Varie

A rimarcarlo è ‘Eurydice’, attraverso un dossier sugli investimenti nell'istruzione nei paesi del vecchio Continente: tagli soprattutto su numero di insegnanti, investimenti in infrastrutture e verso ICT. Pacifico (Anief-Confedir): il nostro è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria, contro un aumento medio del 62%. I nostri governanti ancora non hanno capito che più si taglia e più la dispersione e l’insuccesso scolastico aumentano.

Nell’ultimo anno in Europa si è riscontrato aumento generalizzato di investimenti a favore dell’istruzione di oltre l'1%. L’Italia, invece, continua a segnare il passo, con una riduzione dell’1,2% rispetto al 2012. Il dato è stato pubblicato dall’agenzia ‘Eurydice’ attraverso un dossier sugli investimenti nell'istruzione da parte dei paesi europei. Dalle notizie contenute nel documento, raccolte dalla stampa specializzata, emerge che “una diminuzione può essere registrata in paesi come Irlanda, Croazia, Cipro (-15,8%), Malta, Regno Unito - Inghilterra, Italia (-1,2%), Finlandia”. Inoltre, “in generale, i tagli hanno riguardato soprattutto il numero di insegnanti e gli investimenti in infrastrutture e ICT (attrezzature e software )”.

Anief-Confedir ricorda che questi risultati nazionali trovano origine anche in alcune manovre introdotte negli ultimi anni in regime di spending review. Come il blocco del turn-over, la precarizzazione del rapporto di lavoro ed il rinnovato sistema di finanziamenti delle università. In questo modo, se già nel 2000 l’Italia spendeva -2,8% della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% - Ocse 12,6%), dieci anni dopo si ritrova in controtendenza sempre all’ultimo posto persino tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% - Ocse 13,0%).

Il saldo è negativo pure rispetto al P.I.L.: - 0,9% nel 2000 (Italia 4,5% - Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% - Ocse 6,3%), dove siamo collocati al terzultimo posto (31°). Complessivamente, in dieci anni la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione già di per sé l’80% di quella destinata dagli altri Paesi Ocse è scesa del 10% in controtendenza all’aumento, seppur modesto, del 3% registrato sempre negli altri Paesi. Così da abbassarsi al 67% rispetto a livelli intermedi.

“Per raggiungere questi risultati – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - lo Stato italiano ha pensato bene di andare ad intaccare risorse e organici della scuola. In particolare negli ultimi sei anni sono stati cancellati 200mila posti, sottratti 8 miliardi di euro e dissolti 4mila istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento (poi ritenuto illegittimo dalla Consulta). Ora, siccome è scientificamente provato che i finanziamenti sono correlati al successo formativo, questi dati non sorprendono: più si taglia e più la dispersione e l’insuccesso scolastico aumentano”.

A tal proposito, non bisogna dimenticare che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria, contro un aumento medio del 62%. Nell’ultimo anno sono persino aumentate, dal 25% al 100%, le tasse richieste dalle Università agli studenti fuori corso. E soltanto il 15% degli italiani tra i 25-64 anni ha riscontrato un livello di istruzione universitario rispetto a una media OCSE del 32%, mentre la percentuale di studenti quindicenni che spera di conseguire la laurea è scesa dal 51,1% del 2003 al 40,9% del 2009. Con il numero degli insegnanti italiani di età media over 50 che rappresentano ormai il 57% del personale.

E a dare la ‘mazzata’ finale al sistema scolastico è stata la riforma di tutti i cicli introdotta durante l’ultimo Governo Berlusconi, con il ministro Gelmini a capo del Ministero di viale Trastevere: basta dire che ha introdotto la riduzione di un sesto l’orario scolastico. Tanto è vero che oggi l’Italia detiene il “primato” di far svolgere ai suoi alunni della primaria 4.455 ore studio, rispetto alle 4.717 dell’Ocse. E 2.970 in quella superiore di primo grado rispetto alle 3.034 sempre dell’Ocse. Un’operazione che ha spazzato via, come ragionieristicamente calcolato dal Mef, diverse decine di migliaia di insegnanti.

Ma il calo di interesse si è manifestato anche all’Università. Cui ormai si iscrive appena il 30% dei neo diplomati. Anche in questo caso, stavolta a seguito della Legge 240/2010, abbiamo assistito alla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea. Con i ricercatori che si sono sempre più eclissati. Risultato: il numero di giovani iscritti all’università che oggi raggiunge la laurea è infatti il più basso di tutti. Tanto che l’Italia si posiziona, in alcune fasce d’età, oltre 15 punti percentuali sotto la media europea.

“Al di là dei proclami – continua Pacifico - , anziché investire seriamente nella formazione, in professionalità, in tempo scuola, in competenze, ad iniziare da quelle nell’Ict, senza dimenticare l’apprendistato, da rilanciare assieme ad artigianato, turismo e nuove tecnologie, in Italia si è continuato a considerare l’istruzione un settore quasi marginale. Portando così le scuole allo stremo, tanto che alcuni dirigenti sono arrivati a chiedere ad ogni famiglia fino a 300 euro l’anno di contributi. Mentre spendere per formare capitale umano significa credere nella capacità civilizzatrice e lavorativa dell’uomo e gettare le basi per la costruzione di una società equa e solidale. Oltre che – conclude il sindacalista Anief-Confedir - per il rilancio dell’economia”.

Per approfondimenti:

La revisione della spesa nell’istruzione e nell’università

Abbandoni scolastici: Italia peggio di tutti nell’Ue a 27

Nel 2013 Italia decurta investimenti sull'istruzione dell'1,2%

 

Anief-Confedir: anziché assumere 11.851 collaboratori scolastici, il Governo si è affidato a ditte di pulizia esterne e a cooperative di ex Lsu. Ma i soldi risparmiati non hanno portato alcun beneficio, nemmeno l'assunzione prevista dal decreto del 'fare' di 1.500 docenti e ricercatori. Pacifico (Anief-Confedir): a conti fatti lo Stato sta spendendo il doppio e producendo disservizi all'utenza scolastica. Tanto valeva mettere in ruolo i tradizionali bidelli, che provvedono pure alla sorveglianza dei nostri alunni.

Stanno assumendo proporzioni nazionali i disservizi dovuti all'affidamento delle pulizie di migliaia di scuole a ditte esterne negli istituti del Nord e a cooperative di ex lavoratori socialmente utili al Sud. La riduzione progressiva dei finanziamenti statali per le cooperative di ausiliari sta producendo una carenza di pulizia tale che, notizia delle ultime ore, alcuni dirigenti sono stati costretti a chiudere i propri istituti.

Il sindacato, che ha preso posizione in tempi non sospetti, reputa quanto sta accadendo una conseguenza della insensata politica dei tagli decisa dai nostri governanti anche su questo fronte di spesa: due anni fa, infatti, si spendevano per le pulizie cosiddette esternalizzate circa 600 milioni di euro. Nel 2013 la spesa si era ridotta già di un terzo. E il 2014 sarà ancora peggio.

Tramite il decreto del “fare”, approvato nei mesi scorsi su spinta del Consiglio dei ministri, sono stati sottratti 25 milioni per l'anno in corso e altri 50 verranno risparmiati nel 2015. Arrivando così in meno di un lustro a dimezzare la spesa: tra un biennio lo stanziamento pubblico per le ditte di pulizie esterne sarà di appena 280 milioni. Ma si tratta di un'operazione di spending review che non porterà alcun beneficio: a conti fatti lo Stato sta spendendo il doppio e producendo disservizi all'utenza scolastica.

Come se non bastasse, l'obiettivo del Governo di garantire, con i soldi risparmiati, le assunzioni nelle università e negli enti di ricerca, elevando tra il 20 e il 50% il turn-over rispetto all'anno precedente, è venuto meno. E ciò a causa del successivo blocco delle assunzioni protratto fino al 2018.

"Bisognerà attendere almeno cinque anni per vedere realizzata l'assunzione dei previsti 1.500 docenti ordinari e di altrettanti nuovi ricercatori", ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir. "Solo che nel frattempo - continua - le scuole stanno chiudendo perché sono piene di immondizia. Tanto valeva, allora, assumere in ruolo gli 11.851 collaboratori scolastici messi da parte proprio per risparmiare i fondi destinati a fare spazio ai lavoratori socialmente utili e alle cooperative che li gestiscono. Il personale Ata della scuola avrebbe garantito un servizio migliore e anche quella sorveglianza agli alunni che i pulitori esterni non assolvono".

"Su questa vicenda - continua Pacifico - pesa poi il parere dei giudici amministrativi, che con la sentenza numero 333 del Tar del Lazio hanno reputato illegittimo tagliare il personale Ata e nel contempo mantenere in vita dei posti da assegnare ad ausiliari esterni alla scuola a minor costo: con quella sentenza, tecnicamente è stato annullato l’accantonamento dei posti previsti dal DPR 119/2009, laddove non investito delle stesse riduzioni di posti relativi all’organico Ata disposto dalla legge 133 del 2008. In sostanza - conclude Pacifico - oltre 11mila collaboratori scolastici oggi sarebbero stabilizzati e i fondi mal gestiti sarebbero bastati anche, come riportava la relazione tecnica del decreto del 'fare', per coprire le loro progressioni di carriera".

Per approfondimenti:

Assurdo tagliare i servizi di pulizie nelle scuole per finanziare le assunzioni nelle università

 

I dati Almalaurea confermano un divario sempre maggiore, con il tasso di occupazione tra chi ha terminato l’Università che al Settentrione supera ampiamente il 50% mentre nelle regioni meridionali si ferma al 35%. Differenze ampie anche per gli stipendi. Anief-Confedir: il gap ha origine nella differenza di investimenti tra le diverse aree del Paese, ma anche nelle capacità diversificate del tessuto industriale di accogliergli. Per cambiare strada occorre potenziare gli investimenti e riprogrammare da subito il sistema produttivo attorno alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale.

Si allarga sempre più la forbice tra nord e Sud. Almeno su formazione e opportunità lavorative. I dati emessi nelle ultime ore da ‘Almalaurea’ indicano un “aumento di due punti percentuali rispetto a quanto rilevato nella precedente indagine del consorzio: il tasso di occupazione si attesta, infatti, al 52,5% tra i laureati del Nord, dove il 17% continua ancora gli studi, mentre si ferma al 35% al Sud e ciò indipendentemente dalla sede universitaria e delle facoltà dove i giovani hanno compiuto i propri studi.

Inoltre, laurearsi oggi al Sud significa probabilmente guadagnare meno soldi. La ricerca di Almalaurea ha registrato degli stipendi netti dei laureati al Nord (1.086 euro) decisamente più alto rispetto ai “colleghi” freschi di titolo di ‘dottore’ delle regioni centrali (1.001 euro) e soprattutto di quelli che hanno raggiunto l’ambìto titolo universitario nel Mezzogiorno (900 euro).

Anche lo Stato, che per decenni ha rappresentato un punto fermo della forza lavoro, non riesce più a recepire laureati. Una recente indagine nazionale, sempre realizzata da Almalaurea, ha rilevato che appena l’11% dei “dottori” con laurea specialistica, oltre il triennio, a un anno dal conseguimento del titolo di studio lavora nella pubblica amministrazione. A fronte dell’83,5% che opera nel privato, cui va aggiunto il restante 5,5% occupato nel non profit.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “questi dati confermano che l’Italia viaggia sempre più a due velocità: al punto che nemmeno il titolo di studio più elevato, la laurea, riesce a garantire il posto di lavoro. Il gap di quasi 20 punti percentuali parla da solo. Ci sono comunque alcune considerazioni da fare. La prima è che il divario ha origine nella differenza di investimenti tra le diverse aree del Paese. Vale per tutti l’esempio di quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha prodotto un tempo pieno nella scuola primaria solo per il 3 per cento degli alunni. Nello stesso anno il tempo pieno in Lombardia era presente nel 90 per cento delle scuole primarie”.

“C’è poi il problema della diversa ricezione degli investimenti, a causa del differente tessuto industriale. Un caso per tutti è quello dei tentativi mancati per una formazione più di qualità. Basti pensare – sostiene il sindacalista Anief-Confedir - all’abbattimento dei fondi destinati a combattere l’abbandono scolastico. Ma anche alle promesse mai mantenute su un migliore orientamento per le iscrizioni successive alla licenza media e dell’obbligo formativo da posticipare fino a 18 anni. Oppure al mancato decollo dell’apprendistato”.

“In queste condizioni – continua Pacifico – è normale che le zone tradizionalmente più in difficoltà vadano ancora più a fondo. E non riescono più a reggere il passo. Perché è storicamente provata la forte associazione tra povertà, bassi livelli di istruzione, modesti profili professionali ed esclusione dal mercato del lavoro. Non è una sorpresa, quindi, scoprire che al Meridione vi sono i più alti tassi di abbandono scolastico in età di obbligo formativo. Con il risultato che negli ultimi cinque anni tra il Sud e le Isole si sono persi 150mila alunni - con Molise, Basilicata e Calabria che accusano riduzioni tra il 7% e il 9% - mentre al Nord c’è stato un incremento di 200mila iscritti”.

Il sindacato torna quindi ad esortare le forze governative a riprogrammare il sistema produttivo nazionale attorno alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Il fine è promuovere un’economia durevole in un settore privo di concorrenza. E che al Sud può dire la sua. Ma per farlo occorre finalmente integrare il settore pubblico con il privato, affidando la ‘cabina di regia’ a tutti gli attori e i settori dell’economia italiana: industrie, artigianato, agricoltura, parti sociali, banche, chiese e vi dicendo. Ma anche recuperando il patrimonio esistente: per puntare alla creazione di parchi e percorsi tematici, musei. In modo da creare o potenziare la ricettività turistica correlata. E riuscire, nel contempo, a cominciare ad assorbire almeno una parte di quel 65% di laureati che a distanza di anni dal conseguimento del titolo rimane ancora disoccupato.

Per approfondimenti:

Italia divisa in due: tra i laureati che cercano lavoro, una differenza del 17% tra nord e Sud

Per il lavoro dei neolaureati Nord e Sud sempre più lontani

Nel pubblico impiego porte chiuse ai laureati: solo l’11% trova lavoro nello Stato

Sindacato: Anief presenta alla Confedir Mit una proposta di piano di sviluppo economico

 

In 5 regioni l'elenco ufficiale delle sedi scolastiche non è ancora pronto: allievi e famiglie costrette ad attendere che tutte le Giunte definiscano il nuovo piano di dimensionamento. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ma oltre che in ritardo saranno pure iscrizioni illegittime, perché essendo naufragato l'accordo in Conferenza Stato-Regioni per stabilire i nuovi parametri minimi, per mantenere in vita gli istituti bisognava tornare ai vecchi parametri numerici: 600 alunni nelle aree urbane e 400 alunni in quelle montane. Come, del resto, stabilito dalla Consulta. E così ripristinare 2mila scuole soppresse negli ultimi due anni.

Altro che procedura da avviare in anticipo: circa un milione e mezzo di alunni, oggi iscritti alla quinta classe primaria e alla terza media, dovranno attendere almeno i primi di febbraio per poter scegliere il nuovo istituto a cui iscriversi il prossimo anno scolastico. Al contrario di quanto aveva fatto intendere il Ministero dell'Istruzione appena qualche settimana fa, annunciando una conclusione anticipata delle operazioni rispetto alle consuete scadenze di inizio febbraio, oggi la stampa specializzata ha rivelato che "a conti fatti si entrerà nel vivo non prima del 4-5 febbraio e, dovendo lasciare alle famiglie un certo periodo di tempo per effettuare l’iscrizione, la conclusione di tutta la procedura è prevista, a questo punto, per la fine di febbraio nella migliore delle ipotesi".

Il ritardo è dovuto al fatto che la procedura informatica centralizzata delle operazioni, a livello ministeriale, prevede che tutte le regioni debbano avere completato il proprio piano di dimensionamento. E anche se la scadenza era stata fissata al 31 dicembre, "pochi giorni fa mancavano ancora all’appello 5 regioni: Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania". E così anche nelle regioni in cui il piano era stato approvato in tempo, in certi casi anche prima delle vacanze di Natale, bisognerà attendere che quelle in ritardo presentino finalmente il nuovo elenco di scuole.

Stavolta però il Miur non ha colpe. Attraverso la nota prot. n. 3 del 7 gennaio 2014 il Ministero ha predisposto tutte le operazioni propedeutiche all’iscrizione degli alunni al prossimo anno scolastico: le scuole avranno tempo fino al 24 di questo mese per personalizzare i moduli di iscrizione disponibili nel sito ministeriale. Successivamente, tra il 27 e il 31 gennaio, gli uffici di Viale Trastevere dovranno verificare che i moduli siano corretti e, in caso contrario, modificarli. Solo dopo le famiglie potranno registrarsi. E successivamente, entro la prima decade di febbraio, se va bene, potranno avere inizio le vere iscrizioni on line. L'incombenza riguarda, tra l'altro, solo gli alunni che escono da primarie e medie statali: negli istituti paritari la scelta di adottare le iscrizioni via internet rimane facoltativa. Mentre per le scuole d'infanzia la domanda continuerà a essere cartacea.

"Il vero problema - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - è che nel 2013 è clamorosamente naufragato l'accordo in Conferenza Stato-Regioni per stabilire i nuovi parametri minimi per mantenere in vita gli istituti. Ma siccome il comma 5 dell’art. 19 della Legge n.111 del 2011, quello che prevedeva l'innalzamento sensibile del numero di alunni per istituto, è decaduto (perché aveva efficacia solo fino all'anno scolastico in corso) non bisognava fare altro che tornare ai vecchi parametri numerici minimi: 600 alunni nelle aree urbane e 400 alunni in quelle montane. Come, del resto, stabilito dalla Corte Costituzionale attraverso la sentenza n. 147 del 2012".


"Le regioni quindi - continua il sindacalista Anief-Confedir - farebbero bene a utilizzare questo periodo per pubblicare un piano di dimensionamento adeguato alla normativa vigente. E non alle imposizioni dell'amministrazione centrale. Mostrino coraggio, ripristinando, da subito, le 2mila scuole autonome soppresse negli ultimi due anni a seguito della Legge 111 del 2011. Altrimenti - conclude Pacifico - le iscrizioni non si concretizzeranno solo in ritardo. Ma anche in modo illegittimo".

 

Quanto previsto nel ‘Job Act’ del nuovo Segretario del Partito Democratico è ciò che il sindacato sostiene da anni, ovvero il varo di una legge sull’organizzazione sindacale che rilanci la tutela dei lavoratori, altrimenti destinati ad una progressiva ulteriore riduzione di diritti e potere d’acquisto dei loro stipendi. Marcello Pacifico: ottima anche l’idea di riscrivere un piano industriale specifico per settori, che porti a quella riprogrammazione del sistema produttivo auspicata da tempo. Sono punti imprescindibili per tornare a creare posti di lavoro e arrestare quella crescita della disoccupazione che proprio oggi l’Istat ci ha confermato da record negativo rispetto agli ultimi 35 anni.

Anief-Confedir accoglie con entusiasmo le proposte annunciate dal nuovo Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, attraverso la enews n. 381 dell’8 gennaio: “Renzi fa bene a rivendicare una legge sulla rappresentatività sindacale – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché il fallimento della politica concertativa dei sindacati confederali ha portato ad un progressivo impoverimento della rappresentanza. È giunto il momento di rilanciare la tutela di una categoria, quella dei lavoratori, ormai sempre più abbandonata a se stessa”.

“La perdita di credibilità di chi oggi detiene il potere sindacale in Italia – continua Pacifico - si riflette anche nella progressiva riduzione del potere d’acquisto degli stipendi e dei diritti sindacali: dopo anni di conservatorismo e staticità, è giunto il momento di avviare una nuova stagione. Finalmente in grado di rispondere alle domande di tutti i lavoratori. E dare loro la possibilità di aderire ad alternative sindacali valide che conducano al cambiamento”.

La politica dei tagli e degli insulti, anche questa avallata negli ultimi anni dai sindacati più rappresentativi, non ha certo contrastato l’accrescere del tasso di disoccupazione, in particolare quella giovanile, proprio oggi rendicontata dall’Istat attraverso le stime provvisorie: a novembre gli under 24 senza lavoro hanno toccato il 41,6%, con un aumento di 0,2 punti rispetto a ottobre e di quattro punti rispetto a un anno prima. E il tasso è al top dall'inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977. Preoccupa anche il tasso di disoccupazione generale, che sempre a novembre 2013 si attesta al 12,7%, con un aumento di 0,2 punti percentuali sul mese precedente e di 1,4 punti su un anno. Anche questo, purtroppo, è un dato record negativo.

“Per uscire da questa spirale – continua Pacifico – fa bene Renzi ad indicare l’avvio di un nuovo piano industriale specifico per settori. Che vanno dall’agricoltura e cibo al Made in Italy, dall’Ict alla Green Economy, sino al Nuovo welfare e all’Edilizia. Si tratta di un passaggio ineludibile, se si vuole riprogrammare il sistema produttivo del Paese: la stessa indicazione è stata prodotta dal nostro sindacato due anni fa, quando chiese pubblicamente di investire nell’economia attraverso un piano di riconversione industriale e riprogrammazione del sistema produttivo, intorno alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale”.

“Ma per ottenere questo obiettivo – dice il sindacalista Anief-Confedir – occorre un progetto politico condiviso, che porti finalmente ad un cambio di rotta epocale nel settore della formazione, dell’istruzione, della produzione. Quello su cui Renzi, appunto, oggi intende puntare. A tal fine, il sindacato reputa fondamentale l’azione comune tra scuola, università e mondo del lavoro: bisogna investire forte sull’apprendistato e sull’orientamento formativo. Solo così sarà possibile sviluppare competenze, ridurre l’abbandono scolastico e accademico. E rilanciare finalmente l’occupazione”.

Per approfondimenti:

Anief presenta alla Confedir Mit una proposta di piano di sviluppo economico