribile. Sì, lo è: ne sono testimone e ve lo confermo. Ma noi, visto che questo doveva essere il nostro destino, abbiamo ringraziato il cielo che sia successo di notte. Poco male: se fosse successo la mattina di un giorno feriale… se non ci fossero state scosse di avvertimento… Molte scuole dell’Aquila si trovavano in Centro Storico, in palazzi antichi, e in Italia, si sa, non c’è la cultura della prevenzione e dell’adeguamento antisismico del nostro patrimonio architettonico, non ci sono soldi, bisogna tagliare le spese. Il liceo dove insegno non faceva eccezione: era diviso tra due sedi, due palazzi storici gravemente danneggiati dal sisma. Se fosse successo di mattina, se non ci fossero state scosse di avvertimento forse non avrei potuto conoscere qualcuno dei cinquantadue ragazzi dei miei due secondi, e/o qualche collega, e/o qualche bidello. Ogni scuola in Centro Storico sarebbe stata una “elementare di San Giuliano”, i morti si sarebbero contati con cifre a quattro numeri e sarebbero state usate tutte quelle migliaia di bare e sacchi di plastica che - così narra una leggenda metropolitana – erano stati preparati per noi (evidentemente per le bare e i sacchi i soldi c’erano).
Quest’anno il liceo è stato trasferito in un edificio periferico di recente costruzione (anni ’80-’90) classificato B (danni lievi senza alcun cedimento strutturale, inagibile fino al completamento dei lavori di ripristino). Quest’estate l’edificio è stato ristrutturato e il 5 di ottobre sono cominciate le lezioni. Poco male: avrebbe potuto toccarci un MUSP, mentre così viviamo tutti una situazione di normalità, almeno in orario scolastico. Gli edifici aquilani sembrano essere stati valutati da insegnanti americani: si va da A ad E. Un edificio classificato A è promosso a pieni voti: durante il sisma ha fatto il suo dovere, non solo ha salvato chi lo abita, ma è anche rimasto intatto. E poi giù fino all’edificio classificato E: gravi carenze alle strutture portanti. Se oggi il MIUR ragiona in termini di cifre, gli aquilani ragionano in termini di lettere e sigle. Ci si rincontra dopo tanto e…: “Ciao, come stai?”, “Bene, ho la casa A!”, “Eh, così così: sono C…”, “Zitto, per carità, c’ho ‘na E…”. Il governo ci ha dato i MAP (Moduli Abitativi Provvisori: vale a dire casette prefabbricate di legno) e le CASE (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili: vale a dire i miniappartamenti in simil-condomini costruiti su piastre antisisismiche). Bisogna dire che alle scuole è stata data la priorità assoluta: a parte le brave scuole classificate A, quelle promosse con la sufficienza sono state subito riparate in estate. Alle altre è stato assegnato o un altro edificio promosso con la sufficienza o un MUSP (Modulo ad Uso Scolastico Provvisorio: vale a dire una scuola prefabbricata). Ma così come Cristo si è fermato ad Eboli, per la Scuola (come anche per le CASE: ma questa sarebbe un’altra lunga storia…) il governo si è fermato alle ristrutturazioni e ai MUSP, a ciò che è esteriore, insomma. Le aule ce le abbiamo, grazie (se proprio in Italia bisogna ringraziare anche per ciò che lo Stato dovrebbe fare per dovere…), e dentro? E dentro c’è la solita Scuola che deve stringere i denti un po’ più del normale, ovvero “tantissimo”, visto che in Italia la Scuola, normalmente, deve stringere “tanto” i denti.
Cosa c’è nel mio liceo? Ci sono insegnanti che insegnano e alunni che imparano. Molti viaggiano ogni giorno da dove sono sfollati, ma nessuno se ne lamenta: tutti qui sappiamo che esserci è una fortuna, e chi soffre per qualche disagio stringe i denti e cerca di fare il suo dovere come meglio può. Ci sono insegnanti e studenti che vivono nelle CASE, dotate di moderni televisori LCD, ma senza spazio per i libri. Ci sono insegnanti ed alunni che la domenica mattina si ritrovano in Centro Storico tra quegli aquilani che, faticosamente, stanno cercando di ricostruire la loro agorà togliendo un po’ di macerie dalle piazze con i secchi che, affettuosamente, qui chiamiamo “callarelle”; ed è bello vedere i ragazzi che portano una carriola, anche se a scuola ti fanno arrabbiare perché non vogliono imparare a coniugare bene un verbo latino. Ci sono i consigli, i collegi docenti, i corsi di recupero. Ci sono classi che da aprile non avevano studiato e un anno scolastico cominciato in ritardo, con tutte le conseguenze e i problemi derivanti. Ci sono prime classi folli perché l’anno scorso è mancato l’orientamento. Ci sono i docenti amareggiati per una riforma delle superiori fatta in fretta e furia all’insegna dei tagli. Ci siamo noi precari che l’anno prossimo chissà. C’è qualche termosifone che non si scalda, ma non è per il terremoto: è per qualche tubatura scioperata. C’è qualche serranda che non funziona, ma non è per il terremoto: è per qualche avvolgibile fannullone. Se ci fossero i fondi per poter riparare tutto, bene, subito… La biblioteca ancora non si riesce a rimetterla su, ma ci salveranno senz’altro le due LIM (questa sigla tocca a tutti).
La Scuola a L’Aquila, in fondo, è come la Scuola in tutta Italia: deve andare avanti, nonostante tutto ciò che conta, o dovrebbe veramente contare, cada a pezzi per via di una politica scellerata. Con una sola differenza: da noi, che tutto cada a pezzi, è un po’ più evidente e un po’ meno metaforico.