Il 1° maggio serve a dare risalto all’importanza del lavoro, inteso come espressione della dignità personale. Quella che in Italia, però, si sta sempre più perdendo. È il paradosso di un Paese che ha il più alto tasso di disoccupazione nell’Unione Europea, con una percentuale sempre elevata di dispersione scolastica, in alcune province superiore al 40 per cento, ma anche di Neet (2,2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni, praticamente uno su quattro, che non studiano e non lavorano) e di laureati a “spasso”. È lo stesso Stato che ora vorrebbe persino licenziare 6 mila insegnanti assunti con riserva e 50 mila supplenti, per colpa di una sentenza del Consiglio di Stato a cui nemmeno il Ministero dell’Istruzione vorrebbe dare seguito, rivendicando attraverso la senatrice Valeria Fedeli, ministra uscente, un intervento in Parlamento: a protestare davanti al Miur, anche stamane, contro gli effetti dell’Adunanza Plenaria del 20 dicembre scorso, ci sono docenti precari in sciopero della fame. La situazione è davvero difficile. Per non parlare degli stipendi di chi insegna e opera nelle scuole, scesi otto punti sotto l'inflazione tra il 2008 e il 2016: una vergogna in Europa, dove gli stipendi medi di maestri e professori sono ben al di sopra dei nostri.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La passività dei nostri governi sull’istruzione e formazione delle nuove generazioni ci sta conducendo verso un punto estremo, quasi di non ritorno. Con riflessi negativi anche sull’occupazione. Eppure, la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, che non deve aver alcun impedimento ma deve servire per il progresso della Nazione senza svilire la dignità di ogni cittadino attraverso un accordo che rispetti tutti questi principi. Questo chiede Anief: una scuola giusta. Lo chiederemo anche dopodomani, davanti al Miur, in occasione della manifestazione organizzata, a compimento dello sciopero di domani e del 3 maggio, per chiedere la riapertura delle GaE a tutti gli insegnanti abilitati, a partire da quei maestri con diploma magistrale che rischiano di ritrovarsi senza lavoro per un sentenza che nessuno vuole applicare.