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Marcello Pacifico (Anief-Confedir): quest’anno la situazione si è complicata per il sovrapporsi di impegni, in particolare per la conclusione dei Pas. Ma anche per i compensi inadeguati, fermi al 2007.

Per giorni e giorni di lavoro intellettuale, caricandosi di responsabilità enormi, in scuole quasi sempre prive di aria condizionata, un presidente di commissione percepisce 1.200, un commissario esterno 911 euro, uno interno appena 399 euro. Più la diaria di viaggio, ma poi ci sono da togliere tasse e oneri.

Un’alta percentuale di quel mezzo milione di studenti che in queste ore inizia la maturità è orfana dei commissari e presidente assegnati dal Miur alle oltre 12mila commissioni sparse per il territorio nazionale: la stampa specializzata riferisce che alcune città e province il reperimento dei docenti e dirigenti scolastici è ancora in alto mare. Problemi, in particolare, si riscontrano a Venezia, nella provincia di Napoli ed in alcune città della Lombardia, dove il numero di defezioni dell’ultimo momento risulta decisamente alto.

Il sindacato ritiene assurdo che nel 2014 si debba assistere ancora all’allestimento di commissioni fuori tempo massimo, con i membri mancanti reperiti all’ultimo momento. “Quest’anno – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – a rendere più caotica la situazione è la sovrapposizione degli impegni dei membri di commissione: oltre 65mila docenti, infatti, sono impegnati nelle fasi conclusive dei Percorsi abilitanti speciali ed il Miur non ha potuto fare altro che autorizzarli ad abbandonare le commissioni per completare il percorso universitario che nei prossimi giorni li porterà a conseguire l’abilitazione”.

Ma non finisce qui: ancora la stampa specializzata riferisce, infatti, che a livello nazionale una delle situazioni più difficili è quella di Brescia, dove “alle normali defezioni si aggiungono quelle dei docenti precari impegnati nei PAS, nonchè quelle dei docenti che dal 1° luglio dovranno assumere l'incarico di Dirigente Scolastico”.

“La mancanza di programmazione del Ministero dell’Istruzione – continua il rappresentante sindacale Anief-Confedir – sta presentando un conto davvero salato. Che purtroppo, ancora una volta, pagheranno gli studenti. Per esaminare i quali si verranno a creare migliaia di commissioni improvvisate, con una parte dei membri che raggiungeranno le sedi d’esame anche a prove svolte”.

Il sindacato ritiene che a pesare sulle assenze di massa dei commissari e presidenti incaricati sia anche e soprattutto il compenso irrisorio previsto dal Miur, che è ancora quello del 2007: un presidente di commissione, ricordiamo, percepisce 1.200 euro, mentre un commissario esterno 911 euro, il commissario interno appena 399 euro. A queste quote, che sono lorde e quindi vanno decurtate di oneri vari e tasse, i membri hanno diritto ad una diaria di “viaggio” variabile, legata alla distanza dal comune di residenza o dalla sede di servizio.

Come se non bastasse, dal 2012 il Miur ha comunicato, attraverso la circolare 7321/12, che i compensi assegnati ai commissari interni, prevedono pagamenti aggiuntivi soltanto se operano su più commissioni. Così, ai tanti giorni di lavoro intellettuale svolti in condizioni di caldo asfissiante e carichi di responsabilità enormi, per decine di migliaia di professionisti dell’insegnamento si aggiunge il pagamento irrisorio. Che con gli anni, anziché adeguarsi almeno al costo della vita, si assottiglia sino a rasentare il ridicolo.

Per approfondimenti:

Il Decreto Interministeriale del 24 maggio 2007 che ancora oggi regola i compensi dei commissari e presidenti dell’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria superiore

 

La maggiore quantità di discenti in determinate province non verrà compensata con un proporzionale e logico aumento di almeno 10mila insegnanti. Invece rimangono fermi ai 600mila del 2011. Così l’aumento degli iscritti per classe, almeno in determinate zone, sarà inevitabile. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): si continua a fare cassa tenendo la spesa per il personale docente sui modesti standard cui è stata condotta nel 2011 con i tagli epocali della Legge 133/2008. Solo che nel frattempo l’utenza è aumentata. Ergo: il prossimo anno la scuola italiana produrrà un’offerta più scadente.

Dopo i sindacati, anche le Regioni bocciano la decisione del Miur di confermare per il prossimo anno scolastico l’organico nazionale degli insegnanti di tre anni fa malgrado gli alunni siano molti di più: la decisione è particolarmente grave, se solo si pensa che nel frattempo il numero degli iscritti alle classi della scuola pubblica è aumentato di oltre 87mila unità. Quasi 35mila in un solo anno. Alla luce di questa contraddizione, che farà necessariamente crescere il numero delle classi “pollaio”, durante l’ultima Conferenza Unificata, i governatori “hanno espresso parere negativo allo schema di decreto sulla definizione delle dotazioni organiche per l'anno scolastico 2014-2015”.

“Il Parere negativo della Conferenza – si legge in una nota delle Regioni - ribadisce l’analoga posizione assunta anche per i precedenti anni scolastici ed è la conseguenza del fatto che i criteri utilizzati dal Ministero risultano poco chiari e non condivisibili”. I Governatori non sono convinti, in pratica, della decisione del Miur di compensare l’aumento degli alunni con il decremento demografico in alcune aree del Paese: perché, in ogni caso, visto che la matematica è una scienza esatta, la maggiore quantità di discenti in determinate province non verrà compensata con un proporzionale e logico aumento di insegnanti. Comportando, inevitabilmente, un aumento di alunni per classe.

“Anief – spiega il suo presidente Marcello Pacifico - plaude alla decisione delle Regioni di prendere le distanze dall’amministrazione centrale, ma a differenza dei suoi rappresentanti ha da tempo chiaro il motivo per cui il numero dei docenti continua a mantenersi costante pur in presenza di un sensibile aumento dell’utenza scolastica: al di là dei buoni propositi, la ‘molla’ risale alla mera ed esclusiva esigenza di continuare a fare cassa, tenendo bassa la spesa per il personale e mantenendo il capitolo della Scuola sui modesti standard cui è stata condotta nel 2011 a seguito dei tagli epocali derivanti dalla Legge 133/2008 approvata dall’ultimo governo Berlusconi”.

“Come allora, quindi, l’ordine dell’amministrazione statale e scolastica rimane quello di mantenere la stessa dotazione di insegnanti. Ma l’effetto – continua Pacifico – sarà sicuramente peggiore: perché se nell’anno scolastico 2011/2012, sempre a seguito della “mannaia” Tremonti-Gelmini, si volatizzarono oltre 100mila cattedre rispetto al 2008/2009, dal prossimo anno lo stesso numero di docenti, 600.839, dovrà far fronte ad una popolazione scolastica incrementata di quasi 90mila unità”.

Secondo i calcoli del sindacato, per lasciare inalterata la situazione, senza strascichi negativi sulla didattica, il Miur avrebbe dovuto provvedere a creare 10mila posti da insegnante in più. Il calcolo è presto fatto: dividendo gli 87mila alunni per 25 (un numero medio di alunni per classe) si ottengono circa 3.500 nuove classi. Che per coprire l’orario settimanale necessitano mediamente di due-tre docenti, considerando anche quelli di sostegno.

Se a questo aggiungiamo che, rispetto sempre nell’ultimo triennio, i fondi per il Miglioramento dell’offerta formativa si sono sempre più assottigliati, passando dai 1.480 milioni del 2010/11 ai 521 milioni effettivamente sbloccati per 2013/14 e a cui per via dell’accordo sottoscritto all’Aran per salvare gli scatti del 2012 verrà aggiunto ben poco, per il presidente dell’Anief la conclusione è purtroppo scontata quanto amara: “il prossimo anno scolastico – dichiara Pacifico – la qualità media dell’offerta che fornirà l’istruzione pubblica italiana sarà più bassa di quello che si sta concludendo in questi giorni con gli Esami di Stato”.

 

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): la riduzione degli organici non ha portato benefici alla collettività, sotto forma di tasse, che invece sono aumentate, e ha ridotto la qualità dei servizi pubblici. E nel frattempo gli stipendi si sono fermati ai valori del 2009.

Il 16 giugno si è consumato uno dei giorni più neri per le tasche dei cittadini e delle aziende italiane: nelle prima parte della giornata hanno dovuto fare i conti con una serie di scadenze fiscali - la Tasi, la Tari, l’Imu, l'Irpef, l'Irap e l'Iva – che non ha eguali al mondo; poi, nel pomeriggio, hanno appreso da Eurostat che tra il 2011 e il 2012 l'Italia è stato in Europa il Paese che, dopo l'Ungheria, ha conosciuto l'aumento maggiore della tassazione rispetto al Pil.

I nuovi dati pubblicati oggi da Eurostat indicano che, sempre nel 2012, la tassazione nel nostro Paese è arrivata a livelli da record, passando dal 42,4% al 44%: rispetto al 2002 l'Italia ha aumentato il rapporto tassazione/pil di 3,5 punti percentuali, la Germania lo ha diminuito di 0,2%, la Francia lo ha aumentato dell1,7%, la Spagna lo ha diminuito dell'1,6%.

“Viene da chiedersi – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – a cosa sia servito tagliare del 10 per cento i posti in organico della Pubblica Amministrazione negli ultimi anni, a discapito di un aumento della spesa pubblica. È stata chiaramente un’operazione fallimentare. Perché non ha portato benefici alla collettività, sotto forma di tasse, che invece sono aumentate, e ha ridotto la qualità dei servizi pubblici. Anche perché contemporaneamente la PA ha dovuto anche fare i conti con il blocco del turn over, che ha comportato una lievitazione del numero dei precari: oggi sono 250mila, la metà dei quali nella scuola”.

Con la pressione fiscale che ha raggiunto livelli record, Anief-Confedir ritiene quindi ancora più preoccupanti le prospettive di riforma della PA, presentate giovedì scorso da Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, già approvate nei giorni scorsi con decreto legge dal Consiglio dei Ministri: non c’è alcun cenno alla problematica dell’enorme mole di precariato che opera per ministeri ed enti locali, non si fa accenno agli stipendi sempre più al di sotto del tasso di inflazione. Mentre si pensa di risolvere i problemi trasferendo da un settore all’altro (in modo obbligatorio, quanto illegittimo) gli statali che risultano in posizione di soprannumerarietà.

“Non si comprende che continuare a tenere bloccato il contratto, invece di approvare un aumento del 5% su tutti gli stipendi a partire dal 2010 per coprire almeno il gap sull’inflazione, rappresenta un’operazione di ulteriore deperimento della spesa: come fanno le famiglie a risollevare il mercato se percepiscono stipendi fermi ai valori di cinque anni fa? Gli ultimi Governi hanno fatto a gara per appesantire la situazione fiscale: nella scuola, ad esempio, dal 1° gennaio 2011 lo Stato ha deciso di applicare illegittimamente la trattenuta del 2,5% dallo stipendio per l’accantonamento del trattamento di fine rapporto (il cosiddetto Tfr). E che dire – conclude amaramente Pacifico - del mancato adeguamento all’inflazione delle pensioni superiori ai 1.400 euro al mese?”.

Per approfondimenti:

PA – Anief-Confedir: la proposta del Ministro Madia allontana l’Italia da Europa e Costituzione, dimenticati 250mila precari e stipendi ridicoli

 

Per Anief c’è poco da esultare: per permettere di assolvere il diritto degli aumenti stipendiali automatici vengono tagliati in modo irrecuperabile 124 milioni di euro nel 2013 (che si aggiungono ad altri 280 già cancellati), circa 550 milioni per il 2014 e 350 milioni per il prossimo anno. Con la prospettiva che il taglio di oltre un terzo del MOF diventi permanente.

Bisognava invece puntare allo sblocco del contratto e far avere 1.200 euro l’anno a dipendente dal 2010. Non bastano gli aumenti riservati soltanto ad una parte, peraltro in cambio di tagli e calpestando il diritto costituzionale (art. 36) ad un’equa retribuzione. Con la paga base che rimarrà ferma per altri tre anni e mezzo ai valori del 2009. Nella PA nessun dipendente percepisce stipendi più bassi.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è un accordo a perdere, che non arresta il processo di proletarizzazione della categoria. E pesa in negativo sull’offerta a supporto della didattica, perché l’anno prossimo farà avere alle scuole meno soldi di quello che si è appena concluso. L’unica buona notizia è l’aver salvato le posizioni economiche legate alle prestazioni aggiuntive svolte nell’ultimo triennio dal personale Ata.

L’accordo raggiunto oggi all’Aran sul recupero degli scatti di anzianità del personale scolastico, relativi al 2012, attraverso il via libera del Governo ai 120 milioni di euro ottenuti dai tagli, non può rallegrare né il personale né l’utenza. L’accordo, infatti, prevede anche una sostanziosa sottrazione di fondi, circa 1 miliardo e 300 milioni in soli tre anni, destinati agli istituti attraverso il Miglioramento dell’offerta formativa: per permettere di assolvere il diritto degli aumenti stipendiali automatici vengono tagliati in modo irrecuperabile 124 milioni di euro nel 2013 (che si aggiungono ad altri 280 già cancellati), circa 550 milioni per il 2014 e 350 milioni per il prossimo anno. Con la prospettiva che il taglio di oltre un terzo del MOF, il 34% di meno di un miliardo di euro complessivi, diventi permanente.

Inoltre, l’accordo ancora una volta non si applica ai 140.000 precari, lascia fuori i 100.000 assunti a tempo indeterminato dal 2011 per i quali questi anni trascorsi non valgono ai fini della ricostruzione di carriera, poi non è indicizzato al costo della vita per chi tra i restanti 760.000 dipendenti della scuola ha maturato lo scatto nel 2012. Continuano infatti a mancare in media 90 euro mensili da attribuire a partire dal 2010, sia per il cronico mancato rinnovo contrattuale, sia per “colpa” del comma 452 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, la 147/13, che ha di fatto bloccato lo stipendio ai valori del 2009. E così si rischia di andare avanti per altri tre anni e mezzo.

Per questo la concessione degli scatti stipendiali ad alcune decine di migliaia di dipendenti risulta essere solo un palliativo. Qualora, infatti, fosse stato applicato l’aumento minimo previsto dalla legge in caso di mancato rinnovo del contratto, qual è appunto l’indennità di vacanza contrattuale, oggi tutti i dipendenti della scuola avrebbero in busta paga quasi 1.200 euro in più ogni anno. Mentre eccoci ancora a commentare l’ultima Legge di Stabilità 2014, che avendo fissato l’indennità “per il triennio 2015-2017 al livello di quella in godimento dal mese di luglio 2010”, condanna i docenti ed il personale Ata della scuola ad un'altra lunga stagione di blocco stipendiale.

Visto che l’indennità di vacanza contrattuale non è altro che un anticipo degli aumenti di stipendio, è un dato inequivocabile che se rimane ferma fino al 2017 ai valori del 2009 significa che per i prossimi tre anni e mezzo non vi sarà alcun aumento di stipendio. Incrementando, in tal modo, il gap già esistente rispetto agli altri paesi europei, dove a fine carriera in media gli insegnanti delle superiori percepiscono quasi 8mila euro in più ogni anno.

“La verità - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che con il D.lgs. 150 del 2009 gli aumenti stipendiali sono stati autorizzati solo attraverso i risparmi al medesimo settore pubblico. E questo procedere ha prodotto, in appena un lustro, dei risultati disastrosi: l’ultimo ‘Conto annuale’, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato ha ravvisato che nel 2012 docenti e Ata hanno percepito in media 29.548 euro, l’importo annuo più basso della PA, inferiore pure ai dipendenti dei ministeri, delle regioni e delle autonomie locali. Non a caso, anche nei precedenti rinnovi, nella scuola si è preso l’1% in meno del resto del pubblico impiego”.

“Ma soprattutto – continua il sindacalista Anief-Confedir - la Ragioneria statale ha scritto che tra il 2008 e il 2012 mentre il costo della vita aumentava del 12%, gli stipendi dei dipendenti pubblici sono cresciuti del 9%. Con quelli di docenti e Ata incrementati di meno dell’8%. Fa pensare che invece il settore privato, nello stesso periodo, abbia fatto registrare un confortante +18%. Per questo, entusiasmarsi per aver portato a casa gli scatti automatici del 2012 appare come rallegrarsi per aver conquistato delle briciole”.

“Per questi motivi l’Anief ha sempre sostenuto che la politica concertativa dei sindacati più rappresentativi ha fatto il suo tempo: la firma di un accordo a perdere è infatti umiliante per la categoria, che incassando un riconoscimento davvero modesto continua a procedere verso la sua proletarizzazione. Inoltre, sottrae ancora soldi alle attività scolastiche a supporto della didattica, che l’anno prossimo saranno meno di quello che si è appena concluso. L’unica buona notizia dell’accordo sottoscritto oggi all’Aran – conclude Pacifico – è l’aver messo al sicuro le posizioni economiche dell’ultimo triennio scolastico, dal settembre 2011 al 31 agosto 2014, scongiurando il pericolo, come ha sempre chiesto Anief, di restituire dei soldi già percepiti con lo stipendio”.

A queste condizioni, quindi, il sindacato conferma la linea dei ricorsi ai giudici, dove rivendica l’illegittimo blocco contrattuale, non previsto dalla Costituzione italiana, rispetto alla quale vengono infangati diversi articoli: il 39, prima di tutto, ma anche il 2, il 3, il 35, il 36 ed il 53. Una tesi, quella della violazione degli articoli della Costituzione, che il tribunale di Roma, nella persona del giudice Fedele, ha avuto modo di apprezzare sollevando questione di pregiudiziale costituzionale della stessa Legge 122/2010. La Confedir, cui aderisce l’Anief, si è costituita in questi giorni ad adiuvandum al ricorso promosso dalla FLP-CSE che è approdato alla Consulta e ha chiesto attraverso i suoi legali di rinviare alla Corte di Giustizia Europea gli atti per violazione dell’ultima direttiva comunitaria 2002/14/UE che garantisce il diritto alla consultazione e informazione dei lavoratori e all’art. 27 del Trattato dell’Unione.

Contestualmente, Anief, invita tutto il personale della scuola a costituirsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per denunciare la disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici in regime di privatizzazione del rapporto di lavoro che hanno un contratto bloccato, i dipendenti pubblici in servizio come magistrati o avvocati dello Stato che hanno dal dicembre 2012 sbloccati gli aumenti, e i lavoratori privati che non hanno avuto alcun blocco. Scrivere per info a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per approfondimenti:

DEF – Le rassicurazioni del MEF sul blocco degli scatti non cambiano la realtà: fino al 2018 gli stipendi rimarranno fermi

 

Il gap inizia con la prima infanzia: solo il 2,5% dei bambini fino a 3 anni fruisce di un nido in Calabria, mentre in Emilia Romagna sono il 26,5% e in Europa uno su tre. Contemporaneamente cala l’investimento dei Comuni meridionali per l’istruzione, diminuisce il numero di docenti e di strutture scolastiche. Il disinvestimento colpisce anche gli alunni disabili. E gli ultimi dati Ocse sono impietosi. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): in Italia chi nasce oggi nel Mezzogiorno, soprattutto da famiglie indigenti e in zone deprivate a livello socio-culturale, ha alte possibilità di non poter fruire di servizi scolastici adeguati. Se non si inverte la tendenza, stiamo condannando una parte della nostra Penisola all’eutanasia.

Il livello d’istruzione degli alunni del Mezzogiorno si allontana sempre più dall’Europa e dal resto dell’Italia: la dispersione scolastica rimane del 24,8% in Sicilia e Sardegna, del 21,8% in Campania, del 19,7% in Puglia. La media nazionale di alunni che lasciano banchi e libri prima dei 16 anni è invece del 17,6% di alunni, quella dell’UE del 12,7% e le indicazioni che arrivano da Bruxelles sono di arrivare al 10% entro il 2020. Il dislivello è evidente anche in altri contesti scolastici, ad iniziare da quelli della prima infanzia: solo il 2,5% dei bambini fino a 3 anni fruisce di un nido in Calabria, mentre in Emilia Romagna sono il 26,5% e in Europa uno su tre.

I dati, forniti in queste ore da ‘Save the Children’ e dalla Fondazione ‘Con il Sud’, confermano le preoccupazioni che l’Anief esprime da tempo: in Italia chi nasce oggi al Sud e nelle Isole, soprattutto da famiglie indigenti e in zone deprivate a livello socio-culturale, ha alte possibilità di non poter fruire di servizi scolastici adeguati. Vale più di tante parole quanto accaduto qualche giorno fa nel napoletano, dove i carabinieri della compagnia Napoli-Vomero e della stazione di Marianella hanno denunciato 82 genitori per inosservanza degli obblighi d'istruzione. Nella maggior parte delle situazioni rilevate, le forze dell’ordine hanno riscontrato condizioni di disagio familiare e tanta rassegnazione: ‘che li mandiamo a fare a scuola visto che non c’è lavoro?’, hanno risposto diverse famiglie.

Anche il Censis ha lanciato l’allarme: se nel 2012 in tutta Italia i ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno conseguito al massimo la licenza media sono stati pari al 17,6%, nelle regioni meridionali la percentuale è stata del 21,1%. Con Sicilia e Sardegna che hanno raggiunto livelli record, visto che gli under 24 che non hanno conseguito nemmeno una qualifica professionale sono addirittura il 25%.

E pure per chi rimane sui banchi del Sud la strada si pone in salita: le indagini Ocse-Pisa evidenziano un grave ritardo nelle competenze di base possedute dai 15enni italiani dei nostri ragazzi meridionali. In Italia il 21% dei 15enni ha competenze solo minime nella lettura (ma al Sud il dato sale al 25,2% e nelle isole è pari al 30,2%), il 25% in matematica (il 31% al Sud e il 35,9% nelle isole) e il 20,6% in scienze (il 26,6% al Sud e il 31,5% nelle isole).

L’ultima indagine dell’Ocse ci dice, in particolare, che mentre gli studenti di Trento, Friuli Venezia Giulia e Veneto sono tra i più bravi al mondo in matematica (tra le prime 14 aree territoriali a livello mondiale, praticamente ai livelli di Svizzera, Olanda e Finlandia), i 15enni siciliani occupano un posto basso molto più basso nelle ''performance con i numeri'', collocandosi tra Turchia e Romania (quasi al centesimo posto). Pure nei campi delle scienze e della lettura le eccellenze nazionali sono concentrate al nord est, con le prestazioni più scarse che si registrano anche stavolta al sud. Nella lettura, in particolare, la Sicilia occupa una posizione davvero bassa, collocandosi addirittura dopo la Repubblica Slovacca.

Questi dati, del resto, sono figli del sempre minore investimento per l’Istruzione dei giovani del Mezzogiorno. Si va dal decremento della spesa che nel quinquennio 2007-2012 le amministrazioni comunali del Sud hanno riservato all'istruzione (-13%), mentre per gli stessi capitoli di spesa i Comuni delle Regioni centrali e del Nord hanno rispettivamente incrementato la spesa del 4% e dell’8%, alla riduzione di insegnanti che operano nelle stesse aree del Paese: per il prossimo anno scolastico, infatti, il Miur ha previsto la cancellazione di 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna. Tranne l’Umbria, dove vi sarà un decremento di appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno un numero maggiore di docenti.

La riduzione non risparmia l’area dell’handicap: negli ultimi anni il numero di docenti di sostegno che operano nel Meridione si è ridotto sensibilmente, con la sparizione di oltre 4mila posti di cui 2.275 solo in Sicilia e 900 in Campania. Inoltre, il Mezzogiorno presenta la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici a norma.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “è giunta l’ora di invertire il gap di investimenti che lo Stato riserva alle regioni: il Sud ha bisogno innanzitutto di organici di personale maggiorati, soprattutto nelle aree più a rischio dispersione. Ma anche di investimenti a livello strutturale: è esemplare quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3% degli alunni. Mentre in Lombardia era presente nel 90% delle scuole primarie. Se non si inverte questa tendenza con un serio piano di sviluppo economico, di implementazione di idee e risorse, il meridione – conclude Pacifico - è condannato all’eutanasia”.

Per approfondimenti:

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