La parte dei fondi del Recovery Plan dedicata specificatamente alla scuola italiana potrebbe non essere sufficiente per risollevare il settore: a sostenerlo, con motivazioni, è oggi Tuttoscuola. “Dei 196 miliardi di euro previsti in sei anni – scrive la rivista specializzata -, il Piano ne riserva direttamente all’istruzione 10,1, ossia il 5,15%: fondi significativi, beninteso, per un settore che pur avendo una elevata spesa corrente (quasi interamente per stipendi) è sempre a corto di investimenti. Potranno certamente apportare miglioramenti (“potenziamento della didattica e del diritto allo studio”), ma non saranno in grado di cambiare da soli la qualità e l’efficacia del servizio scolastico, un’esigenza ormai improcrastinabile per il Paese. Si tratta di 1,7 miliardi di euro all’anno per un settore che oggi ne assorbe circa 60 all’anno: un’incidenza del 2,8%”. L’intero pacchetto dei fondi europei del post Covid, ad esempio, si potrebbe esaurire in pochi anni solo per cancellare le classi pollaio. E allora? Servono fondi aggiuntivi.
Secondo l’Anief la richiesta è lecita, ma va anche detto che è importante non disperdere i fondi provenienti dall’Europa: vanno destinati, con priorità, alla valorizzazione del personale, degli stipendi, prevedendo quell’indennità di rischio, collegata al burnout tradizionale, che con il Covid è diventata una necessità. Come pure alla lotta alla precarietà e all’allargamento degli organici, oltre che alla dismissione degli effetti devastanti della Legge 133/98. “È bene prendere impegni precisi col Governo - dice il presidente Marcello Pacifico - e predisporre certamente un impianto aggiuntivo di finanziamenti, anche da privati, che rendano la scuola un ‘porto franco’, svincolato dalle cicliche crisi di bilancio pubblico”.
I fondi in arrivo dal Recovery plan potrebbero arrivare pure da altri capitoli. Secondo quanto risulta a Tuttoscuola, “una quota dei 40,1 miliardi per l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici dovrebbe essere destinata alla malmessa edilizia scolastica (il 58% degli edifici degli istituti superiori sono privi del certificato di agibilità, per citare solo un dato). Altre risorse potrebbero esserci per gli asili nido, e la scuola potrà forse trarre beneficio indirettamente anche da quelle destinate alla digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pubblica Amministrazione”.
IL PENSIERO DELL’ANIEF
Anief è consapevole di tutto questo: è reale il pericolo che i fondi in arrivo dall’Unione europea per il “potenziamento della didattica e del diritto allo studio” possano infatti essere non investiti nel modo migliore. Su questo argomento, l’altro ieri il presidente nazionale Anief, Marcello Pacifico, ha impostato il suo intervento durante il Congresso sulla scuola del Pd sostenendo che “la strada ora dev’essere quella di consultare i sindacati, per poter portare avanti dei processi, delle idee, che non ci riportino a sprecare soldi o a non risolvere i problemi”. E che con i 19 miliardi del Ricovery fund a Istruzione e Ricerca, su 209 complessivi, ora il Governo dovrà “evitare che ricapiti di nuovo tutto quello che è successo. La prima cosa è sicuramente rivedere i parametri per l’assegnazione degli organici. La famosa battaglia contro le classi pollaio non è una battaglia ideologica. Bisogna concretamente predisporre una revisione della Legge 33 del 2008 e ridare alle scuole autonome gli edifici (sono più di 15mila i plessi che in 12 anni abbiamo soppresso). Oggi questi plessi ci servono”. Dunque, ha proseguito Pacifico, “prima dei banchi” monoposto acquistati in 2,4 milioni di pezzi, “che erano una soluzione finale di un percorso da seguire, occorrevano le strutture e le classi. Una volta che si avevano i plessi e le classi ridimensionate si potevano acquistare i banchi. Invece abbiamo dato i banchi, ma recuperato solo 3.000 plessi. Alcune idee erano giuste, ma andava seguito un percorso”.
SERVONO RISORSE FRESCHE
Tuttavia, alle “ambiziose riforme che comportano specifiche spese aggiuntive occorreranno consistenti risorse fresche. Ad esempio, per la generalizzazione del tempo pieno nella scuola primaria – una riforma annunciata due settimane fa dal premier Conte – servirebbero ogni anno 2,8 miliardi a carico dello Stato (per 50 mila assunzioni tra docenti e collaboratori scolastici) e dei Comuni (per servizi di refezione e trasporto), senza contare le spese necessarie per la ristrutturazione dei locali. Solo questo intervento assorbirebbe in pochi anni i 10 miliardi ad oggi noti. In quel caso, niente digitalizzazione della scuola, niente stabilizzazione del precariato, niente aumenti di stipendio, limitato rafforzamento del diritto allo studio. Aspettative entrate nella testa di molti negli ultimi mesi”.
NON È SOLO QUESTIONE DI SOLDI
Fatte queste premesse, non sarebbe quindi “solo una questione di soldi, per i quali è ancora presto per tirare le somme”, ma “forse soprattutto, una questione di volontà e di coraggio di cambiare paradigma. Quale scuola vogliamo tra dieci anni? Bisogna condividere una visione di educazione equa, solidale, al passo con il progresso culturale, scientifico e tecnologico, che restituisca alla scuola la funzione di ascensore sociale”, conclude Tuttoscuola.
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