Le ferie non godute dai docenti precari vanno pagate, anche a distanza di tempo. Lo ha ribadito il Tribunale ordinario di Firenze, sezione Lavoro, che ha risarcito con oltre 2.500 euro una docente che per tre anni, tra il 2017 e il 2020, ha sottoscritto delle supplenze annuali vedendosi negato il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie/festività non godute. Dopo avere fatto ricorso contro l’operato del Ministero, l’insegnante a tempo determinato si è visto riconoscere l’indennità sostitutiva, a cui vanno aggiunti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria prevista dall’Istat.
I docenti supplenti svolgono il medesimo lavoro dei colleghi di ruolo, con gli stessi doveri e responsabilità, ma i diritti non sono uguali. Perché continuano a ricevere uno stipendio con 164 euro in meno al mese: sono i soldi della retribuzione professionale docenti prevista dall’articolo 7 del CCNL del 15.03.2001, ma che l’amministrazione non si comprende in base a quale criterio assegna solo a chi ha stipulato un contratto a tempo indeterminato. Sulla quota, sempre più giudici continuano ad esprimersi, reputandola estromessa in modo illegittimo: anche a Modena, dove il Tribunale ordinario, sezione Lavoro, ha condannato il ministero dell’Istruzione ad assegnare oltre 2mila euro, più “interessi legali o, se maggiore, rivalutazione monetaria”, ad una maestra che ha stipulato “ripetuti contratti d’insegnamento a tempo determinato”. E non ha nulla a che vedere con il recupero della somma non assegnata il fatto che la docente abbia svolto insegnamento di sostegno senza la specializzazione.
Perché lo Stato continua a negare “voci” stipendiali dalla busta paga dei docenti precari? A chiederlo all’amministrazione, senza ricevere risposta, è da oltre dieci anni l’Anief. Lo stesso sindacato che, laddove gli insegnanti chiedono con convinzione la salvaguardia dei loro diritti, si rivolge al giudice. Il quale, una volta appurata la cattiva condotta della parte pubblica, non può fare altro che condannarla e risarcire i docenti che hanno presentato ricorso. È andata in questo modo anche ad una maestra di scuola primaria, che si è rivolta al tribunale di Modena dopo essersi accorta di avere sottoscritto cinque anni di contratti a tempo determinato, con lo stipendio però privato ogni mese di 164 euro per la sottrazione indebita, come a tutti i docenti precari, della Retribuzione professionale docenti. Il fatto che fosse priva di specializzazione su sostegno non ha influito sul recupero dei soldi sottratti. Facendo riferimento alla Cassazione italiana e alla Direttiva 1999/70/CE, il giudice ha condannato il Ministero ad un corposo risarcimento della docente, pari ad oltre 5.500 euro, più la rivalutazione monetaria, essendo trascorsi otto anni dalla prima supplenza stipulata, oltre “il pagamento delle spese di lite, liquidate in € 118,50 per esborsi ed € 2.100,00 per compensi, oltre rimb. forf., IVA e CPA, da distrarsi ex art. 93 c.p.c.”.
L’amministrazione scolastica continua ad inanellare condanne per la mancata assunzione del personale precario con oltre tre anni, anche non continuativi, di servizio svolti: l’ultima sentenza è stata emessa dalla sezione Lavoro del Tribunale di Modena, che ha accolto il ricorso di una docente di religione cattolica della scuola primaria, precaria per 10 anni, assegnando alla stessa maestra un risarcimento pari a ben dieci mensilità stipendiali, che corrispondono a un mese per ogni anno di precariato, più gli interessi legali, per un somma complessiva che si aggira sui 15mila euro.
“Siamo soddisfatti – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché questa sentenza conferma la coerenza del nostro operato, anche in sede giudiziaria. Continuare ad ignorare le norme che confliggono con l’abuso dei contratti a termine, anche in presenza del record di posti vacanti e delle supplenze da conferire, a settembre saranno 250mila, significa non volere adeguarsi alla realtà. Ancora di più perché in questo modo l’amministrazione si accanisce contro gli stessi docenti, uno ogni quattro, che ogni mattina permettono alle nostre scuole di assolvere al meglio ad uno dei servizi essenziali e più delicato che lo Stato è chiamato ad assolvere: la formazione dei giovani”.
L’assunzione automatica a tempo indeterminato dopo 36 mesi di servizio non è facoltativa, ma va adottata in tutti i Paesi membri dell’Unione europea: chi non si adegua è giusto che riconosca almeno una somma risarcitoria. Anche il Tribunale di Torino, sezione Lavoro, non può esimersi dal condannare “l’ingiustificata reiterazione dei contratti a termine” del personale scolastico, che cozza in modo inequivocabile “con il diritto dell’Unione Europea”, a partire dalla “direttiva 1999/70/CE”. E il danno va colmato anche se l’assunzione in ruolo è avvenuta con “il superamento di una procedura concorsuale selettiva”: è un fatto “irrilevante ai fini della decisione, non essendo idoneo a sanare l’abuso” della mancata immissione in ruolo che doveva avvenire prima. La stessa insegnante, infatti, ha svolto cinque anni di supplenze su posto vacante: nella sentenza, dunque, è stato condannato il Ministero dell’Istruzione all’assegnazione, nei confronti della docente che ha presentato ricorso, di una somma pari a due mensilità e mezzo di stipendio, che corrisponde a circa 4mila euro, più 2mila euro di spese.