Varie

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): nel nostro Paese si continua con le operazioni-spot, basta dire che l’aumento di 80 euro riguarderà solo i precari e le prime due fasce stipendiali. Per gli altri si tratterà di una vera beffa, perché dovranno invece pagare l'aumento della tassazione sui pochi risparmi lasciati nelle banche.

Mentre in Italia il Governo continua a tenere in vita una ridicola melina sul rinnovo contrattuale dei nostri docenti, in tutti i paesi più sviluppati del mondo gli insegnanti sono valorizzati e incentivati. Ad iniziare dagli Stati Uniti: in queste ore da New York è giunta la notizia che l'amministrazione, grazie all’apporto decisivo del sindaco di origini italiane Bill de Blasio, ha dato il via libera ad aumenti in favore dei docenti pari al 18% in nove anni e al finanziamento di 3,4 miliardi di arretrati. E ciò malgrado siano previsti per quest'anno ben due miliardi di dollari di 'buco'.

Si tratta della conferma di quanto in Italia, dove il contratto non è rinnovato dal 2010, si continui a parlare di investimento sulla scuola solo a parole ed in corrispondenza delle compagne elettorali. La realtà è che con il comma 452 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, la 147/13, l’unico aumento, quello dell’indennità di vacanza contrattuale, sarà “sospeso” almeno sino al 2017. Considerando che la norma si riferisce al comma 17 dell’art. 9 della Legge 122/2010, i valori stipendiali del personale della scuola rimangono di fatto fermi addirittura al 2009. Nei mesi scorsi, per certi docenti si è arrivati addirittura al paradosso dello stipendio diminuito per effetto del “pasticcio” sugli scatti.

"Solo nel nostro Paese - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - i sindacati rappresentativi e il Governo continuano a concentrarsi su 350 milioni di euro di ulteriori risparmi per pagare gli scatti del 2012, mentre la Ragioneria dello stato rileva che gli stipendi rimangono 4 punti sotto l'inflazione registrata negli ultimi anni. Come se solo il mancato adeguamento al costo della vita non avesse fatto perdere ai nostri insegnanti almeno 3.600 euro. E facendo finta che l'attuale blocco contrattuale, irrecuperabile, non sia stato procrastinato per altri tre anni".

"Anche gli ultimi nostri provvedimenti governativi non cambiano la sostanza. Perché a maggio la metà dei docenti italiani non riceverà i famosi 80 euro di incremento previsto dal Governo solo per gli stipendi fino a 26mila euro lordi: nella somma vanno infatti compresi tredicesima e indennità, quindi riguarderanno solo i precari e le prime due fasce stipendiali. E per chi non fruirà degli 80 euro si tratterà di una vera beffa, perché dovrà invece pagare l'aumento della tassazione sui pochi risparmi lasciati nelle banche. Così il gap di 600 euro che a fine carriera prendono in più i loro colleghi che insegnano negli altri Paesi OCDE - conclude Pacifico - diventerà una voragine".

Per approfondimenti:

La spesa per la scuola diminuirà ancora: lo dice il DEF

Gap stipendio rispetto ai privati sempre maggiore: non servono ‘oboli’ ma lo sblocco del contratto

Gli stipendi degli insegnanti sono i più bassi di tutta la PA: superati anche dall’inflazione

Il DEF conferma il blocco degli stipendi del personale insegnante e Ata fino al 2018

 

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): nel nostro Paese si continua con le operazioni-spot, basta dire che l’aumento di 80 euro riguarderà solo i precari e le prime due fasce stipendiali. Per gli altri si tratterà di una vera beffa, perché dovranno invece pagare l'aumento della tassazione sui pochi risparmi lasciati nelle banche.

Mentre in Italia il Governo continua a tenere in vita una ridicola melina sul rinnovo contrattuale dei nostri docenti, in tutti i paesi più sviluppati del mondo gli insegnanti sono valorizzati e incentivati. Ad iniziare dagli Stati Uniti: in queste ore da New York è giunta la notizia che l'amministrazione, grazie all’apporto decisivo del sindaco di origini italiane Bill de Blasio, ha dato il via libera ad aumenti in favore dei docenti pari al 18% in nove anni e al finanziamento di 3,4 miliardi di arretrati. E ciò malgrado siano previsti per quest'anno ben due miliardi di dollari di 'buco'.

Si tratta della conferma di quanto in Italia, dove il contratto non è rinnovato dal 2010, si continui a parlare di investimento sulla scuola solo a parole ed in corrispondenza delle compagne elettorali. La realtà è che con il comma 452 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, la 147/13, l’unico aumento, quello dell’indennità di vacanza contrattuale, sarà “sospeso” almeno sino al 2017. Considerando che la norma si riferisce al comma 17 dell’art. 9 della Legge 122/2010, i valori stipendiali del personale della scuola rimangono di fatto fermi addirittura al 2009. Nei mesi scorsi, per certi docenti si è arrivati addirittura al paradosso dello stipendio diminuito per effetto del “pasticcio” sugli scatti.

"Solo nel nostro Paese - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - i sindacati rappresentativi e il Governo continuano a concentrarsi su 350 milioni di euro di ulteriori risparmi per pagare gli scatti del 2012, mentre la Ragioneria dello stato rileva che gli stipendi rimangono 4 punti sotto l'inflazione registrata negli ultimi anni. Come se solo il mancato adeguamento al costo della vita non avesse fatto perdere ai nostri insegnanti almeno 3.600 euro. E facendo finta che l'attuale blocco contrattuale, irrecuperabile, non sia stato procrastinato per altri tre anni".

"Anche gli ultimi nostri provvedimenti governativi non cambiano la sostanza. Perché a maggio la metà dei docenti italiani non riceverà i famosi 80 euro di incremento previsto dal Governo solo per gli stipendi fino a 26mila euro lordi: nella somma vanno infatti compresi tredicesima e indennità, quindi riguarderanno solo i precari e le prime due fasce stipendiali. E per chi non fruirà degli 80 euro si tratterà di una vera beffa, perché dovrà invece pagare l'aumento della tassazione sui pochi risparmi lasciati nelle banche. Così il gap di 600 euro che a fine carriera prendono in più i loro colleghi che insegnano negli altri Paesi OCDE - conclude Pacifico - diventerà una voragine".

Per approfondimenti:

La spesa per la scuola diminuirà ancora: lo dice il DEF

Gap stipendio rispetto ai privati sempre maggiore: non servono ‘oboli’ ma lo sblocco del contratto

Gli stipendi degli insegnanti sono i più bassi di tutta la PA: superati anche dall’inflazione

Il DEF conferma il blocco degli stipendi del personale insegnante e Ata fino al 2018

 

Stipendi da fame per altri 3 anni e 300mila precari fermi ai “box”, scippo del 2,5% sul TFR e allungamento dell’età pensionabile senza finestre. Essere al servizio dello Stato non paga. Diritti violati nella Pubblica amministrazione che non si ritrovano nel comparto privato. Proroga del blocco stipendiale, inflazione che galoppa e innalzamento dell’età pensionabile fino a quasi 68 anni stanno trasformando il posto statale in un vero incubo professionale. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B, quello che accade a quelli della scuola ha ormai dell’incredibile.

Sarà un primo maggio davvero amaro quello che si apprestano a vivere più di tre milioni di dipendenti dei comparti pubblici: al cronico blocco degli stipendi e del turn over, quest’anno si somma un’altissima percentuale di dipendenti precari e una drastica riduzione delle domande di pensionamento a causa dell’innalzamento dei requisiti anagrafici e di servizio previsti dalla riforma Fornero. Il ‘contentino’ degli 80 euro, poco più di una pizza, non cambia la sostanza: anche se il sindacato non può certo disdegnare l’aumento in busta paga, peraltro assicurato solo fino a dicembre 2014 e non in pianta stabile, va ricordato che sarà riservato ad una parte dei dipendenti. E per finanziarlo si andranno a ridurre del 15% gli emolumenti dei dirigenti, facendo ancora una volta pagare allo stesso comparto statale un incremento stipendio che invece andrebbe finanziato per intero con risorse statali nuove.

Quanto indicato in questi giorni dall’ultimo Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzione dei pubblici dipendenti, a proposito degli indici mensili delle retribuzioni contrattuali, vale molto più di tanti commenti: mentre “il settore privato mostra variazioni positive”, seppure contenute, “i comparti di contrattazione collettiva Aran (dirigenti e non) e gli altri comparti pubblici, in coerenza con le disposizioni normative che dispongono il blocco della contrattazione nazionale per i pubblici dipendenti, continuano a riportare variazioni nulle”.

“La variazione cumulata per il periodo 2007-2013 – scrive sempre l’Aran - registra una crescita delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia pari al 16,4%: i settori che presentano valori sopra la media sono il settore privato (18,4%) - ed in particolare l’industria (+20,9%) e i servizi privati (+16,5%) - e i dirigenti non contrattualizzati della PA (+16,6%). Incrementi inferiori alla media si trovano per tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione con valori che variano fra il più elevato (+11,7%) dei dirigenti contrattualizzati PA e il più basso (+10,3%) del personale non dirigente degli altri comparti pubblici”. Basti pensare che l’inflazione nello stesso periodo è salito del 12% mentre il personale della scuola ha avuto aumento per l’8%.

“La curva delle retribuzioni contrattuali dei dipendenti dei comparti di contrattazione collettiva Aran è ormai bloccata sul valore di luglio 2010 e, da aprile 2011, è al di sotto della curva dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. L’andamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici non contrattualizzati (comparti forze armate, dell’ordine e vigili del fuoco) è anch’esso fermo sul valore del marzo 2011. Le retribuzioni del settore privato – conclude l’Aran - sono invece in crescita, lenta ma costante, per effetto dell’applicazione dei contratti rinnovati nel corso del 2013”.

La ‘corona’ dei dipendi pubblici con stipendi ridotti alla fame spetta agli insegnanti e del personale scolastico a cui lo Stato ha bloccato il rinnovo contrattuale nel 2009 con la legge Tremonti (122/2010), con un anno di anticipo rispetto agli altri lavoratori statali, a cui si è aggiunta la proroga approvata dal Governo Letta (DPR 122/2013). E per tutti i lavoratori statali la prospettiva è rimanere con le buste paga per altri 3 anni. Il dato si evince dal Documento di Economia e Finanza 2014 approvato a metà aprile dal CdM: “Nel quadro a legislazione vigente - si legge nel DEF - la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.

Se si somma la proroga agli altri quattro anni di stop di aumenti si arriva sette anni consecutivi di blocco stipendiale. Nella scuola sono addirittura otto gli anni di fermo, un record: considerando che tra il 2006 e il 2012 l’inflazione è salita del 12% rispetto agli aumenti contrattuali fermi nella scuola all’8%, docenti e personale Ata ad oggi hanno perso quasi 16 mila euro lordi di mancati aumenti a dipendente. In generale, considerando tutti i pubblici dipendenti, lo stipendio base è sempre più in sofferenza rispetto all’aumento del costo della vita, in ritardo anche ai livelli degli altri Paesi economicamente sviluppati ed in alcuni comparti è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Ma i problemi non si fermano agli stipendi inadeguati. C’è anche quello del mancato turn over, con oltre 300mila precari costretti a rimanere ai “box” chissà ancora per quanto tempo. Lo stesso Collegato al lavoro, in discussione in Parlamento, non risolve i problemi dei contratti a termine perché non autorizza la stabilizzazione dei dipendenti pubblici e non prevede una sanzione pesante verso le pubbliche amministrazioni che reiterano i contratti a termine dopo i 36 mesi di servizio. Non è un caso che nei prossimi mesi si esprimerà la stessa Corte di Giustizia Europea sulla stabilizzazione dei precari della scuola, da anni chiamati a supplire. Ma la situazione è aggravata anche dalla “stretta” Fornero-Monti. Basta dire che da quest’anno per accedere alla pensione di vecchiaia serviranno 63 anni e 9 mesi di età; per quella anticipata, un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi (per gli uomini un anno in più). E negli anni a venire i requisiti si alzeranno ancora: quando la riforma Fornero entrerà a regime, i lavoratori del pubblico impiego potranno lasciare il lavoro a quasi 68 anni.

Anche su questo fronte quanto accade nella scuola è indicativo: dal 2001 ad oggi lo Stato italiano ha assunto nelle 258.206 insegnanti. Mentre nello stesso periodo quelli che hanno lasciato il servizio per la pensione sono stati molti di più: 295.200. Le assunzioni non sono bastate nemmeno a coprire tutti quei posti liberi, ben 311.364, che sempre a partire dal 2001 sono stati dichiarati dal Miur ufficialmente vacanti. È un dato che fa ancora più male se si pensa che nella scuola vi sono oltre 140mila precari annuali, quasi la metà di tutta la pubblica amministrazione: per loro l’ultima speranza rimane il ricorso alla Corte di Giustizia europea, che entro l’anno si dovrà esprime in modo definitivo.

“Non dobbiamo lamentarci – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – se gli italiani sono gli insegnanti tra i più vecchi al mondo, con un numero crescente di ultra sessantenni e l’età media delle immissioni in ruolo alle soglie dei 40 anni di età. Il risultato di questo processo è l’età media di un insegnante italiano, ormai ben oltre i 50 anni. Dimenticando che l’insegnamento è tra le categorie professionali più a rischio burnout, in Italia ci ritroviamo con due docenti su tre che hanno superato questa età. Mentre i nostri insegnanti under 30 sono presenti per appena lo 0,5%, a fronte del 6,8% della Spagna. Il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B”.

Per non parlare della trattenuta del 2,5% sul TFR che nel comparto privato è totalmente a carico del datore di lavoro mentre rimane per i neo-assunti nel pubblico impiego dal 2000.

 

Stipendi da fame per altri 3 anni e 300mila precari fermi ai “box”, scippo del 2,5% sul TFR e allungamento dell’età pensionabile senza finestre. Essere al servizio dello Stato non paga. Diritti violati nella Pubblica amministrazione che non si ritrovano nel comparto privato. Proroga del blocco stipendiale, inflazione che galoppa e innalzamento dell’età pensionabile fino a quasi 68 anni stanno trasformando il posto statale in un vero incubo professionale. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B, quello che accade a quelli della scuola ha ormai dell’incredibile.

Sarà un primo maggio davvero amaro quello che si apprestano a vivere più di tre milioni di dipendenti dei comparti pubblici: al cronico blocco degli stipendi e del turn over, quest’anno si somma un’altissima percentuale di dipendenti precari e una drastica riduzione delle domande di pensionamento a causa dell’innalzamento dei requisiti anagrafici e di servizio previsti dalla riforma Fornero. Il ‘contentino’ degli 80 euro, poco più di una pizza, non cambia la sostanza: anche se il sindacato non può certo disdegnare l’aumento in busta paga, peraltro assicurato solo fino a dicembre 2014 e non in pianta stabile, va ricordato che sarà riservato ad una parte dei dipendenti. E per finanziarlo si andranno a ridurre del 15% gli emolumenti dei dirigenti, facendo ancora una volta pagare allo stesso comparto statale un incremento stipendio che invece andrebbe finanziato per intero con risorse statali nuove.

Quanto indicato in questi giorni dall’ultimo Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzione dei pubblici dipendenti, a proposito degli indici mensili delle retribuzioni contrattuali, vale molto più di tanti commenti: mentre “il settore privato mostra variazioni positive”, seppure contenute, “i comparti di contrattazione collettiva Aran (dirigenti e non) e gli altri comparti pubblici, in coerenza con le disposizioni normative che dispongono il blocco della contrattazione nazionale per i pubblici dipendenti, continuano a riportare variazioni nulle”.

“La variazione cumulata per il periodo 2007-2013 – scrive sempre l’Aran - registra una crescita delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia pari al 16,4%: i settori che presentano valori sopra la media sono il settore privato (18,4%) - ed in particolare l’industria (+20,9%) e i servizi privati (+16,5%) - e i dirigenti non contrattualizzati della PA (+16,6%). Incrementi inferiori alla media si trovano per tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione con valori che variano fra il più elevato (+11,7%) dei dirigenti contrattualizzati PA e il più basso (+10,3%) del personale non dirigente degli altri comparti pubblici”. Basti pensare che l’inflazione nello stesso periodo è salito del 12% mentre il personale della scuola ha avuto aumento per l’8%.

“La curva delle retribuzioni contrattuali dei dipendenti dei comparti di contrattazione collettiva Aran è ormai bloccata sul valore di luglio 2010 e, da aprile 2011, è al di sotto della curva dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. L’andamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici non contrattualizzati (comparti forze armate, dell’ordine e vigili del fuoco) è anch’esso fermo sul valore del marzo 2011. Le retribuzioni del settore privato – conclude l’Aran - sono invece in crescita, lenta ma costante, per effetto dell’applicazione dei contratti rinnovati nel corso del 2013”.

La ‘corona’ dei dipendi pubblici con stipendi ridotti alla fame spetta agli insegnanti e del personale scolastico a cui lo Stato ha bloccato il rinnovo contrattuale nel 2009 con la legge Tremonti (122/2010), con un anno di anticipo rispetto agli altri lavoratori statali, a cui si è aggiunta la proroga approvata dal Governo Letta (DPR 122/2013). E per tutti i lavoratori statali la prospettiva è rimanere con le buste paga per altri 3 anni. Il dato si evince dal Documento di Economia e Finanza 2014 approvato a metà aprile dal CdM: “Nel quadro a legislazione vigente - si legge nel DEF - la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.

Se si somma la proroga agli altri quattro anni di stop di aumenti si arriva sette anni consecutivi di blocco stipendiale. Nella scuola sono addirittura otto gli anni di fermo, un record: considerando che tra il 2006 e il 2012 l’inflazione è salita del 12% rispetto agli aumenti contrattuali fermi nella scuola all’8%, docenti e personale Ata ad oggi hanno perso quasi 16 mila euro lordi di mancati aumenti a dipendente. In generale, considerando tutti i pubblici dipendenti, lo stipendio base è sempre più in sofferenza rispetto all’aumento del costo della vita, in ritardo anche ai livelli degli altri Paesi economicamente sviluppati ed in alcuni comparti è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Ma i problemi non si fermano agli stipendi inadeguati. C’è anche quello del mancato turn over, con oltre 300mila precari costretti a rimanere ai “box” chissà ancora per quanto tempo. Lo stesso Collegato al lavoro, in discussione in Parlamento, non risolve i problemi dei contratti a termine perché non autorizza la stabilizzazione dei dipendenti pubblici e non prevede una sanzione pesante verso le pubbliche amministrazioni che reiterano i contratti a termine dopo i 36 mesi di servizio. Non è un caso che nei prossimi mesi si esprimerà la stessa Corte di Giustizia Europea sulla stabilizzazione dei precari della scuola, da anni chiamati a supplire. Ma la situazione è aggravata anche dalla “stretta” Fornero-Monti. Basta dire che da quest’anno per accedere alla pensione di vecchiaia serviranno 63 anni e 9 mesi di età; per quella anticipata, un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi (per gli uomini un anno in più). E negli anni a venire i requisiti si alzeranno ancora: quando la riforma Fornero entrerà a regime, i lavoratori del pubblico impiego potranno lasciare il lavoro a quasi 68 anni.

Anche su questo fronte quanto accade nella scuola è indicativo: dal 2001 ad oggi lo Stato italiano ha assunto nelle 258.206 insegnanti. Mentre nello stesso periodo quelli che hanno lasciato il servizio per la pensione sono stati molti di più: 295.200. Le assunzioni non sono bastate nemmeno a coprire tutti quei posti liberi, ben 311.364, che sempre a partire dal 2001 sono stati dichiarati dal Miur ufficialmente vacanti. È un dato che fa ancora più male se si pensa che nella scuola vi sono oltre 140mila precari annuali, quasi la metà di tutta la pubblica amministrazione: per loro l’ultima speranza rimane il ricorso alla Corte di Giustizia europea, che entro l’anno si dovrà esprime in modo definitivo.

“Non dobbiamo lamentarci – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – se gli italiani sono gli insegnanti tra i più vecchi al mondo, con un numero crescente di ultra sessantenni e l’età media delle immissioni in ruolo alle soglie dei 40 anni di età. Il risultato di questo processo è l’età media di un insegnante italiano, ormai ben oltre i 50 anni. Dimenticando che l’insegnamento è tra le categorie professionali più a rischio burnout, in Italia ci ritroviamo con due docenti su tre che hanno superato questa età. Mentre i nostri insegnanti under 30 sono presenti per appena lo 0,5%, a fronte del 6,8% della Spagna. Il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B”.

Per non parlare della trattenuta del 2,5% sul TFR che nel comparto privato è totalmente a carico del datore di lavoro mentre rimane per i neo-assunti nel pubblico impiego dal 2000.