Precariato

Anche ai docenti di ruolo imposta una norma illegittima: il limite dei 6 giorni di ferie fruibili durante l'anno scolastico è un artificio contrattuale che non ha motivo di esistere.

A pochi giorni dal termine dell'anno scolastico, Anief ribadisce la ferma volontà nel tutelare i tanti precari della scuola che hanno stipulato un contratto per brevi periodi o fino al 30 giugno 2013: è vero, infatti, che per motivi di spending review il Governo Monti ha approvato, con l'art. 54 della Legge n. 228 del 24 dicembre scorso, una novità che fa decadere quanto disposto dal CCNL sulle ferie dei precari agli artt. 13 e 19, ma sempre e comunque solo partire dal primo settembre 1 settembre 2013.

Per tutti coloro che sono in servizio con un contratto di lavoro a tempo determinato deve continuare quindi a trovare applicazione la normativa vigente, che prevede il pagamento sostitutivo delle ferie non fruite. Ancora di più perché da una ricerca giuridica approfondita, realizzata da esperti Anief, risulta che la Legge n. 228/12 è in contrasto con la Direttiva Comunitaria n. 2033/88, attraverso la quale negli ultimi anni tutti i Paesi aderenti hanno provveduto a formulare leggi che rispettassero il diritto dei lavoratori a usufruire delle ferie esclusivamente nei periodi di "incapacità lavorativa, di distensione e di ricreazione". Risultano pertanto inappropriati tutti gli ordini di servizio prodotti dai dirigenti scolastici, attraverso cui hanno determinato l'imposizione delle ferie a tutti i supplenti temporanei o in servizio fino al 30 giugno.

Lo stesso gruppo di esperti ha inoltre ravvisato un "vizio" contrattuale che penalizza da anni centinaia di migliaia di docenti di ruolo: si tratta dell'art. 13, comma 9, del Ccnl in vigore, nella parte in cui vincola i docenti a poter fruire di non oltre sei giorni di ferie l'anno nei periodi di attività didattica. In presenza di motivazioni particolari, infatti, tale limite non ha alcun motivo di esistere.

In entrambi i casi, le ferie coatte imposte ai precari e quelle negate al personale di ruolo, siamo in presenza di una negazione di una direttiva comunitaria di cui si deve necessariamente tenere conto. Anief, alla luce di queste ulteriori conferme, ha deciso di rompere ogni indugio e di rivolgersi ai tribunali per smontare punto su punto la pratica tutta italiana che nega ai lavoratori della scuola un diritto alla monetizzazione o alla fruizione delle ferie personali.

Nell'immediato, Anief è pronta in particolare ad impugnare tutti gli ordini di servizio che alcuni poco lungimiranti dirigenti scolastici hanno prodotto a ridosso delle sospensioni delle attività didattiche dell'anno in corso (ponti, Natale, Pasqua). Lo stesso trattamento verrà riservato per quei provvedimenti d'ufficio che, a quanto ci indicano le nostre sedi, molti dirigenti sarebbero in procinto di realizzare in vista del termine delle lezioni (ma non di certo delle tante attività funzionali all'insegnamento).

Anief annuncia, infine, che nei prossimi giorni intende avviare le procedure legali per far restituire ai precari della scuola, dalle commissioni tributarie, le aliquote del 23% di tassazione applicate sulle ferie non fruite e retribuite negli ultimi 10 anni: a tal proposito va ricordato che la Corte di Cassazione ha stabilito che non sono da considerare periodi lavorativi d inquadrare nella "voce" retribuzione, ma in quella risarcimento. È ciò sia in base alle norme di legge in vigore, sia soprattutto in riferimento a quanto contenuto nell'art. 36 della Costituzione.

Per avere supporto sindacale in caso di provvedimenti di collocamento in ferie d’ufficio, o per avere informazioni sia se si è precari o di ruolo, è sufficiente inviare una e-mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Preoccupano i dati forniti dal ministro Gianpiero D’Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: il Governo continua a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di supplenti nei comparti statali e del servizio nazionale sanitario, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari.

Nel pubblico impiego due lavoratori precari su tre appartengono alla scuola o alla sanità, ma lo Stato li vuole mantenere precari in eterno tenendoli fuori dagli accordi sulla stabilizzazione dei lavoratori pubblici e dalla direttiva europea sui contratti a termine. Il numero altissimo di dipendenti in forza ai due comparti è stato reso pubblico dal ministro Gianpiero D’Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: dal 2004 al 2011 – ha detto D’Alia – sono stati tagliati 300 mila dipendenti pubblici, così oggi ci ritroviamo con 7 mila impiegati in esubero e 250 mila unità con contratti a termine, di cui circa 133 mila nella scuola e altri 30 mila nella sanità.

“Sono numeri davvero avvilenti – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri – perché significa che quasi il 10% dei dipendenti statali ha un contratto a termine. Ma quel che preoccupa di più il sindacato è che i precari di scuola e sanità sono condannati a rimanere permanentemente in questa condizione: lo dimostra il dato che negli ultimi anni lo Stato ha creato delle graduatorie - permanenti, ad esaurimento e d’istituto – che anziché svuotarsi si stanno sempre più riempiendo di candidati. La colpa è di una serie di deroghe alle norme europee (direttiva 1999/70/CE), introdotte a partire dalla legge 106/2011. E ciò malgrado tali disposizioni normative continuino ad essere sanzionate dai tribunali del lavoro e a generare nuove procedure comunitarie d’infrazione a carico dello stesso Stato italiano”.

Lo scorso 17 maggio questa discriminazione è stata ribadita dal Governo Letta attraverso l’approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto legge sulla “proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni”, pubblicato nella G.U. n. 54 del 21 maggio, attraverso il quale si prevede lo slittamento del termine dei contratti solo per 90 mila dipendenti degli altri comparti pubblici. Mentre scuola e sanità continuano a rimanere fuori. Eppure si tratta di unità di personale impegnate da diversi anni su posti liberi e per lunghi periodi.

“I Governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni – sottolinea Pacifico – hanno pensato esclusivamente a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di precari, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari”.

La contraddizione di questa scelta dei nostri decisori politici diventa ancora più evidente, dal momento che proprio in questi giorni nella commissione Affari costituzionali e Lavoro sta iniziando l’iter di discussione sulla legge comunitaria 2013 che dovrebbe prevedere interventi al fine di rispondere alle procedure d’infrazione attivate dall’Ue nei confronti dell’Italia. Tra queste, la 2020/2010, già trasformata in atto di messa in mora a seguito della presentazione del ricorso da parte di un non docente della scuola, per la mancata assunzione del personale con più di 36 mesi di servizio a tempo determinato. Così come si attendono sviluppi dalla Corte di giustizia europea, cui si sono rivolti docenti e Ata, anche a seguito della ordinanza favorevole emessa dal giudice Coppola di Napoli, che si dovrà esprimere entro l’anno sull’incompatibilità della normativa nazionale in materia di stabilizzazione e quella comunitaria.

“Anziché continuare a rimandare il problema, amplificandolo i numeri all’eccesso, - conclude il rappresentante Anief-Confedir – il Governo farebbe bene a emendare il decreto legge sulla proroga del personale statale a tempo determinato, prevedendo una graduale stabilizzazione del personale che ha già svolto i tre anni minimi richiesti. Ciò eviterebbe anche un contenzioso, di cui il sindacato si farà sicuramente carico per difendere gli interessi di migliaia di lavoratori”.

 

Pacifico (Anief-Confedir): i dati contenuti nel rapporto sul `Rapporto sui diritti globali 2013´, edito da Ediesse, confermano l’anomalia tutta italiana. Dove si deroga alla direttiva 1999/70/CE, recepita anche da una norma nazionale, in base alla quale tutti coloro che operano da oltre 36 mesi dovrebbero essere assunti in ruolo.

Cresce inesorabilmente il numero di precari alle dipendenze dello Stato: secondo il `Rapporto sui diritti globali 2013´, edito da Ediesse e curato dall’Associazione Società Informazione Onlus, a fronte di 3.315.580 lavoratori precari italiani complessivi, oltre 1.110.000 appartengono pubblico impiego e tra questi quasi la metà, oltre mezzo milione, opera nei comparti della scuola e della sanità. Ma non è un caso, perché si tratta dei due settori dove in maniera più marcata si disattende la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia attraverso l'art. 5, comma 4 bis del decreto legislativo 368/01, che indica ai datori di lavoro, quindi anche allo Stato, di stabilizzare i precari di vecchio corso.

La linea di tendenza è stata ribadita di recente dal Governo Letta, il cui Consiglio dei Ministri il 17 maggio scorso ha approvato un decreto ad hoc che proroga al 31 dicembre prossimo i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di circa 100mila dipendenti pubblici, altrimenti in scadenza nel corso dell’estate. Escludendo però proprio i lavoratori dei due ambiti professionali che conterrebbero maggiore precariato. Ora, è vero che i supplenti che operano nella scuola e nella sanità comportano una selezione e delle esigenze particolari, ma è altrettanto vero che non si può continuare ad escluderli da quei progetti che, seppure gradualmente, porteranno alla loro stabilizzazione.

“È evidente – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i per quadri - che in Italia stiamo assistendo ad una procedura fuori dalla legge: mentre le direttive comunitarie ci chiedono di immettere in ruolo tutti i lavoratori che operano, anche non continuativamente, da oltre 36 mesi, nel nostro Paese ci siamo arrogati il diritto di introdurre delle deroghe nazionali. Ed ora ci ritroviamo con oltre mezzo milione di preziose figure professionali – come gli insegnanti, i medici, gli infermieri, i tecnici e tanti altri specializzati – che anziché essere immessi in ruolo si ritrovano a vivere nell’incertezza”.

Alla luce di questa discriminazione di trattamento, Anief ha avviato da diversi mesi un contenzioso per la loro assunzione: l’obiettivo è vedere la “luce”, attraverso la loro assunzione in ruolo stabilita dal tribunale di giustizia europeo, situato in Lussemburgo, dove dei giudici sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilità delle norme derogatorie italiane. Un’espressione di cui potranno giovarsi, tra l’altro, non solo i docenti a tempo determinato della scuola e del settore sanitario, ma anche tutti gli altri lavoratori precari del pubblico impiego.

“Anief e Confedir – spiega ancora Pacifico – si sono espresse da tempo nelle apposite sedi, anche se la battaglia perseguita non è finalizzata necessariamente contro la reiterazione dei contratti a termine. Ma va a favore della progressiva stabilizzazione di tutto quel personale che ha operato per la pubblica amministrazione per un periodo complessivo, anche non continuativo, superiore al “tetto” indicato quasi 15 anni fa da una precisa direttiva comunitaria”.

 

Appello di Marcello Pacifico (Anief-Confedir) ai parlamentari che stanno esaminando il decreto, approvato il 17 maggio scorso dal CdM: lo slittamento dei contratti a tempo determinato al 31 dicembre 2013 esclude i dipendenti dei due comparti. Eppure la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, non parla di dipendenti eletti e altri figli di un dio minore.

Perché lo Stato italiano si ostina a non volere stabilizzare i suoi dipendenti precari che hanno operato per almeno 36 mesi nella scuola e nella sanità? A chiederlo pubblicamente, rivolgendosi in particolare ai parlamentari, è Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri professionali, a seguito dell’arrivo in commissione Finanze della Camera del decreto, approvato il 17 maggio dal Consiglio dei Ministri, che proroga al 31 dicembre prossimo i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di circa 100mila dipendenti pubblici.

Come noto, si tratta di uno slittamento di contratti che già superano il limite dei 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (come previsto dall'art. 5, comma 4 bis del decreto legislativo 368/01). Proroghe, tra l’altro, che, in attesa della stabilizzazione dello stesso personale, possono essere adottate solo dopo un accordo decentrato con i sindacati rappresentativi. Ora, visto che l’Italia sembra finalmente tenere conto di quel decreto legislativo, quindi della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, viene da chiedersi per quale motivo la sua adozione viene meno quando si tratta di stabilizzare i precari della scuola e della sanità.

Ora che il decreto contenente la proroga è giunto all’esame degli organi parlamentari competenti, Anief e Confedir chiedono quindi ai deputati che lo stanno esaminando di emendare quel testo e di farlo valere indistintamente per tutti i dipendenti precari della pubblica amministrazione. Dal momento in cui si stanziano delle risorse per la cassa integrazione dei dipendenti pubblici, al pari dei privati, e si allunga la durata massima dei contratti a temine, non si capisce infatti per quale motivo solo alcune categorie professionali, appartenenti allo stato “datore di lavoro”, lo Stato, debbano esserne escluse. Come non si comprende con quale logica alcuni sindacati rappresentativi abbiano avallato questa diversità di trattamento.

“È evidente che questa condizione – commenta Pacifico – non può essere ‘sine die’, visto che nello Stato non ci sono i dipendenti figli di un dio minore. Perché la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, indica solo che dopo 36 mesi di servizio, anche non continuativo, il datore di lavoro ha il dovere di procedere all’assunzione definitiva del dipendente. A tal proposito, vi sono dei precedenti nazionali importanti. Come quelli adottati durante l’ultimo governo Prodi, a seguito dell’approvazione delle leggi 296/2006 e 247/2007”.

“La proroga del termine di scadenza concessa a quasi 100mila dipendenti pubblici – continua il sindacalista Anief-Confedir – è una notizia in sé positiva. Tuttavia rende ancora più irrazionale e illogica la discriminazione che si attua in Italia verso diverse decine di migliaia di precari che operano da anni nei comparti pubblici di scuola e sanità. E lo diventata ancora di più – conclude Pacifico - dal momento in cui la diversità di trattamento è stata presa in esame in Lussemburgo dal tribunale di giustizia europea, dove i giudici sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilità delle norme italiane derogatorie ad un legge che, come tutte, è nata per essere uguale per tutti”.

 

Denuncia dell’Anief, nel corso di un seminario svolto oggi nel capoluogo trentino: anche nelle province a statuto speciale la logica è sempre la stessa: fare cassa a tutti i costi, riducendo il tempo scuola, a danno degli alunni.

Il problema del precariato della scuola non risparmia nessuna zona d’Italia: anche la provincia di Trento, dove il problema della disoccupazione è decisamente meno marcato rispetto alla media nazionale, fa registrare nella scuola una presenza record di docenti non di ruolo. La scarsità di assunzioni degli ultimi anni, con il conseguente mancato turn over, hanno fatto lievitare il numero di precari. Così oggi mentre a livello nazionale si registra una media del 20% di personale in organico non di ruolo, nella provincia di Trento la percentuale è salita ad oltre il 33%. Il preoccupante dato è stato presentato oggi nel corso del seminario “La legislazione scolastica nella normativa recente”, svolto nell’istituto comprensivo di Trento " J. A. Comenius", organizzato dall’Anief, associazione professionale attiva anche in campo di sindacale.

“È grave che anche in questa zona, notoriamente prodiga di posti di lavoro stabili, l’assunzione del personale stia diventando sempre più una chimera”, ha detto Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’Anief. “I dati ufficiali indicano, infatti, che ormai un terzo del personale docente della provincia sia precario. Nemmeno una delle province più floride del Paese riesce ad imporre, quindi, la direttiva 1999/70/CE che obbliga i datori di lavoro ad assumere il personale assunto per oltre 36 mesi complessivi. Anche nelle province a statuto speciale la logica è sempre la stessa: fare cassa a tutti i costi, riducendo il tempo scuola, a danno degli alunni”.

Il futuro prossimo, tra l’altro, non promette nulla di buono. I relatori del gruppo trentino Anief hanno ricordato che le nuove regole locali renderanno ancora più dura la vita lavorativa dei precari del posto: alle superiori, ad esempio, l’introduzione generalizzata dei 50 minuti di lezione, al posto dell’ora canonica, comporterà l’obbligo di far “spalmare” ad ogni docente di ruolo ben 70 ore a disposizione per le supplenze. E anche alla primaria non va meglio, visto che le ore aggiuntive annuali da dedicare alle supplenze passeranno da 10 a 15. Alcuni precari presenti al seminario hanno poi sottolineato le loro perplessità sull’introduzione della IV fascia nelle graduatorie trentine, considerate illegittime perché contrarie ad una recente sentenza della Consulta che premia il voto piuttosto che la data di abilitazione.

Durante la giornata si è anche parlato delle Leggi provinciali n. 7/97 e 21/97, attraverso le quali è possibile derogare alla normativa nazionale che disapplicata dall’amministrazione centrale e periferica ha trattenuto il 2,5% di TFR dal 2002 a tutto il personale di ruolo e precario neo-assunto contro quanto previsto dal decreto della presidenza del Consiglio del 20 dicembre 1999 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223/12. Si è ricordato che anche chi è ritornato in regime di TFS merita di aver ripristinato l’aliquota del 2,69% presa dallo Stato negli anni 2011 e 2012.

Infine, si è affrontato il tema della spending review e dell’istituzione di un unico fondo di finanziamento delle scuole da cui prelevare i risparmi che potrebbero fare perdere più di 100 posti dell’organico del personale non docente, Ata, nella Provincia. L’Anief ha manifestato la volontà di avviare azioni legali per il ripristino della legalità dopo anni di cattiva gestione della macchina pubblica che ha subito la privatizzazione del rapporto di lavoro e l’invasione della politica. “A tal proposito – ha ricordato il presidente Marcello Pacifico – è notizia di questi giorni che dopo il blocco del contratto, l’obiettivo di chi ci governa è arrivare all’eliminazione degli scatti di anzianità, mentre i neo-assunti hanno la carriera ferma per dieci anni”.