Non è scontato che il Governo debba rivedere le modalità di chiusura automatica dell’attività scolastica in presenza nelle zone rosse, già prevista dal DPCM del 2 marzo scorso: vi sono infatti più evidenze scientifiche che indicano come sempre alti i rischi derivanti dalla frequenza delle classi, peraltro aggravati dalla novità delle varianti che hanno raggiunto l’Italia e che colpiscono in modo particolare i giovani. Senza dimenticare che le scuole continuano a non essere fornite di adeguati dispositivi e materiali anti-Covid, né della possibilità di effettuare continui monitoraggi e test rapidi.
“A pesare sulla decisione del Governo – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – potrebbe essere anche la doppia recente ordinanza del Tar, secondo la quale bisogna rivedere il concetto di chiusura delle attività in presenza nelle zone rosse che fa riferimento a più studi che sdoganano la scuola da luogo di contagi da Covid. La posizione, però, non tiene conto di un dato fondamentale: gli studi non tengono conto in modo adeguato delle varianti delle ultime settimane. E non dicono che i monitoraggi nelle scuole si sono di fatto realizzati su periodi durante i quali la scuola è stata frequentata, soprattutto alle superiori, per solo il 50% di studenti. Senza dimenticare che il personale scolastico deve ancora effettuare la seconda dose di vaccino AstraZeneca, con una copertura al momento non superiore, per stessa ammissione dell’Ema, del 70%”.