A poco più di un mese all’inizio della scuola, delle già poche immissioni in ruolo annunciate al Parlamento si sono perse le tracce. È inspiegabile, perché i posti liberi sono oltre 73mila e i vincitori del concorso a cattedre devono essere collocati al più presto. Se non si farà in fretta ci ritroveremo con l’ennesimo inizio di anno scolastico all’insegna del caos.
A poco più di un mese all’inizio della scuola rimangono in alto mare le 15mila immissioni in ruolo annunciate da tempo in Parlamento dal Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza: anche se rimangono un’offesa alla categoria, perché rappresentano solo il 20% dei posti da chiedere, queste assunzioni permetterebbero di alleviare una parte dei problemi legati alla mancanza di continuità didattica di cui soffre il nostro sistema scolastico.
A quanto risulta al sindacato, per procedere all’assunzione dei nuovi docenti, manca ancora il decreto autorizzatorio del Ministero dell’Economia e delle Finanze: si tratta di un passaggio indispensabile, per ottenere il quale il ministro Carrozza farebbe bene a predisporre adeguate pressioni nei confronti dei colleghi di Governo ed in particolare del Mef.
Considerando che vi sono ancora i margini di tempo necessari, Anief invita anche il Ministro dell’Istruzione ad inviare al Mef un’estensione delle immissioni in ruolo. Perché se è vero, come il sindacato ha denunciato alcuni giorni fa, che in diverse province (soprattutto al Sud) per i vincitori del concorso a cattedra non ci saranno posti disponibili – per colpa delle degli errori di calcolo e di programmazione, del dimensionamento, delle riforme Gelmini e Fornero che hanno ridotto cattedre, tempo scuola e turn over -, è altrettanto vero che una parte delle cattedre considerate al 30 giugno vanno in realtà trattate come libere. E quindi utili per le assunzioni.
I vincitori, infatti, non possono essere lasciati al loro destino, dopo aver dimostrato - attraverso una prova preliminare, tre scritti, due colloqui orali e, in alcuni casi, anche una verifica pratica – di meritare di fare gli insegnanti nella scuola pubblica italiana. E chiedono di rendere esecutivo un loro diritto: in Friuli, Liguria, Molise, Piemonte e Puglia sono state pubblicate le graduatorie provvisorie. In Valle d’Aosta, a Trento e Bolzano, già quelle definitive. Inoltre, i posti vacanti dei docenti – che secondo la Flc-Cgil sarebbero solo 25mila – in realtà sono in questo momento circa 53mila: stiamo parlando di oltre 23mila tra curricolari e sostegno, più altri 30mila solo di sostegno che il Ministro ha detto di voler trasformare da posti in deroga in unità da aggiungere all’organico di diritto.
Un altro dato, non trascurabile, è che ci sono 20mila Ata da immettere in ruolo: i 5.336 approvati lo scorso anno, ma mai assunti per via della ancora irrisolta questione dei docenti inidonei; i 3.000 posti chiesti dal Miur per il prossimo anno scolastico; gli 11.851 che l’amministrazione ha concordato di assorbire in cambio dei servizi assegnati dalle ditte di pulizia esternalizzate alla scuola.
“In effetti - dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – i posti su cui poter assumere potrebbero essere davvero molti di più. Ma occorre che il Miur decida di applicare quello che diversi tribunali del lavoro hanno stabilito, a proposito di particolari tipologie di posti liberi sino al 30 giugno: si tratta, in questi casi, di veri e propri posti liberi, quindi da considerare fino al 31 agosto. E quindi da annoverare tra quelli da dare al ruolo”.
Se entro la prossima settimana – quando verrà pubblicato l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, con lo scioglimento di migliaia di riserve - non dovesse essere presentato il piano dettagliato delle immissioni in ruolo da attuare in questa estate, ci ritroveremo con l’ennesimo avvio di un anno scolastico inficiato da un tourbillon di cambi continui di insegnanti, di cattedre scoperte, assegnate provvisoriamente e di docenti precari (visto che pure le supplenze annuali verrebbero assegnate con inspiegabile ritardo) che vagano per 8mila scuole. E, soprattutto, con otto milioni di alunni costretti, loro malgrado, a pagare sulla loro pelle le conseguenze di una cattiva gestione dell’istruzione pubblica.
“Sembra quasi di vivere – continua Pacifico - una situazione irreale: le commissioni delle regioni stanno emettendo i nominativi dei vincitori del concorso a cattedra, ma proprio per chi ha superato il concorso cresce, contemporaneamente, l’ansia perché si stanno rendendo conto di aver vinto una selezione che potrebbe incredibilmente non vederli assunti in ruolo. E rimanere per strada. Perché l’amministrazione - conclude il sindacalista Anief-Confedir - non intender nemmeno farli inserire nelle graduatorie ad esaurimento per accedere alle supplenze annuali”.
Effetto della sentenza della Corte Costituzionale che con l’ordinanza n. 207/13 ha rinviato alla Giustizia europea la questione sulla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno che l’Italia continua a perpetrare a docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari con almeno 36 mesi di servizio.
È ufficiale: l’assunzione di 200mila precari della scuola dipenderà dal volere dei giudici di Lussemburgo. Con ordinanza n. 207/13, la Corte Costituzionale ha infatti rinviato alla Corte di Giustizia europea la questione sulla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno per docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari precari della scuola con almeno 36 mesi di servizio.
La posizione della Consulta ribalta quella assunta esattamente un anno fa della Cassazione, che aveva gettato sui precari una doccia fredda sostenendo che la norma nazionale era chiara e che fosse quindi inutile rivolgersi alla Corte di Lussemburgo su possibili conflitti con la norma comunitaria: l’Italia, infatti, per non rispettare le indicazioni dell’Ue ha introdotto nella Legge 106/2011 una norma che aggira l’obbligo di assumere il personale precario anche se ha superato i tre anni di supplenze. Ora, però, la Consulta riapre le speranze e sposta la partita in Europa.
"La decisione dei giudici delle leggi è stata saggia - afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - considerato che un'altra ordinanza di remissione, promossa dal giudice del lavoro di Napoli nel gennaio scorso, è pendente alla Corte di giustizia europea. A tal proposito, c’è da ricordare che sono migliaia i ricorrenti che si sono rivolti all'Anief in questi anni per ottenere giustizia dai tribunali della Repubblica. Molti di essi hanno ottenuto in primo grado risarcimenti fino a 30.000 euro per la mancata stabilizzazione".
Il tutto mentre la nuova proposta di legge europea approvata in Senato continua a ignorare una procedura d'infrazione attivata dalla Commissione Ue contro l'Italia proprio sui precari della scuola, il cui testo rimane secretato persino ai parlamentari della Repubblica. "Speriamo - conclude il sindacalista Anief-Confedir - che giunga presto il momento di porre fine alla piaga del precariato e di stabilizzare finalmente tutti i supplenti sui posti vacanti e disponibili. Non di certo fermandosi ai soli 15mila proposti dal ministro Carrozza, peraltro ancora nemmeno sicuri. Oppure agli 11.542 che vinceranno il concorso a cattedra senza però che vi siano tutti i posti liberi".
Il testo dell'ordinanza n. 207/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori è...[] ha pronunciato la seguente ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), promossi dal Tribunale di Roma con due ordinanze del 2 maggio 2012 e dal Tribunale di Lamezia Terme con due ordinanze del 30 maggio 2012, rispettivamente iscritte ai
nn. 143, 144, 248 e 249 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 11, 21, 27, 33 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella;
udito l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Premesso che gli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione italiana, stabiliscono rispettivamente che «L’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»; e che «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; e che pertanto un sospettato contrasto tra legge nazionale e norma comunitaria si traduce in una questione di legittimità costituzionale rispetto ai parametri dell’art. 11 e dell’art. 117, primo comma, Cost., integrati e resi operativi dalla norma comunitaria pertinente.
Ritenuto che nel corso di controversie promosse da docenti di scuola secondaria di secondo grado e da unità di personale non docente nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, i Tribunali di Roma e Lamezia Terme, sezione lavoro, hanno sollevato – in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, nonché alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico);
che i predetti Tribunali rilevano che i ricorrenti, avendo svolto attività di docenti o di personale amministrativo scolastico in base a numerosi e ripetuti contratti a termine, hanno agito per sentir dichiarare l’illegittimità delle
clausole di apposizione del termine e per la conseguente condanna dell’amministrazione a convertire il loro contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, ovvero al risarcimento del danno;
che, sulla base di alcuni recenti interventi legislativi – fra i quali l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), convertito, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2009, n. 167, nonché l’art. 9 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modifiche, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – i contratti stipulati a tempo determinato con i docenti per la copertura di supplenze annuali possono convertirsi in contratti a tempo indeterminato soltanto con l’immissione in ruolo dei docenti stessi, come previsto, del resto, dalla disciplina generale del pubblico impiego;
che nell’ordinamento italiano il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), contenente la disciplina del contratto a tempo determinato, mira ad evitare che di tale contratto si faccia abuso, fissando nel periodo massimo di trentasei mesi il tempo nel quale un lavoratore può essere impiegato con successivi contratti a termine;
che detta disciplina deve ritenersi applicabile anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, senza tuttavia prevedere – in quest’ultimo caso – la conversione del contratto, ma soltanto il diritto al risarcimento del danno;
che, tuttavia, il reclutamento del personale scolastico è sottratto a tale disciplina, essendo regolato da un sistema di norme in base alle quali è lecito, anzi doveroso per le autorità scolastiche, al fine di coprire i posti vacanti, assumere un medesimo lavoratore, da un anno all’altro, con contratti a tempo determinato, anche ripetuti nel tempo;
che tale previsione, secondo i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, non sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione europea, in quanto l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 28 giugno 1999 sul lavoro a tempo determinato stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme
idonee a prevenire e a sanzionare l’abuso costituito dalla successione nel tempo di tali tipi di contratto;
che la legislazione italiana, per il settore scolastico, non contiene né una durata massima dei contratti di lavoro a tempo determinato, né l’indicazione del numero massimo di rinnovi possibili;
che, in base all’art. 4 della legge n. 124 del 1999, possono essere stipulati, tra l’amministrazione e i docenti, diverse tipologie di contratti a tempo determinato:
supplenze annuali su organico “di diritto”, riguardanti posti disponibili e vacanti, cioè privi di titolare, con scadenza al termine dell’anno scolastico (31 agosto);
supplenze temporanee su organico “di fatto”, relative a posti non vacanti ma comunque disponibili, con scadenza al termine delle attività didattiche (30 giugno);
e, infine, supplenze temporanee, ossia brevi, per le ipotesi residuali, destinate a durare fino alla cessazione delle esigenze per le quali sono state disposte;
che, secondo le ordinanze di rinvio a questa Corte, l’unica ragione che può sostenere tale sistema sarebbe costituita dalla necessità di risparmio delle risorse pubbliche, obiettivo che, per quanto rilevante, non potrebbe costituire quella “finalità di politica sociale” il cui perseguimento giustifica – secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (in seguito anche Corte di giustizia) – l’utilizzo di successivi contratti di lavoro a tempo determinato;
che i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, ritenendo non esserci nella specie dubbi interpretativi sulla pertinente normativa comunitaria tali da richiedere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ne rilevano un sicuro contrasto con la norma nazionale censurata;
che il rilevato contrasto non sarebbe risolubile dal giudice comune con la non applicazione della normativa interna incompatibile con quella comunitaria; a tal fine, infatti, sarebbe necessario che la conferente disposizione della direttiva fosse direttamente efficace, dunque incondizionata e sufficientemente precisa, mentre, nella specie, la Corte di giustizia ha affermato che la clausola 5, punto 1, del citato accordo quadro non è incondizionata né sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale (sentenza 15 aprile
2008, in causa C-268/06, Impact, nonché sentenza 23 aprile 2009, in causa C-378/380/07, Angelidaki);
che secondo i giudici rimettenti non sarebbe neppure possibile l’interpretazione conforme della norma impugnata, sì che essi non avrebbero avuto altra possibilità se non quella di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., integrato dalla conferente disposizione della direttiva;
che i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme hanno, quindi, sollevato, davanti a questa Corte, questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., integrato dalla pertinente norma comunitaria, della censurata disposizione «nella parte in cui consente la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo, così da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall’indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un certo numero di rinnovi»;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata;
che, per l’Avvocatura dello Stato, non sarebbe fondata l’argomentazione, contenuta nelle ordinanze di rimessione, secondo la quale l’assunzione di personale scolastico con contratti a tempo determinato sarebbe dovuta soltanto a finalità di carattere economico;
che, invece, secondo l’Avvocatura dello Stato, il reclutamento di tale personale riposa su una indiscutibile rilevante finalità, quella di garantire il diritto all’istruzione; con la conseguenza che l’assunzione di personale con contratto a
tempo indeterminato sull’intero numero di posti del cosiddetto organico di diritto non sarebbe un’ipotesi praticabile, non potendosi sapere con certezza se la popolazione scolastica manterrà in futuro sempre la medesima consistenza;
che siffatta ipotesi sarebbe in contrasto anche con l’art. 97 Cost. (il quale afferma, tra l’altro, il principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione), potendo dare luogo ad un indiscriminato aumento delle piante
organiche, ancor più grave in un momento come quello attuale nel quale sussistono innegabili e gravi necessità di risparmio di denaro pubblico; tanto più che la medesima clausola 5, già menzionata, lascia agli Stati membri un’ampia libertà di azione e di scelta degli strumenti finalizzati ad evitare gli abusi nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
Considerato che, quanto alla competenza di questa Corte a valutare la conformità di una normativa nazionale al diritto dell’Unione europea, occorre ricordare che, conformemente ai principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978, in causa C-106/77 (Simmenthal), e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, segnatamente con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital), qualora si tratti di disposizione del diritto dell’Unione europea direttamente efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando – se del caso – il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all’applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale; mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia diretta – contrasto accertato eventualmente ediante ricorso alla Corte di giustizia – e nell’impossibilità di risolvere il
contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012);
che la Corte di giustizia ha ritenuto la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro priva di efficacia diretta (sentenza 15 aprile 2008, in causa C-268/06, Impact, punti 71, 78 e 79; sentenza 23 aprile 2009, in causa C-378/380/07, Angelidaki, punto 196), dovendosi tra l’altro valutare la sussistenza di eventuali «ragioni obiettive» ai sensi della direttiva, che possano giustificare lo scostamento dell’ordinamento nazionale dai principi da essa stabiliti;
che non è possibile risolvere il quesito in via interpretativa, secondo quanto correttamente prospettato dai giudici rimettenti, i quali non potevano infatti superare in tal modo l’ipotizzato contrasto tra le norme interne e quelle della
direttiva;
che, infatti, in base alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato), allo scopo di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri sono tenuti – in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi – ad introdurre una o più misure attuative, tranne che non vi siano ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo di tali contratti, ovvero ad introdurre norme che indichino la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi o il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti;
che la Corte di giustizia ha rilevato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (sentenze 8 settembre 2011, in causa C-177/10, Rosado Santana; 7 settembre 2006, in causa C-53/04, Marrosu e Sardino; 4 luglio 2006, in causa C-212/04, Adeneler);
che, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro; e che, viceversa, l’esigenza temporanea di personale sostitutivo, prevista da una normativa nazionale, può, in linea di principio, costituire una ragione obiettiva ai sensi di detta clausola (sentenza 26 gennaio 2012, in causa C-586/10, Kucuk, punti 30-31);
che, in relazione all’attuazione di tale direttiva nell’ordinamento italiano, occorre ricordare che:
1) il pubblico concorso costituisce il metodo necessario e inderogabile anche per l’assunzione di personale scolastico, docente e non docente, in base all’articolo 97, terzo comma, della Costituzione, il quale dispone che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso;
2) la direttiva ha avuto attuazione con il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES);
3) l’art. 36, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), dispone che, in ogni caso, «la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative»;
4) tale norma è stata ritenuta da questa Corte rispettosa degli artt. 3 e 97 Cost. (sentenza n. 89 del 2003); e la Corte di giustizia ha affermato che la medesima non è in contrasto con la clausola 5 dell’accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato, quando siano previste, «nel settore interessato, altre misure effettive per evitare, ed eventualmente sanzionare, il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato stipulati in successione» (ordinanza 1° ottobre 2010, in causa C-3/10, Affatato, punto 51);
5) per il personale della scuola, l’art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, di attuazione della direttiva che qui interessa, esclude che le disposizioni del decreto, che prevedono per il pubblico impiego il risarcimento del danno in caso di abusiva reiterazione dei contratti a termine, si applichino in relazione ai contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale scolastico docente e ATA (amministrativo, tecnico ed ausiliario), dato che la necessità di procedere, per le supplenze nell’ambito del settore scolastico, alla
stipula di contratti a tempo determinato, anche ripetuti nel tempo, risponde ad esigenze peculiari ed insopprimibili di quel settore;
6) a questo scopo, l’art. 70, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone che, per il reclutamento del personale della scuola, sono fatte salve le procedure di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), le quali disciplinano la formazione del rapporto con il personale scolastico;
7) in particolare, gli artt. 399 e 551 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabiliscono che l’accesso ai ruoli del personale docente ed amministrativo avviene per il 50 per cento dei posti tramite concorso e per il 50 per cento tramite le graduatorie permanenti, nelle quali è inserito il personale assunto a tempo determinato e abilitato all’insegnamento;
8) l’art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999 – oggetto della questione di legittimità costituzionale rimessa a questa Corte – disciplina il conferimento delle supplenze per la copertura dei posti vacanti dei docenti e del personale ATA; in particolare, il comma 1 dispone che alla copertura «delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni
organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo»;
9) l’art. 1 del decreto del Ministero della pubblica istruzione 13 giugno 2007, n. 131, stabilisce che gli incarichi dei docenti e del personale amministrativo della scuola sono di tre tipi:
– supplenze annuali, su posti vacanti e disponibili, in quanto privi di titolare;
– supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, su posti non vacanti, ma ugualmente disponibili;
– supplenze temporanee per ogni altra necessità, ossia supplenze brevi;
che l’attribuzione dei tre tipi previsti di supplenza è resa necessaria, nell’ordinamento nazionale, dagli artt. 33 e 34 della Costituzione, che affermano il diritto fondamentale allo studio, il quale impone allo Stato l’organizzazione del
servizio in modo da poterlo adattare anche ai costanti cambiamenti numerici della popolazione scolastica, per cui l’art. 4 della legge n. 124 del 1999 – sottoposto all’esame di questa Corte – risponde a tale necessità;
che non si potrebbe stabilire che all’attribuzione di tutte le supplenze annuali (su posti vacanti e disponibili) si provveda con i contratti a tempo indeterminato, perché in questo modo la Pubblica Amministrazione si esporrebbe alla concreta possibilità di avere un numero di docenti superiori al necessario, ipotesi, quest’ultima, da evitare in linea generale e, in particolare, nel periodo attuale nel quale sussistono gravi necessità di contenimento della spesa pubblica, anche in base ad impegni derivanti da vincoli posti dall’Unione europea;
che, infatti, in caso di successiva diminuzione della popolazione scolastica, la copertura di tutte le cattedre effettivamente vacanti potrebbe determinare esuberi del personale docente;
che si tratta di un servizio attivabile a domanda, in quanto il diritto allo studio, previsto dalla Costituzione, crea la condizione per cui lo Stato non può rifiutarsi di erogare il servizio stesso, con la conseguenza che la domanda di istruzione attiva automaticamente l’erogazione del servizio;
che il sistema scolastico italiano presenta esigenze di flessibilità fisiologicamente ineliminabili, riconducibili a diversi fattori, alcuni indipendenti dalle scelte di governo, tra i quali: mutamenti continui della popolazione
scolastica; attribuzione delle cattedre, in larga percentuale, ad insegnanti donne, specie per i cicli di formazione primaria, che esigono forme di tutela quanto ai congedi di maternità; fenomeni di immigrazione (allo stato attuale, circa quattro milioni di immigrati, che vanno doverosamente inclusi nel sistema scolastico);
flussi migratori interni da regione a regione; scelta di indirizzi scolastici da parte delle famiglie; trasferimenti di personale docente di ruolo; presenza di sedi disagiate e assegnazioni provvisorie, soprattutto nelle isole e zone di montagna; a questi si aggiungono ulteriori fattori di flessibilità riconducibili a scelte di governo, tra i quali: frequenti accorpamenti di istituti; diverse modalità di programmazione delle classi; unificazione di indirizzi scolastici;
che, pertanto, deve riconoscersi come nell’ordinamento italiano sia indispensabile utilizzare un numero significativo di docenti e di personale amministrativo scolastico assunti con contratti a tempo determinato, proprio per garantire la costante presenza degli stessi in numero sufficiente a coprire le necessità di tutte le scuole statali;
che il sistema delle graduatorie permanenti del personale a tempo determinato, affiancato a quello del pubblico concorso, è in grado di garantire sia che l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato avvenga con criteri oggettivi – cioè senza abusi né disparità – sia di consentire a detto personale di avere una ragionevole probabilità, nel tempo, di diventare titolare di un posto di ruolo, con un contratto a tempo indeterminato;
che, inoltre, la normativa nazionale è strutturata, almeno in linea di principio, in modo tale che l’assunzione del personale scolastico con contratti a tempo determinato – pur non prevedendo la durata massima di tali contratti, né il numero dei rinnovi degli stessi – possa rispondere alle ragioni obiettive di cui alla clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE;
che in questo senso si è anche pronunciata la Corte di cassazione italiana, con la sentenza 20 giugno 2012, n. 10127;
che, nel periodo intercorrente tra il 1999 e il 2011, vi sono state assunzioni con contratti a tempo indeterminato in misura limitata, con l’eccezione del 2011, nel corso del quale si sono verificate circa 66.000 nuove immissioni in ruolo, a seguito dell’elevato numero di pensionamenti del personale;
che il ricorso a contratti a tempo determinato è in netta diminuzione, essendo questi ultimi passati, in numero complessivo tra personale docente e non docente, da 233.886 nel 2007 a 125.934 nel 2012;
che, peraltro, le procedure concorsuali hanno avuto un lungo periodo di interruzione, successivamente al concorso bandito nel 1999 – in corrispondenza con l’approvazione della legge n. 124 del 1999 – e che sono state riavviate con il concorso bandito nel 2012, sulla base del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 3 agosto 2011, e attualmente in corso di svolgimento, per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di 11.542 unità di personale docente, cui si aggiungono altrettante unità di personale assunte dalle graduatorie permanenti dei docenti a tempo determinato; ed è programmata l’assunzione di circa 5.300 unità di personale non docente;
che l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999 – oggetto del giudizio davanti a questa Corte – nella sua parte principale, non appare censurabile, in quanto regola la tipologia di supplenze – previsione necessaria per assicurare la copertura dei posti vacanti di anno in anno – non disponendo, di conseguenza, questa norma né il rinnovo dei contratti a tempo determinato prolungati nel tempo, né l’esclusione del diritto al risarcimento del danno;
che, peraltro, detta disposizione contiene, nella proposizione finale, la previsione per cui il conferimento delle supplenze annuali su posti effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre abbia luogo «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente non di ruolo»;
che la previsione sopra richiamata, contenuta nell’ultima proposizione del comma 1 dell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, potrebbe configurare la possibilità di un rinnovo dei contratti a tempo determinato senza che a detta possibilità si accompagni la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi;
che questa condizione – unitamente al fatto che non vi sono disposizioni che riconoscano, per i lavoratori della scuola, il diritto al risarcimento del danno in favore di chi è stato assoggettato ad un’indebita ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato – potrebbe porsi in conflitto con la citata clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE;
che, di conseguenza, pur avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie sentenze sull’argomento, appare necessario chiedere alla medesima Corte in via pregiudiziale l’interpretazione della clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE, in rapporto alla questione sottoposta a questa Corte per il giudizio di legittimità
costituzionale, poiché sussiste un dubbio circa la puntuale interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente compatibilità della normativa nazionale sin qui illustrata;
che – come si è già rilevato nell’ordinanza n. 103 del 2008 – quando davanti a questa Corte pende un giudizio di legittimità costituzionale per incompatibilità con le norme comunitarie, queste ultime, se prive di effetto diretto, rendono concretamente operativi i parametri di cui agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.;
che la questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel giudizio di legittimità costituzionale, poiché l’interpretazione richiesta a detta Corte appare necessaria a definire l’esatto significato della normativa comunitaria al fine del successivo giudizio di legittimità che questa Corte dovrà compiere rispetto al parametro costituzionale integrato dalla suddetta normativa comunitaria;
che questa Corte – nella citata ordinanza n. 103 del 2008 – ha sollevato una questione pregiudiziale di interpretazione in un giudizio in via principale;
che deve ritenersi che questa Corte abbia la natura di «giurisdizione nazionale» ai sensi dell’art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea anche nei giudizi in via incidentale.
Visti l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’art. 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dispone di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione della
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE:
– se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) – i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti «che risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre», dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo» – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del danno;
– se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella italiana che per l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede il diritto al risarcimento del danno;
2) sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddetta questione pregiudiziale;
3) ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013
Con ordinanza n. 207/13 la Corte costituzionale rimette ai giudici di Lussemburgo la questione sulla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno per i precari della scuola, nonostante una sentenza della Cassazione del luglio scorso. 200.000 precari aspettano di sapere se sono lavoratori di serie A o di serie B.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir, la decisione dei giudici delle leggi è stata saggia, considerato che un'altra ordinanza di remissione, promossa dal giudice del lavoro di Napoli nel gennaio scorso, è pendente alla Corte di giustizia europea. L'avvocato Galleano si è costituito in giudizio per un ricorrente dell'Anief che aveva ottenuto dal Tribunale di Trento la remissione alla Consulta della legge 124/99 e ora la stessa Corte rimette tutto nelle mani dei giudici europei, considerata la cospicua giurisprudenza in tema di divieto della reiterazione di contratti a termine.
Sono migliaia i ricorrenti che si sono rivolti all'Anief in questi anni per ottenere giustizia dai tribunali della Repubblica. Molti di essi hanno ottenuto in primo grado risarcimenti fino a 30.000 euro per la mancata stabilizzazione. La scorsa estate, la Cassazione aveva gettato su di loro una doccia fredda sostenendo che la norma nazionale era chiara e che fosse quindi inutile rivolgersi alla Corte di Lussemburgo su possibili conflitti con la norma comunitaria. Ma ora la Consulta riapre le speranze e sposta la partita in Europa come l'Anief-Confedir da mesi ripete, il tutto mentre la nuova proposta di legge europea approvata in Senato continua a ignorare una procedura d'infrazione attivata dalla Commissione UE contro l'Italia proprio sui precari della scuola, il cui testo rimane secretato persino ai parlamentari della Repubblica.
Speriamo che giunga presto il momento di porre fine alla piaga del precariato e di stabilizzare finalmente tutti i supplenti sui posti vacanti e disponibili. Altro che 15.000 posti proposti dal ministro Carrozza.
È un’indennità che spetta ai lavoratori che si trovino senza lavoro per licenziamento, termine del contratto o per sospensione del lavoro.
Non spetta ai lavoratori che si dimettano volontariamente, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, variazioni peggiorative delle mansioni ecc.).
Per ottenerla bisogna essere assicurati all’Inps da almeno due anni e avere almeno 52 contributi settimanali per la disoccupazione nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro.
DURATA E INDENNITA’
La durata dell’indennità di disoccupazione è di 8 mesi per i lavoratori fino a 49 anni e 12 per coloro che hanno superato i cinquanta anni di età.
L’importo è calcolato in base alla retribuzione percepita nei tre mesi precedenti la cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti di un importo massimo mensile lordo, stabilito per legge.
La percentuale di indennizzo è pari al 60% della media delle ultime tre mensilità per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e l’ottavo mese e al 40% per i mesi successivi fino al dodicesimo per i lavoratori ultra cinquantenni.
ITER
La prima cosa da fare per avviare la pratica di disoccupazione è rivolgersi al Centro per l’Impiego della propria città e reiscriversi nella lista dei disoccupati dando quindi la disponibilità immediata ad un altro eventuale lavoro.
Succesivamente ci si può rivolgere ad un patronato ACLI con cui l’ANIEF, convenzionato per la compilazione del modello DS21.
Questo modello comunque è allegato alla presente guida.
La domanda corredata del modello MV10 per le detrazioni (vedi allegati) va presentata all’INPS di residenza entro 68 giorni dalla data del licenziamento.
La prestazione inizia a decorrere:
dall’8° giorno dal licenziamento se la domanda è stata presentata entro i primi 7 giorni;
dal 5° giorno successivo alla presentazione della domanda negli altri casi.
Dal 4 marzo 2010 è possibile inoltrare telematicamente la domanda all’INPS, tramite l’apposita procedura predisposta sul sito dell’INPS, denominata Domanda di disoccupazione online.
TERMINE DELLA PRESTAZIONE
Il trattamento si interrompe quando il lavoratore:
ha percepito tutte le giornate d’indennità spettanti
inizia un nuovo lavoro
diventa titolare di pensione diretta
rifiuta di essere avviato ad un progetto individuale di reinserimento nel mercato del lavoro;
non accetta l’offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore al 20% rispetto a quello delle mansioni di provenienza;
non accetta di essere impiegato in opere o servizi di pubblica utilità;
viene cancellato dalle liste di disoccupazione.
IL PAGAMENTO
L’indennità può essere riscossa:
con bonifico bancario o postale;
allo sportello di un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale.
Nel caso di accredito in conto corrente bancario o postale devono essere indicati anche gli estremi dell’ufficio pagatore presso cui si intende riscuotere la prestazione, nonché il codice IBAN.
OBBLIGHI DEL LAVORATORE DISOCCUPATO TITOLARE DI PRESTAZIONE
Il lavoratore deve comunicare immediatamente:
la rioccupazioni anche di breve durata (anche di un giorno);
i cambi di indirizzo;
il cambio delle coordinate bancarie.
N.B.: Al fine di ottenere una più equa indennizzazione di disoccupazione ordinaria, si invitano i soci ad aggiornare la scheda anagrafica presso i centri territoriali per l'impiego competenti (ex uffici di collocamento) dal primo giorno di disoccupazione; infatti la domanda viene accettata solo se viene certificato lo stato di disponibilità al lavoro, ovvero se ci si iscrive negli elenchi relativi.
Invece di procedere con sollecitudine al pagamento dei giorni di riposo non fruiti, il Tesoro incarica il Miur di svolgere cervellotiche verifiche. Anief non ci sta: questi precari hanno già dovuto subire troppe lungaggini nei pagamenti. E una tassazione indebita: è giunto il momento di fare ricorso! Per ottenere un celere pagamento della mensilità dovuta, a cui vanno aggiunte le non trascurabili quote di tassazione indebita sulle ferie applicate negli ultimi 10 anni.
Sta diventando un vero percorso a ostacoli il pagamento delle ferie maturate dal personale precario della scuola nell'anno scolastico 2012/13, con contratto temporaneo o scaduto il 30 giugno 2013. Anief aveva più volte denunciato la testardaggine di diversi dirigenti scolastici, che per non monetizzare i giorni di ferie non fruite avevano posto il personale a riposo con provvedimenti d'ufficio: dopo che, grazie all'opera del giovane sindacato, si era superata questa problematica artificiosa, visto che la stessa spending review indicava esplicitamente il 1° settembre 2013 come avvio della nuova legge, ecco apparire improvvisamente un altro scoglio.
Le segreterie scolastiche, infatti, sono impossibilitate ad emettere i decreti di ferie non godute perché dal Ministero dell'Economia non perviene il tabulato con i nominativi del personale interessato. E il MEF che fa? Invece di fornire immediata soluzione, comunica di aver "chiesto al MIUR di fornire indicazioni alle scuole affinché provvedano, nei casi residuali di spettanza delle ferie non godute, con provvedimenti cartacei individuali sottoposti a controllo delle RTS".
Si tratta di una decisione inattesa, visto che nei giorni scorsi proprio il MEF aveva provveduto a sbloccare il sistema informatico attraverso cui attivare i pagamenti per i precari. Ma il sindacato non può tollerare questo genere di 'rimpalli' tra comparti pubblici. Anche perché si va ad aggiungere ad un'altra questione irrisolta: quella della indebita tassazione, alla luce della natura risarcitoria dell'erogazione ricevuta.
"Considerando che per i supplenti fino al 30 giugno - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - il pagamento delle ferie non fruite rappresenta una sorta di mensilità aggiuntiva, da percepire nel corso dell'estate per sopperire ai mancati stipendi sino alla prossima supplenza, la sua mancata somministrazione non è di poco conto. Anche perché bisogna ricordare che si va a cumulare con altri abusi che l'amministrazione attua nei confronti di questo personale".
"Gli stipendi dei precari - continua Pacifico - risultano infatti fermi, illegittimamente non adeguati, come avviene per il personale di ruolo, all'anzianità del dipendente. Nei mesi scorsi, inoltre, quelli della scuola hanno dovuto penare non poco per ricevere le buste paga spettanti a fine mese. Ora, quindi, la misura è colma".
Anief, pertanto, annuncia che si è attivata per procedere con formale ricorso: per percepire le ferie non godute con sollecitudine e per recuperare le tassazioni indebite applicate agli stipendi dei precari degli ultimi 10 anni. Ai docenti precari sono state infatti sottratte parti stipendiali non indifferenti. Che, se l'azione del sindacato avrà effetto, verranno recuperate assieme agli interessi di legge derivanti dalle richieste risarcitorie avanzate al termine delle supplenze.
A tal fine, il sindacato metterà a disposizione, per tutti coloro che volessero aderire al ricorso, appositi modelli di domanda.