Varie

Le stime della rivista Tuttoscuola danno ragione alla linea dell'Anief: via libera anche alla confluenza nella scuola dell'infanzia di 3mila maestri della primaria, al ritorno delle compresenze e dell'insegnante specializzato in inglese. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): i tagli della riforma Gelmini sono stati bocciati dai fatti.

Occorre introdurre nuove norme per ricollocare i 40mila insegnanti che nei prossimi 15 anni potrebbero andare in soprannumero a seguito del forte calo demografico e delle iscrizioni degli alunni: la stima, fornita dalla rivista Tuttoscuola, deve necessariamente preoccupare l'amministrazione e chi si occupa di scuola. Già tra cinque anni, infatti, "per effetto del calo delle nascite, verranno a mancare al primo anno delle scuole primarie 49.309 alunni, con un decremento di circa il 9%. L’onda di magra che ne seguirà nell’arco dei successivi tredici anni (2018-2030), sull’intero percorso scolastico, determinerà - stando agli attuali parametri - la chiusura di non meno di 23 mila classi e la soppressione di quasi 40 mila posti di docente.

"Una minaccia - conclude Tuttoscuola - anche per i tanti che premono per salire stabilmente in cattedra dopo una lunga trafila e per coloro che da studenti stanno puntando le loro carte sull’insegnamento. Sempre secondo la rivista specializzata, "i docenti in eccedenza per il calo di nascite e quindi di alunni, appositamente riqualificati, potrebbero essere impiegati in attività di orientamento, recupero, integrazione e digitalizzazione della scuola".

Anief apprezza la proposta di Tuttoscuola, ma chiede di ampliarne la portata. Occorre infatti prevedere un nuovo impianto legislativo che riassegni funzioni tutoriali a chi ha più esperienza: affidando questo nuovo ruolo ai docenti che hanno svolto 20-25 anni di servizio servirebbe a migliorare la qualità del servizio pubblico della scuola, assicurando ai nostri studenti degli insegnanti più giovani e spesso più motivati. Oltre che ad evitare che migliaia di docenti vadano in soprannumero.

"Per scongiurare questo rischio - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - serve anche un piano di prepensionamenti per i docenti con più di 60 anni di età. Quanto sta accadendo con i Quota96 ha dell'incredibile. Si prenda al volo la riforma della pubblica amministrazione, annunciata qualche settimana fa dal ministro Madia e che tra una decina di giorni sarà all'esame della presidenza del Consiglio dei ministri. Non bisogna fare ancora una volta l'errore di lasciare fuori l'insegnamento dalle professioni logoranti".

"Per evitare di lasciare senza cattedra 40mila insegnanti - continua Pacifico - si potrebbero poi utilizzare fino a 3mila maestri della scuola primaria nelle classi-ponte dell'ultima scuola dell'infanzia. E sempre nella primaria tornare finalmente alle ore di compresenza e all'insegnante specializzato in inglese: i tagli di queste due realtà, figli della riforma Gelmini, sono stati bocciati dai fatti. Dobbiamo tornare alle ex scuole elementari fiore all'occhiello dell'istruzione pubblica italiana. Mettere le scuole in sicurezza - conclude il sindacalista Anief-Confedir - è una necessità, ma non può bastare se si vuole continuare a sostenere che la scuola viene prima di tutto".

 

Dopo Brescia e Bolzano, anche la provincia di Barletta, Andria e Trani approva la costituzione di un albo di ex docenti disponibili a mettere gratuitamente a disposizione degli studenti la propria esperienza didattica e professionale per realizzare attività di recupero e/o sostegno. I motivi della Giunta pugliese: chi è stato insegnante una volta, è insegnante per sempre; spazio al principio di solidarietà intergenerazionale; questi docenti sentono ancora imperioso il sacro fuoco dell’insegnamento. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ecco cosa si arriva a fare pur di non affidare gli alunni a giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione. Non siamo contro il volontariato, ma è un segnale negativo: così lo Stato sta sempre più rinunciando ad espletare il diritto all’istruzione e al lavoro.

Le scuole pubbliche hanno sempre più difficoltà ad organizzare lezioni aggiuntive per il recupero degli studenti in difficoltà e con basso profitto? Non c’è problema: ci sono gli enti locali, che negli ultimi tempi si stanno sostituendo allo Stato. Peccato che lo facciano solo in un modo: riportando in classe gli insegnanti in pensione, coinvolgendoli in un’opera di mero volontariato. È successo qualche mese fa a Brescia. Qualche giorno fa a Bolzano. Ed ora sta accadendo a Barletta, Andria e Trani, dove la Giunta provinciale ha deliberato “di approvare l’iniziativa dell’istituzione di un Albo informale di docenti e professionisti in pensione disponibili a mettere a disposizione degli studenti gratuitamente la propria esperienza didattica e professionale per realizzare attività di recupero e/o sostegno in favore dei medesimi studenti”.

Il presidente e gli assessori provinciali hanno preso questa decisione, all’unanimità, dopo aver preso atto della “difficoltà sempre più crescente da parte delle Scuole” di organizzare i corsi di recupero, circostanza purtroppo reale visto che ormai metà degli istituti non li attivano. Una necessità che la Giunta pugliese riconduce alla “ormai tristemente famosa Spending Review”, che “ha ridotto, per lo più cancellato, questa opportunità disattendendo il principio, costituzionalmente garantito, del diritto/dovere all’istruzione”. E anche questo è vero, perché nell’anno in corso alle scuole italiane per il miglioramento dell’offerta formativa non sono arrivati i 1.480 milioni di euro del 2010/11, ma appena 521 milioni (con la promessa di un lieve incremento, a tutt’oggi mai concretizzato).

Ma se le premesse sono corrette, la soluzione escogitata in Puglia, come a Brescia e in Alto Adige, per risolvere il problema è inaccettabile: si cerca, infatti, di garantire un servizio pubblico ricorrendo al volontariato di chi ha smesso di lavorare per sopraggiunti limiti di età. La Giunta di Barletta, Andria e Trani giustifica questa scelta sostenendo che “chi è stato insegnante una volta, è insegnante per sempre, anche quando lo Stato dice ‘grazie, hai finito, vai in pensione’”. Perché un prof pensionato può “essere ancora utile a tanti ragazzi ed è entusiasta di ritornare in cattedra per principio di solidarietà intergenerazionale”. Ma soprattutto perché, sostiene sempre la provincia, “questi docenti sentono ancora imperioso il sacro fuoco dell’insegnamento”.

Anief reputa risibili le giustificazioni addotte dai componenti della Giunta provinciale pugliese per introdurre l’albo dei docenti pensionati ed farli tornare in cattedra gratuitamente. Premesso che il sindacato non ha alcuna preclusione verso il prezioso contributo che il volontariato in assoluto svolge nella nostra società, è però anche convinto che così facendo lo Stato sta delegando due sue funzioni cardine previste costituzionalmente: l’istruzione e il diritto al lavoro. E sta venendo meno alle indicazioni introdotte con l’articolo 2 dell’ordinanza ministeriale 92/2007, firmata dall’allora ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, con cui il Miur obbligava le scuole superiori ad “attivare gli interventi di recupero” da destinare anche agli “studenti che riportano voti di insufficienza negli scrutini intermedi”.

“La verità è che chi governa il Paese non può prima ridurre di due terzi i fondi a supporto della didattica – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , delegando poi ad altri il ruolo di garante del diritto allo studio e alla formazione dei giovani. È il risultato di questo processo ad aver scatenato il ricorso crescente agli ex docenti. I quali, forti della lunga esperienza lavorativa, non abbiamo dubbi che siano all’altezza della situazione”.

Il punto, però, è un altro: perché ci si dimentica che vi sono anche centinaia di migliaia di docenti precari, selezionati e formati proprio per far crescere e sostenere i nostri giovani? Perché si ricorre a certe forzature che snaturano un principio chiave del nostro Paese: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Perché si dimentica che vi sono migliaia di docenti precari, selezionati e formati, laureati e abilitati, i quali per essere assunti a titolo definitivo devono attendere anche decenni? Perché si continua ad ignorare una precisa direttiva comunitaria che sostiene il contrario?

“La verità – conclude il sindacalista Anief-Confedir – è che continuiamo a sfornare Leggi di Stabilità che comportano impegni probanti, sostenuti con svariate decine di miliardi di euro, ma poi per tagliare 400-500 milioni di euro alla Scuola si mette in crisi l’intero sistema d’istruzione. Pur di non affidarsi a giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione, per cercare di garantire quel diritto allo studio sempre più in crisi, si richiamano i docenti in quiescenza.

Pertanto, Anief si appella al Governo italiano perché torni ad espletare il proprio ruolo centrale e attivo per la soddisfazione dei bisogni formativi delle nuove generazioni. Invece di aggrapparsi ai pensionati - come è stato deciso a Brescia, Bolzano, Barletta, Andria e Trani – si trovi la soluzione legislativa per ridurre la davvero troppo alta età media dei nostri insegnanti, oggi di 51 anni, e per favorire delle formule di prepensionamento o di collocazione nell’area del tutoraggio dei docenti con 20-25 anni di servizio. Si inizi, ovviamente, “liberando” i cosiddetti Quota 96.

Per approfondimenti:

Originale di deliberazione della Giunta provinciale di Barletta, Andria e Trani n. 26/2014

Scuole allo stremo, a Brescia si richiamano gli insegnanti in pensione per farli lavorare gratis

Anche a Bolzano lo Stato alza bandiera bianca: ora l’italiano agli stranieri lo insegnano gratis i prof in pensione

Corsi di recupero delle insufficienze, è un vero flop: metà delle scuole non li attivano

Corsi di recupero a scuola? Sì, ma a pagamento. Il caso del liceo scientifico «Fermi» di Cosenza (Corriere della Sera)

Scuole a corto di fondi: ora i corsi di recupero li tengono gli studenti più bravi

Quando gli studenti fanno da prof ai compagni rimasti indietro (Corriere della Sera)

Pacifico a Unomattina la domenica di Pasqua: sì al volontariato ma rispetto per il lavoro e per i giovani in cerca di occupazione

 

Ad oggi in Campania, Molise, Umbria e Veneto non vi è un CPIA, i nuovi centri provinciali per i cittadini che vogliono tornare a studiare o riformarsi professionalmente. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è l’ennesimo paradosso italiano, perché sono quasi tutte zone dove la presenza di un’alternativa ai canali formativi tradizionali sarebbe fondamentale per combattere l’altissima percentuale di Neet e l’elevata presenza di ragazzi che abbandonano i banchi di scuola prima del tempo.

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la Circolare n. 39 che dà il via alle iscrizione degli adulti, anche con cittadinanza non italiana, ai percorsi formativi loro riservati per l’anno scolastico 2014/15. Entro la fine di maggio, ma di fatto anche fino al prossimo 15 ottobre, tutti coloro che hanno superato l’età anagrafica per far parte di un corso di studi normale, potranno chiedere di iscriversi alle rinnovate strutture denominate ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’: nei CPIA, collocati anche all’interno dei centri di prevenzione e pena, gli adulti potranno svolgere percorsi di istruzione di primo e secondo livello, ma anche di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana. I percorsi di secondo livello verranno attuati solo dopo la stipula di accordi di rete da sottoscrivere entro il 30 settembre 2014, all’interno di istituti superiori in orario serale.

Un’alta percentuale delle attività formative rivolte agli adulti si svolgerà all’interno delle nuove strutture create appositamente dal Miur: i ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’. Il problema è che i 144 CPIA attivati non solo sono privi di dirigente scolastico, ma anche maldistribuiti: attraverso una ricerca svolta su dati ufficiali, l’Anief ha scoperto che, anche a seguito dei tagli effettuati negli ultimi due anni, ci sono regioni – come Campania, Molise, Umbria e Veneto - che non possono contare nemmeno su un centro formativo per adulti.

Eppure la Campania è la regione italiana dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti solo 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, è concentrata una percentuale altissima degli oltre 2 milioni e 200mila Neet italiani: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Appare quindi quasi paradossale che in Lombardia, dove la presenza di Neet è meno delle metà (16,2%) di quella della Campania, sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir “rimane un mistero su quali motivazioni logiche abbiano portato l’amministrazione a rinnovare i centri di formazione per gli adulti non attivando nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet. Una regione dove i diplomati, riporto gli ultimi dati Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore. E addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere le superiori sono il 65% dei giovani”.

La Campania, inoltre, si contraddistingue per l’alto numero di abbandoni scolastici: ben il 22% dei giovani lascia i banchi anzitempo. In zone d’Italia dove abbandonano Neet e giovani senza titolo di studio, la presenza di centri di formazione per adulti sarebbe quindi fondamentale: i CPIA, infatti, che alla lunga dovrebbero sostituire i tradizionali corsi serali per adulti, permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Gli obiettivi sono contenuti nella Gazzetta Ufficiale 47/2013: negli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 è stato pubblicato il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, dove si indicava la messa a regime immediata delle nuove strutture, comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.

Sempre nel D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento. Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.

L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per due milioni e mezzo di Neet. Oltre che per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale. Ad oggi però siamo ancora in alto mare: la partecipazione ai corsi italiani per adulti rimane tra le più basse dei paesi avanzati: gli italiani tra i 25 ed i 64 anni che si formano sono appena il 6,6%. Una vera miseria: basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.

Per approfondimenti:

ISTAT - Giovani che non lavorano e non studiano (2013)

Il Regolamento sui Centri di formazione per gli adulti: D.P.R. 263/12

Istruzione, altra bacchettata Ue all’Italia: solo in Grecia serve più tempo per trovare lavoro dopo il diploma

 

Ad oggi in Campania, Molise, Umbria e Veneto non vi è un CPIA, i nuovi centri provinciali per i cittadini che vogliono tornare a studiare o riformarsi professionalmente. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è l’ennesimo paradosso italiano, perché sono quasi tutte zone dove la presenza di un’alternativa ai canali formativi tradizionali sarebbe fondamentale per combattere l’altissima percentuale di Neet e l’elevata presenza di ragazzi che abbandonano i banchi di scuola prima del tempo.

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la Circolare n. 39 che dà il via alle iscrizione degli adulti, anche con cittadinanza non italiana, ai percorsi formativi loro riservati per l’anno scolastico 2014/15. Entro la fine di maggio, ma di fatto anche fino al prossimo 15 ottobre, tutti coloro che hanno superato l’età anagrafica per far parte di un corso di studi normale, potranno chiedere di iscriversi alle rinnovate strutture denominate ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’: nei CPIA, collocati anche all’interno dei centri di prevenzione e pena, gli adulti potranno svolgere percorsi di istruzione di primo e secondo livello, ma anche di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana. I percorsi di secondo livello verranno attuati solo dopo la stipula di accordi di rete da sottoscrivere entro il 30 settembre 2014, all’interno di istituti superiori in orario serale.

Un’alta percentuale delle attività formative rivolte agli adulti si svolgerà all’interno delle nuove strutture create appositamente dal Miur: i ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’. Il problema è che i 144 CPIA attivati non solo sono privi di dirigente scolastico, ma anche maldistribuiti: attraverso una ricerca svolta su dati ufficiali, l’Anief ha scoperto che, anche a seguito dei tagli effettuati negli ultimi due anni, ci sono regioni – come Campania, Molise, Umbria e Veneto - che non possono contare nemmeno su un centro formativo per adulti.

Eppure la Campania è la regione italiana dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti solo 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, è concentrata una percentuale altissima degli oltre 2 milioni e 200mila Neet italiani: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Appare quindi quasi paradossale che in Lombardia, dove la presenza di Neet è meno delle metà (16,2%) di quella della Campania, sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir “rimane un mistero su quali motivazioni logiche abbiano portato l’amministrazione a rinnovare i centri di formazione per gli adulti non attivando nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet. Una regione dove i diplomati, riporto gli ultimi dati Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore. E addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere le superiori sono il 65% dei giovani”.

La Campania, inoltre, si contraddistingue per l’alto numero di abbandoni scolastici: ben il 22% dei giovani lascia i banchi anzitempo. In zone d’Italia dove abbandonano Neet e giovani senza titolo di studio, la presenza di centri di formazione per adulti sarebbe quindi fondamentale: i CPIA, infatti, che alla lunga dovrebbero sostituire i tradizionali corsi serali per adulti, permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Gli obiettivi sono contenuti nella Gazzetta Ufficiale 47/2013: negli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 è stato pubblicato il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, dove si indicava la messa a regime immediata delle nuove strutture, comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.

Sempre nel D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento. Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.

L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per due milioni e mezzo di Neet. Oltre che per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale. Ad oggi però siamo ancora in alto mare: la partecipazione ai corsi italiani per adulti rimane tra le più basse dei paesi avanzati: gli italiani tra i 25 ed i 64 anni che si formano sono appena il 6,6%. Una vera miseria: basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.

Per approfondimenti:

ISTAT - Giovani che non lavorano e non studiano (2013)

Il Regolamento sui Centri di formazione per gli adulti: D.P.R. 263/12

Istruzione, altra bacchettata Ue all’Italia: solo in Grecia serve più tempo per trovare lavoro dopo il diploma

 

Il dato è contenuto in una ricerca del Forum PA sui lavoratori pubblici, che apre domani 27 maggio a Roma: eppure nella scuola dovrebbe essere massima la flessibilità e l'attenzione al nuovo. Colpa del blocco del turn over e delle assunzioni. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è sempre più impellente un ricambio generazionale e trasformare in tutor i docenti con 25 anni di servizio svolti. E si porti avanti la proposta del Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia: bisogna ringiovanire la PA immettendo energie giovani.

La crescita culturale degli otto milioni di studenti italiani è affidata ad al corpo insegnante più vecchio d’Europa: secondo una ricerca del Forum PA sui lavoratori pubblici, che apre domani 27 maggio a Roma, “nella scuola, dove massima dovrebbe essere la flessibilità e l'attenzione al nuovo, l'età media è di 51 anni”. Nell’anno in corso, del resto, due insegnanti italiani su tre sono ultracinquantenni, ben l’11,3% ha più di 61 anni ed appena lo 0,2% ha meno di 30 anni.

Nei paesi Ocse, invece, in media i docenti giovani under 30 sono il 10%. La carta d’identità dei nostri insegnanti stride addirittura rispetto a quella dei colleghi lavoratori della pubblica amministrazione italiana: basti pensare che nelle forze di polizia, fanno notare dal Forum PA, l’età media è oggi di 41 anni e nel 2001 era di appena 33 anni. Una quota che secondo i ricercatori si sta alzando inesorabilmente, con la Scuola a detenere tutti i record, nazionali e non, “anche a causa del blocco del turn over e delle assunzioni”.

I dati del Forum PA confermano quanto sostiene da tempo l’associazione sindacale Anief. Nella scuola italiana i giovani continuano ad essere lasciati ai margini. Ancora oggi il 15% degli insegnanti lavora per l’ordinario funzionamento con contratti a tempo determinato: nell’a.s. 2013-2014 sono stati sottoscritti quasi 140mila contratti annuali. A peggiorare la situazione è stata poi la riforma pensionistica Monti-Fornero, che quest’anno ha portato a 62-63 anni la pensione di anzianità. E quando la “stretta” entrerà completamente in vigore, gli attuali 70mila docenti ultra 60enni lieviteranno vertiginosamente.

Ma nella scuola il blocco del turn-over è stato causato anche dalla riduzione del rapporto tra il numero degli studenti e degli insegnanti: è vero, a tal proposito, che oggi la media è ferma a 12, due unità inferiore alla media Ocse (14), ma non bisogna dimenticare che questo rapporto non tiene conto di alcune peculiarità tutte italiane, quali l’utilizzo di 110mila insegnanti di sostegno a fronte di 22mila alunni con handicap (2,5% del totale) e di 30mila insegnanti di religione.

“Se siamo arrivati a questo punto – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – la colpa è di chi governando il paese continua a dimenticare che l’insegnamento è scientificamente collocato tra le categorie professionali più a rischio burnout. Mentre si continuano a tutelare altre professioni, per gli insegnanti la soglia della pensione è stata addirittura posticipata, quando entrerà a regime, a 67-68 anni”.

Anief ribadisce che per evitare di ritrovarci con degli insegnanti sempre più vecchi e demotivati occorre trasformare in tutor per nuovi docenti coloro che hanno svolto 20-25 anni di servizio. Il tutoraggio e la supervisione dell’operato dei giovani insegnanti permetterebbe da una parte di svecchiare il personale in cattedra, dall’altra di migliorare la qualità complessiva dell’insegnamento, visto che le nuove generazioni di docenti potrebbero acquisire conoscenze, capacità e competenze oggi non trasmissibili alla luce anche dell’assenza di corsi di aggiornamento.

Anief ritiene quindi utile portare avanti la proposta presentata alcune settimane fa del ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, che ha espresso l’intenzione del suo dicastero di voler porre le condizioni normative per attuare dei prepensionamenti nel settore “per immettere energie giovani” e “ringiovanire la PA". Premesso che i prepensionamenti cui ha aperto finalmente la Funzione Pubblica non dovranno prevedere penalizzazioni economiche per i beneficiari, va ricordato al Ministro Madia che tra i primi a fruirne dovranno essere i 4mila docenti e Ata della Scuola: hanno iniziato l’anno scolastico 2011/12 presentando regolare domanda di pensionamento, ma poi sono rimasti “incastrati” a seguito dell’approvazione dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

“Il Governo deve insistere su questa strada – commenta ancora Pacifico – scrollandosi per una volta delle necessità ragionieristiche dello Stato. Anche perché la Ragioneria generale ha dimostrato che assorbire gli attuali 140mila precari annuali docenti e Ata della scuola risulterebbe conveniente per lo Stato: permetterebbe, infatti, un risparmio di almeno 750 milioni di euro l’anno. Tanto è vero che tra il 2007 e il 2012 la stabilizzazione di quasi 25mila lavoratori del servizio sanitario nazionale e 28mila dipendenti precari delle regioni e delle autonomie locali ha comportato un risparmio sui costi sostenuti dall’amministrazione, rispettivamente, di 80 e 285 milioni di euro. Senza dimenticare – conclude il sindacalista Anief-Confedir- che immettendo in ruolo i precari della PA, si metterebbe la parola fine alle procedure di infrazione attivate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per l’abuso di contratti a tempo determinato”.

Per approfondimenti:

Con il 2014 altro giro di vite sulle pensioni: gli insegnanti italiani i più vecchi al mondo

Spending Review: mantenere i dipendenti precari aumenta la spesa pubblica

Quota 96: se Governo e Mef non trovano la copertura ci penseranno i giudici a mandarli in pensione

PA – Anief plaude alla proposta del Ministro Madia sui prepensionamenti: si cominci dai 4mila ‘Quota 96’ della scuola