Varie

Anief-Confedir: urge una riforma che preveda una deroga nella formulazione degli organici dei docenti. Il dato è emerso incrociando gli indicatori dell’ultimo rapporto Agnelli sul sensibile taglio dei prof, con i più recenti rapporti nazionali sulla scuola italiana e sulle discrepanze di sviluppo socio-economico tra Nord e Sud. Marcello Pacifico: è la dimostrazione che occorrono regole flessibili, la scuola è fatta di alunni in carne e ossa: non si può pensare di compararla ad un’azienda dove si fabbricano robot. Il premier Renzi ne tenga conto se vuole veramente rilanciare l’istruzione nel nostro paese.

Sul fronte dell’Istruzione dei giovani il Sud è sempre più abbandonato a se stesso. La conferma arriva dall’incrocio dei dati forniti in queste ultime ore dalla Fondazione Agnelli sull’elevata percentuale di insegnanti di ruolo tagliati tra il 2007 e il 2012 - con i record negativi (tra il 16% e il 18%) riscontrati nelle province di Nuoro, Reggio Calabria e Isernia - , con quelli pubblicati da Abi-Censis sulle ‘Otto Italie in cerca di politiche di sviluppo’, da cui emerge l’impellente necessità di avviare delle “politiche economiche organiche” a partire dal Sud dove il ritardo è davvero notevole, e le indicazioni del Miur sull’alto tasso di dispersione scolastica rilevata proprio nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Dal primo rapporto, da cui si emerge che le scuola è il comparto pubblico che più di tutti “ha contribuito in questi ultimi anni agli obblighi sempre più stringenti di rispettare i vincoli di bilancio e alla necessità di ridurre la spesa pubblica”, emerge che “dal 2007 al 2012 il personale della scuola statale (insegnanti e Ata) è diminuito del 10,9%, una percentuale quasi doppia della media del pubblico impiego”. Anche se il numero di alunni tra il 2009 e il 2012 è aumentato di 90.990 unità, quello degli insegnanti si è ridotto del 9% passando “da 843mila a 766mila: una riduzione – continua la Fondazione Agnelli - che ha toccato in eguale misura tutti i gradi scolastici, con l’eccezione della scuola dell’infanzia, e ha riguardato in modo più vistoso i docenti con un contratto a tempo determinato (-25%), mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%”.

Quel che è particolarmente grave è che dal rapporto della fondazione piemontese emerge che, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Il problema è che scorrendo il rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, si evidenza che le aree dove lo “squilibrio socio-economico” è maggiore sono quelle del Sud e delle Isole. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre i territori dove c’è maggiore possibilità di crescita e sviluppo sono quelli del Nord, in particolare il Friuli, il Trentino, il Veneto, la Lombardia e il Piemonte. Con il settentrione che fa quindi “da traino”.

Anief ha appurato che queste zone coincidono (dati Miur) con quelle dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico: anche in questo caso, le regioni dove i giovani lasciano i banchi prima dei 16 anni, sono Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. E, per chiudere il cerchio, sempre il sindacato ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet (Not in education, employment or training), che complessivamente in Italia conta 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, pari al 23,9%, che il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone dove coinvolge un giovane su due.

“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – dimostrano che gli attuali criteri sulla formazione dell’organico dei docenti, derivanti dal D.P.R. 81 del 2009, con gruppi-classi che possono raggiungere 27-28 alunni, non può essere adottata anche nelle aree disagiate e a rischio: in quelle del Sud, in pratica, sono altri i parametri da adottare. È giunta l’ora di introdurre quindi dei criteri diversificati, sulla base dei parametri di disagio socio-economico delle singole aree. E per questo occorre prevedere delle risorse aggiuntive, ad iniziare da un diverso rapporto docenti-studenti, facendo così cadere l’unicità degli organici e della formazione delle classi. Il premier Renzi ne tenga conto nel piano di rilancio della scuola, che ha detto di voler presentare nei prossimi giorni”.

“La scuola – continua Pacifico - è fatta di alunni in carne e ossa, che hanno esigenze diverse: non è una fabbrica, non si può pensare di comparare i giovani che studiano a dei robot o a degli operai. Anche la più recente giurisprudenza sul dimensionamento scolastico ha confermato questa linea: il numero di scuole e di alunni va rapportato alle esigenze territoriali, tanto è vero che la competenza rimane esclusiva degli enti locali. A fronte, del resto, di un maggior tasso di abbandono scolastico, di Neet e di flussi migratori particolarmente accentuati, è evidente che va ripensata la modalità del servizio formativo pubblico che si va ad offrire. Solo così – conclude il rappresentante Anief-Confedir - si può pensare di rilanciare il capitale umano italiano, senza abbandonare al suo destino chi ha minori possibilità”.

Per approfondimenti:

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Abi-Censis: Territorio, banca, sviluppo - I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi

Servizio statistico Miur: Focus ‘La dispersione scolastica’ (2013)

E li chiamano Neet: dossier Anief-Confedir sull’evoluzione del quadro formativo e occupazionale dell’ultimo decennio

 

E dove vengono organizzati, in un anno raddoppiano i casi di pagamento dei corsi da parte delle famiglie. Alcuni istituti li affidano addirittura agli alunni più bravi. Un fenomeno che va di pari passo al crollo di tutte le attività extra-didattiche: dalle gite all’attività motoria pomeridiana, fino ai corsi di teatro, fotografia, lingua, recupero e di valenza sociale. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): tutta colpa dei tagli al Miglioramento dell’offerta formativa attuati dai Governi nell’ultimo biennio: quest’anno il Miur ha stanziato per le scuole appena un terzo dei fondi del 2011. E poi ci meravigliamo se in Italia i dati sull’abbandono scolastico rimangono elevati.

L’abbattimento dei fondi destinati al Miglioramento dell’offerta formativa sta costringendo le scuole superiori a non rispettare l’attivazione dei corsi dei recupero previsti per gli studenti con una o più materie insufficienti: le indicazioni introdotte con l’articolo 2 dell’ordinanza ministeriale 92/2007, voluta dall’ex ministro Giuseppe Fioroni per fare in modo che alle istituzioni scolastiche superiori venga conferito “l’obbligo di attivare gli interventi di recupero” da destinare anche agli “studenti che riportano voti di insufficienza negli scrutini intermedi”, si sono piegate agli interessi ragionieristici del Ministero dell’Economia. Sino a trasformarsi in una debacle del servizio pubblico di recupero dei cosiddetti “debiti”.

Quanto accaduto nelle ultime settimane, in corrispondenza della fine del primo quadrimestre, vale più di qualsiasi commento. Da un’indagine del portale Skuola.net, che è andato ad intervistare 2.250 studenti delle superiori, è emerso che in media a uno studente su due quest’anno non viene data la possibilità di frequentare i corsi di recupero: è un dato preoccupante, perché è raddoppiato rispetto a quello dello scorso anno, quando da un’indagine dello stesso tipo era stata solo una scuola su quattro a non organizzare le attività pomeridiane.

Altrettanto preoccupante è il fatto che anche laddove si svolgono i corsi, vi sono comunque tanti problemi organizzativi di cui fanno le spese gli alunni: appena il 15% ha infatti dichiarato di poterli frequentare per tutte le discipline, mentre il 35% ha ammesso che la scuola li ha attivati solo per alcune materie. Ma la notizia che fa più riflettere è che sono in sensibile crescita (l’11%, contro il 5% dello scorso anno) gli istituti che pretendono dei contributi per la frequenza.

Come il liceo scientifico ‘Fermi’ di Cosenza, dove il dirigente scolastico, con l’avallo degli organi collegiali, ha deciso di istituire solo lezioni di recupero a pagamento: dimenticando l’ordinanza Fioroni, che non prevedeva di certo sovvenzioni da parte dei discenti, per 7-8 euro l’ora è stata data la possibilità agli studenti di vedersi garantire una didattica aggiuntiva, ha spiegato il capo d’istituto, Michela Bilotta, tenuta dai docenti dello stesso liceo. A Bologna, addirittura, ci sono istituti, come il Copernico, dove i corsi di recupero sono tenuti dagli alunni più bravi. Sempre nel capoluogo emiliano, in alcune scuole superiori, come l’Aldini e il Manfredi-Tanari, si fa anche ricorso agli studenti universitari perché garantiscono “costi più che contenuti”.

Ma come è stato possibile arrivare a questa situazione? Alla base di tutto c’è senz’altro la riduzione progressiva del Mof, il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa. Che nell’anno scolastico in corso ha raggiunto il top di decurtazione: dai 1.480 milioni del 2010/11 si è passati a 521 milioni. C’è la possibilità che possano essere integrati, ma in pochi ci credono. In ogni caso, ad oggi ciò ha prodotto un forte taglio di risorse dal Fondo d’Istituto, quello che attraverso la contrattazione integrativa va a retribuire le attività definite dall'articolo 88 del Contratto collettivo nazionale. Tra cui figurano, oltre i corsi di recupero, anche l’impegno dei docenti "in aula" per le innovazioni, la ricerca e la flessibilità organizzativa e didattica, le attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa, la progettazione e produzione di materiali utili alla didattica, le prestazioni aggiuntive del personale Ata.

Il flop non è, quindi, solo nel mancato supporto per colmare le carenze disciplinari degli alunni. Ma di tutte le attività a supporto della didattica. Spariscono quindi corsi di teatro, fotografia, lingua, recupero, progetti di valenza sociale come quelli sul bullismo e la dislessia. Esemplare il caso di Treviso, dove a causa dei “contributi dimezzati”, sta accadendo che “dopo le attività sportive pomeridiane, rischiano di saltare anche le gite”. E che dire di quanto sta accadendo a Firenze, dove le scuole sono sempre più “aggrappate” ai contributi delle famiglie, che arrivano anche a 160 euro l’anno? Oppure a Brescia, dove si è arrivati a capitalizzare la disponibilità di ex insegnanti, oggi in pensione, per garantire, gratuitamente, l'alfabetizzazione degli stranieri?

Quest’anno a far precipitare la situazione è stata la decisione del Governo, presa in accordo con i soliti sindacati, di andare a decurtare almeno 300 milioni di euro del Mof per coprire un diritto del personale: gli scatti automatici in busta paga, divenuti noti all’opinione pubblica con il pasticcio Mef-Miur di inizio anno, quando a decine di migliaia di docenti sono stati prelevati 150 euro mensili alle buste paga più povere dell’area Ocde. Tanto da costringere il Governo a varare in fretta un decreto riparatorio per l’immediato, ma poco rassicurante per coprire gli aumenti degli anni a venire.

“Quanto sta accadendo in oltre 2mila istituti superiori italiani – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è l’inevitabile conseguenza dei tagli ai finanziamenti alle scuole, ‘figli’ della politica all’insegna del risparmio ad oltranza. Che ha come agnelli sacrificali il personale scolastico e sui utenti, alunni e famiglie. Ora, è evidente che il Mof non doveva essere toccato: è un capitolo di spesa che il Miur doveva continuare a far confluire interamente agli istituti. Privarli di questi fondi significa condannarli al disservizio sicuro. E all’innalzamento del tasso di dispersione scolastica, che in regioni come la Sardegna è doppio rispetto alla media Ue”.

Il problema è che, in prospettiva, andrà sempre peggio: l’amministrazione scolastica, come ha anche confermato in questi giorni il nuovo Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, ha intenzione, attraverso il rinnovo del Ccnl, di trasformare il Fondo d’Istituto in un “tesoretto” per il merito dei docenti. “La vera intenzione dei nostri governanti – continua Pacifico – è quella di arrivare a pagare gli aumenti in busta paga, gli attuali scatti automatici, esclusivamente attraverso il Fis: quando il neoministro parla di merito e premialità, del resto, a cosa si può riferire visto che da parte dell’amministrazione l’unica politica attuata nell’ultimo quinquennio è stata quella del risparmio?”.

“Tornando ai corsi di recupero, tutto questo significa che saranno sempre più gli istituti a dover ricorrere a recuperi scolastici ‘in itinere’. Con la didattica bloccata per settimane e gli insegnanti impegnati nelle attività di ripetizione non più di pomeriggio, ma nelle ore normalmente dedicate alla didattica ordinaria. Per i dirigenti, del resto, è l’unico modo per avviare i recuperi, visto che i soldi a disposizione sono pochi. Così alla fine a pagare saranno gli alunni. E per due volte: perche usufruiranno di recuperi a singhiozzo e dovranno pure collaborare di tasca propria. Seppure nelle scuole statali la frequenza e i servizi della scuola dell'obbligo, sino al terzo anno compreso delle superiori, dovrebbe essere gratuita, come previsto – conclude il sindacalista Anief-Confedir - dall'articolo 34 della Costituzione”.

Per approfondimenti:

Scuola al palo: Governo e sindacati cancellano, in tre anni, 1 miliardo di finanziamenti per attività aggiuntive degli studenti. Tagliati 2/3 delle risorse stanziate nel 2011

Istituti allo sbando: il Miur taglia i fondi e i dirigenti si 'aggrappano' ai contributi delle famiglie

Scuole allo stremo, a Brescia si richiamano gli insegnanti in pensione per farli lavorare gratis

 

In Sardegna e Sicilia è record: abbandona troppo presto un ragazzo su quattro (il 25%), mentre la media europea è del 12,8% e in diversi paesi dell’Est si arriva anche al 5%. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): si continua a perpetrare la stessa politica che negli ultimi sei anni ha fatto ridurre il tempo scuola dei nostri alunni di un sesto. Se il Governo Renzi vuole puntare sul rilancio dell’istruzione non segua l’apertura del Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, alla cancellazione dell’ultimo anno della secondaria di secondo grado. Le vere armi per combattere la dispersione sono l’elevazione dell’obbligo scolastico a 18 anni e il rilancio dell’alternanza scuola-lavoro.

In Italia la dispersione scolastica si conferma a livelli altissimi: anche se tra il 2004 e il 2012 il fenomeno si è ridotto, ad oggi la quota di giovani che interrompe precocemente gli studi rimane del 17,6 per cento, il 20,5 tra i ragazzi e il 14,5 tra le ragazze. Tanto è vero che siamo terzultimi in Europa. A sostenerlo, attraverso un dettagliato report, realizzato su dati Istat, è oggi la rivista specializzata Orizzonte Scuola. Che si sofferma sul gap a livello nazionale tra Nord e Sud, con Sardegna e Sicilia a guidare la classifica degli abbandoni prematuri con percentuali vicine al 25%.

Per comprendere il grave ritardo rispetto all’Europa, basta dire che nel 2012 il valore medio dell’indicatore nell’Ue27 si è attestato al 12,8%. Con alcuni Paesi dell’Est, come Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia, che vantano quote particolarmente virtuose: addirittura attorno al 5 per cento. Inoltre, con quali prospettive l’Italia si avvicina al 2020, quando, secondo le indicazioni di Bruxelles, la dispersione scolastica massima di ogni Paese dovrebbe essere del 10%?

Preso atto di questo ritardo particolarmente grave, Anief-Confedir reputa illogico che il nuovo corso del Miur, attraverso le dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che ha parlato di “modello internazionale” da importare, sia orientato a ridurre di un anno il percorso formativo della scuola superiore: trasformare l’attuale sperimentazione, oggi concessa a nove istituti, in una organizzazione da far adottare all’intera filiera scolastica sarebbe un errore imperdonabile. Anche perché occorre ricordare che la stessa sperimentazione è viziata dal mancato via libera, indispensabile per le norme vigenti, del Cnpi. Il quale, nel frattempo, è stato anche fatto illegittimamente decadere.

Come già rilevato più volte dal sindacato e ribadito nel corso della conferenza “Spendere meno, spendere meglio”, a seguito dei tagli draconiani adottati in Italia negli ultimi sei anni l’orario scolastico dei nostri alunni è stato ridotto di un sesto. Con il risultato che oggi l’Italia detiene il triste primato di proporre un’offerta formativa di 4.455 ore studio nell’istruzione primaria (rispetto alle 4.717 dell’Ocse) e 2.970 in quella superiore di primo grado (rispetto alle 3.034 sempre dell’Ocse), con un tasso di Neet tra i 15 e i 29 anni del 23,2% rispetto al 15,8% dell’Ocse.

“L’alto tasso di abbandono scolastico che permane nel nostro Paese – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è la dimostrazione che diminuendo il tempo scuola non si migliora affatto la formazione scolastica. Se il Governo vuole veramente puntare sul rilancio della scuola e ridurre la disoccupazione, che ha raggiunto il 12,9% con un milione di posti persi dal 2008, porti l’obbligo formativo da 16 a 18 anni. E investa finalmente sull’alternanza scuola-lavoro: su stage e tirocini occorre una seria riforma, in modo da costituire dei poli formativi alternativi ai licei”.

“È avvilente pensare – continua Pacifico – che invece di puntare su questi investimenti, si continui a pensare di ridurre di un anno il percorso della scuola superiore: si tratta di un’operazione anti-pedagogica che non farebbe altro che incrementare la dispersione scolastica. Il tutto per agevolare, è inutile negarlo, il cinico piano ministeriale di soppressione di 40mila cattedre e 50mila posti complessivi: un’operazione che già il Governo Monti aveva quantificato in un risparmio nazionale pari a 1.380 milioni di euro. Producendo su larga scala – conclude il rappresentante Anief-Confedir – quella contestazione che in questi giorni stanno conducendo i docenti di Filosofia, ma anche di Latino e Greco, a cui si vorrebbero già sottrarre le ore di insegnamento”.

 

Anief-Confedir ricorda al nuovo responsabile di Viale Trastevere che nell’ultimo quinquennio il costo della vita è aumentato del 12%, mentre le buste paga dei nostri insegnanti sono state incrementate meno del 10%. Tanto è vero che sono i peggio pagati della PA italiana e risultano in fondo alla classifica degli stipendi di categoria dell’area Ocde. Marcello Pacifico: esemplare quanto accaduto nel 2012, quando sono stati penalizzati più di tutti con un decremento medio retributivo del -2,6%. Non ha senso parlare di meritocrazia se non si portano risorse aggiuntive.

“Prima di concentrarsi sul merito degli insegnanti, il nuovo Ministro dell’Istruzione farebbe bene ad adeguare i loro stipendi al costo della vita e alla media dei paesi Ocde, impegnandosi innanzitutto per far stanziare risorse aggiuntive e interrompendo la prassi di effettuare prelievi forzati dai fondi destinati dalle istituzioni scolastiche, ridotti ormai quasi all’osso”: è la risposta di Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, alle intenzioni espresse sulla carta stampata dal neo-Ministro, Stefania Giannini, riguardo alla necessità di rivedere il modello degli scatti d'anzianità stipendiali, reputati in vita solo per “un mancato coraggio politico del passato”.

“Il Ministro Giannini – sottolinea Pacifico – fa bene a preoccuparsi di incentivare la professionalità, ma prima di tutto ha l’obbligo di allineare le buste paga dei docenti italiani all’inflazione, visto che questa nell’ultimo quinquennio è aumentata di circa il 12%. Mentre nello stesso periodo gli stipendi di chi insegna, con l’ultimo Contratto collettivo nazionale di lavoro, si sono attestati attorno ad un incremento del 10%. Per poi bloccarsi con l’approvazione della Legge 122/2010. Tanto da farli sprofondare in fondo alla classifica di quelli percepiti dagli insegnanti europei. È evidente che non si può parlare di introdurre la meritocrazia senza adeguare gli stipendi base al costo della vita indicato dall’Istat”.

Anief-Confedir non può che esimersi dal denunciare che finché ciò non si concretizzerà, le nostre istituzioni continueranno a tradire l’articolo 36 della Costituzione, oltre che a umiliare la professionalità di centinaia di migliaia di insegnanti che operano nei nostri istituti. A tutti i livelli: scuola dell’infanzia, primaria e secondaria. La riprova di tutto ciò è sostenuta anche da diversi studi internazionali, tutti concordi nel dire che oggi a fine carriera i nostri docenti percepiscono tra i 6 e gli 8 mila euro in meno rispetto alla media dei colleghi dei paesi avanzati.

E anche a livello nazionale sono i meno pagati nella PA. Scorrendo l’ultimo ‘Conto annuale’, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, emerge che nel 2012 docenti e Ata della scuola hanno percepito in media 29.548 euro annui: un compenso inferiore anche ai dipendenti dei ministeri, delle regioni e delle autonomie locali. Le professioni ‘in divisa’ percepiscono circa 10 mila euro annui in più. Rispetto ai lavoratori della presidenza del Consiglio del ministri, il gap sale a 20mila euro. Per non parlare dei magistrati, che, forti della sentenza n. 223/2012 favorevole alla concessione degli ‘scatti, viaggiano su parametri completamente diversi portando a casa ogni anno oltre 140 mila euro.

Gli effetti dei dispositivi normativi che hanno portato a questa situazione, hanno comportato per i dipendenti della scuola un danno crescente: ai ‘tiepidi’ incrementi del triennio 2007-2009, è seguito un progressivo peggiorare della situazione. Dopo il 2010, contrassegnato da appena un +0,4%, oltre che dall’entrata in vigore del decreto legge 78 che è andato a bloccare pure la vacanza contrattuale, abbiamo assistito a un 2011 caratterizzato da una crescita retributiva individuale praticamente nulla. E un 2012 che ha comportato addirittura un decremento medio retributivo nella PA dell’1% rispetto all’anno precedente, con la scuola più penalizzata di tutti con un preoccupante -2,6%.

“Prima di progettare qualsiasi riforma – spiega quindi Pacifico – occorre quindi affrontare l’allineamento stipendiale. E per farlo, il legislatore dovrà necessariamente avviare un confronto con tutte le componenti, ad iniziare da associazioni e sindacati, che operano nel settore scolastico. Ed è anche indispensabile che si interrompa la prassi di includere nelle Leggi di Stabilità delle manovre al risparmio che vedono il settore della scuola sistematicamente bersagliato. Come non si possono più approvare dei provvedimenti, come il decreto legislativo 150/2009, voluto dall’allora ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, che pongono l’istruzione pubblica alla pari degli altri comparti statali. Salvo poi cercare di rettificare l’errore strada facendo, come è accaduto nel 2010 e 2011 quando per recuperare gli scatti di anzianità bloccati per legge – conclude il sindacalista Anief-Confedir – si è andati a ‘raschiare’ quasi un terzo dei risparmi derivanti dalla legge 133/2008 Tremonti-Gelmini”.

Per approfondimenti:

Il conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato

 

Il Miur ha comunicato i dati ufficiali sull’anagrafe degli studenti del prossimo anno scolastico: aumentano di 25.546 unità alle superiori e di 9.216 alla primaria, con un leggero calo (-785) nella scuola secondaria di primo grado. Anche nel 2013 vi fu un incremento di 30.000 iscritti: è evidente che servono più insegnanti. Invece permane il blocco degli organici e tra il 2007 e il 2012 l’amministrazione ha soppresso oltre 100 mila cattedre.

Ci risiamo. Per il secondo anno consecutivo gli studenti frequentanti i corsi di studi della scuola italiana aumentano in modo considerevole: di 33.997 unità, derivanti da un incremento di 25.546 allievi (+ 1,03%) alle superiori e di 9.216 (+0,36%) alla primaria. Mentre hanno fatto registrare un lieve decremento di 785 (-0,05%) nella scuola media. Ma anziché adeguare l’organico dei docenti a questo importante boom di allievi, il Ministero dell’Istruzione ha comunicato ai sindacati che non ci saranno variazioni del corpo docente. A ben vedere, però, la forbice prof-alunni si sta sempre più allargando. Scorrendo gli ultimi dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato si scopre che tra il 2007 e il 2012 il personale della scuola ha perso oltre 124 mila posti (facendo registrare un -10,9%): da 1.137.619 unità di personale si è passati a poco più di un milione. E la gran parte di questi posti persi, almeno 100 mila, appartengono al corpo docente.

L’impossibilità per l’amministrazione di incrementare il loro numero, sebbene per il secondo anno consecutivo vi fossero impellenti necessità di adottare un incremento, soprattutto nelle aree con più iscritti, trova origine nel blocco all’organico di diritto previsto dalla Legge n. 122/2102. Che abbinato a quello sull’innalzamento del numero minimo di alunni per istituto (a ridosso di 1.000), prodotto un anno prima, con la Legge 111/2011, dal prossimo settembre andrà a determinare sempre più classi con un numero di discenti oltre misura: oltre 28 allievi in media per quelle iniziali. Che non di rado diventano raggruppamenti di 30 e più alunni. Non rispettando, in questo modo, le misure in vigore che, soprattutto in presenza di spazi ridotti, impongono precisi vincoli per non ledere il diritto allo studio. E superando i limiti previsti dalle norme sulla sicurezza e dalla prevenzione degli infortuni.

A tal proposito, il sindacato ricorda che esistono leggi sulla formazione degli istituti scolastici mai decadute, a partire dai criteri previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998. E che la Consulta, con la sentenza n. 147 del 7 giugno 2012, ha sonoramente bocciato la chiusura o l'accorpamento degli istituti con meno di mille alunni. Bocciatura ribadita, più di recente, anche dai tribunali della Sardegna e della Calabria, che si sono soffermati sull’abuso che lo Stato ha effettuato appropriandosi della decisione di mantenere o cancellare le scuole: si tratta, infatti, di un terreno di diretta competenza regionale. Inoltre, va ricordato che essendo naufragato l'accordo in Conferenza Stato-Regioni, da cui sarebbero dovuti scaturire i nuovi parametri minimi di alunni per istituto, per mantenere in vita le scuole bisognava necessariamente tornare ai vecchi parametri numerici: 600 alunni nelle aree urbane e 400 alunni in quelle montane.

Quello che l’amministrazione scolastica ha fatto – rendendosi artefice nell’ultimo triennio della soppressione di un terzo delle scuola autonome, passate da oltre 12 mila alle attuali 8 mila – poggia quindi su un presupposto fallato. Che, bisogna ricordare, ha portato anche alla cancellazione di 4 mila Dsga e dirigenti. Con il risultato che siccome i plessi sono rimasti oltre 50 mila, oggi un preside gestisce la propria scuola e altre 4-5 sedi scolastiche. Non di rado collocate a decine di chilometri l'una dall'altra.

“Il problema – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che attraverso la Legge 111 del 2011, il legislatore si è permesso di far cadere l’autonomia delle scuole d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, accorpandole in mega-istituti senza capo né coda, rette da dirigenze in perenne affanno. Bypassando, tra l’altro, la competenza esclusiva delle Regioni, le quali conoscono molto meglio, come indicato chiaramente dalla Corte Costituzionale, le esigenze dei loro territori”.

“Non è un caso che il nostro sindacato – continua il rappresentante Anief-Confedir - abbia deciso di contrastare questa impostazione, patrocinando gratuitamente i ricorsi ai Tar contro il dimensionamento selvaggio. Un’opera che abbinata al blocco degli organici, anche a fronte di un incremento sostanzioso di alunni, come avverrà nel prossimo anno, sta producendo timori sempre maggiori, purtroppo fondati, sulla funzionalità del servizio scolastico. Proprio nei giorni in cui un milione e mezzo di ragazzi stanno scegliendo il loro nuovo istituto”.