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Il sindacato plaude alla linea della CdC: negli ultimi cinque anni le buste paga di un pubblico dipendente sono aumentate in media del 9 per cento, quelle di un dipendente della scuola dell'8 per cento, mentre l'inflazione si è posizionata al 12 per cento. E a niente è servito il taglio del 6 per cento del personale e innalzare pericolosamente l'età media. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): basta elemosine, per risollevare gli stipendi di chi opera nella PA servono soldi veri.

La Corte dei Conti ha ragione quando sostiene, nel rapporto 2014 presentato oggi a Roma, che il bonus di 80 euro ai dipendenti che percepiscono meno di 26euro lordi l'anno è solo "un surrogato" rispetto ad una revisione complessiva dell'imposta. Anief-Confedir lo aveva detto in tempi non sospetti: per i pubblici dipendenti, in testa quelli della scuola, la riduzione del Cuneo fiscale, introdotta con l'art. 1 del D.L. 66 del 24 aprile 2014, è solo un 'contentino' che non può pareggiare quelle risorse che negli ultimi 20 anni i governi di turno hanno volutamente sottratto a milioni di lavoratori a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro avviata con il D.lgs. 29/1993.

Anziché prevedere delle risorse aggiuntive, attraverso le leggi Finanziarie, proprio per incentivare il personale in forza ai comparti pubblici, si è andati avanti con la concessione di vere e proprie elemosine. Con il risultato sotto gli occhi di tutti: negli ultimi cinque anni le buste paga di un pubblico dipendente sono aumentate in media del 9 per cento, quelle di un dipendente della scuola dell'8 per cento, mentre l'inflazione si è posizionata al 12 per cento.

Non è servito a migliorare la situazione, come rileva giustamente sempre la Corte dei Conti, nemmeno il sacrificio di tagliare di 6 punti percentuali, a partire dal 2008, il numero di occupati nello Stato. La manovra, non certo replicabile, sommata al blocco del turn over, ha infatti prodotto un decremento della qualità dei servizi ed un innalzamento dell'età media. Tanto che, rileva ancora la CdC, "oltre il 50 per cento del personale pubblico si colloca, nel nostro Paese, nella fascia superiore ai 50 anni".

"Queste manovre – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – stanno mostrando tutti i loro limiti. Oltre a dequalificare il personale in servizio, assegnandogli stipendi inadeguati, non fanno altro che acuire il problema della disoccupazione. Visto che per i precari delle amministrazioni pubbliche l'assunzione diventa sempre più una chimera".

"Solo nella scuola in pochi anni - continua Pacifico - si sono cancellati 140mila posti. Nel frattempo si è bloccata l’indennità di vacanza contrattuale fino al 2017, collocando le buste paga dei "fortunati" in servizio ai valori del costo della vita di cinque anni fa. Ora la chicca finale del bonus di 80 euro, che in tanti a fine anno dovranno anche restituire per via delle stime stipendiali troppo alte. Perchè, alla fine della giostra, appena quattro insegnanti su dieci percepiranno il bonus 300mila su 735mila in servizio oggi nella scuola pubblica".

Per approfondimenti:

Per i prof il bonus di 80 euro è una polpetta avvelenata

 

Bocciate dal mercato le leggi approvate negli ultimi 4 anni proposte dai vari Governi. I dati ISTAT parlano chiaro: 3,5 milioni di disoccupati, il 13,6% a livello nazionale ma quasi il doppio (21,7%) al Sud dove si tocca il 60,9% tra i giovani tra 15 e 24 anni a dispetto della media del 46%. Per Pacifico (Anief-Confedir), tra le varie ragioni, il mancato rispetto delle norme comunitarie sui contratti a termine, l’assenza di un piano di sviluppo economico e di riconversione del tessuto industriale, la riduzione dell’obbligo formativo a 16 anni.

“Tre provvedimenti che avrebbero potuto invertire una realtà amara che ci catapulta quasi quarant’anni indietro (1977) e che denuncia la condizione di un Sud sempre più abbandonato a se stesso”. Così commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir.

“Invece di introdurre provvedimenti tesi a favorire i licenziamenti dei lavoratori a termine o a tempo indeterminato, a sfuggire alle relative sanzioni imposte dalla UE, a ridurre il tempo scuola degli studenti, sarebbe bastato rispettare quanto previsto dal decreto legislativo 368/2001 così come originariamente formulato nel rispetto della direttiva 1999/70, e approvare un piano di sviluppo economico intorno al patrimonio culturale ripensando tutto il tessuto industriale del Paese e attuare quanto previsto dalla riforma Berlinguer nel 1999 sull’obbligo formativo a 18 anni”.

“Questi dati, specialmente per i più giovani, - conclude Pacifico - sono certamente da collegare all’alto tasso di abbandono scolastico e universitario e diventano preoccupanti se si osserva come tra i quindicenni, negli ultimi dieci anni, è diminuita l’aspettativa di iscriversi all’università dopo la maturità. Mentre i tagli lineari nel settore dell’istruzione in termini di organici e servizi al Sud, dove la maggior parte del territorio soffre un’evidente e regressione economica, così come attuati per esigenze di bilancio pubblico, hanno raddoppiato il numero dei disoccupati, mentre tra i giovani 347.000 cercano disperatamente un lavoro”.

 

Le stime della rivista Tuttoscuola danno ragione alla linea dell'Anief: via libera anche alla confluenza nella scuola dell'infanzia di 3mila maestri della primaria, al ritorno delle compresenze e dell'insegnante specializzato in inglese. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): i tagli della riforma Gelmini sono stati bocciati dai fatti.

Occorre introdurre nuove norme per ricollocare i 40mila insegnanti che nei prossimi 15 anni potrebbero andare in soprannumero a seguito del forte calo demografico e delle iscrizioni degli alunni: la stima, fornita dalla rivista Tuttoscuola, deve necessariamente preoccupare l'amministrazione e chi si occupa di scuola. Già tra cinque anni, infatti, "per effetto del calo delle nascite, verranno a mancare al primo anno delle scuole primarie 49.309 alunni, con un decremento di circa il 9%. L’onda di magra che ne seguirà nell’arco dei successivi tredici anni (2018-2030), sull’intero percorso scolastico, determinerà - stando agli attuali parametri - la chiusura di non meno di 23 mila classi e la soppressione di quasi 40 mila posti di docente.

"Una minaccia - conclude Tuttoscuola - anche per i tanti che premono per salire stabilmente in cattedra dopo una lunga trafila e per coloro che da studenti stanno puntando le loro carte sull’insegnamento. Sempre secondo la rivista specializzata, "i docenti in eccedenza per il calo di nascite e quindi di alunni, appositamente riqualificati, potrebbero essere impiegati in attività di orientamento, recupero, integrazione e digitalizzazione della scuola".

Anief apprezza la proposta di Tuttoscuola, ma chiede di ampliarne la portata. Occorre infatti prevedere un nuovo impianto legislativo che riassegni funzioni tutoriali a chi ha più esperienza: affidando questo nuovo ruolo ai docenti che hanno svolto 20-25 anni di servizio servirebbe a migliorare la qualità del servizio pubblico della scuola, assicurando ai nostri studenti degli insegnanti più giovani e spesso più motivati. Oltre che ad evitare che migliaia di docenti vadano in soprannumero.

"Per scongiurare questo rischio - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - serve anche un piano di prepensionamenti per i docenti con più di 60 anni di età. Quanto sta accadendo con i Quota96 ha dell'incredibile. Si prenda al volo la riforma della pubblica amministrazione, annunciata qualche settimana fa dal ministro Madia e che tra una decina di giorni sarà all'esame della presidenza del Consiglio dei ministri. Non bisogna fare ancora una volta l'errore di lasciare fuori l'insegnamento dalle professioni logoranti".

"Per evitare di lasciare senza cattedra 40mila insegnanti - continua Pacifico - si potrebbero poi utilizzare fino a 3mila maestri della scuola primaria nelle classi-ponte dell'ultima scuola dell'infanzia. E sempre nella primaria tornare finalmente alle ore di compresenza e all'insegnante specializzato in inglese: i tagli di queste due realtà, figli della riforma Gelmini, sono stati bocciati dai fatti. Dobbiamo tornare alle ex scuole elementari fiore all'occhiello dell'istruzione pubblica italiana. Mettere le scuole in sicurezza - conclude il sindacalista Anief-Confedir - è una necessità, ma non può bastare se si vuole continuare a sostenere che la scuola viene prima di tutto".

 

Dopo Brescia e Bolzano, anche la provincia di Barletta, Andria e Trani approva la costituzione di un albo di ex docenti disponibili a mettere gratuitamente a disposizione degli studenti la propria esperienza didattica e professionale per realizzare attività di recupero e/o sostegno. I motivi della Giunta pugliese: chi è stato insegnante una volta, è insegnante per sempre; spazio al principio di solidarietà intergenerazionale; questi docenti sentono ancora imperioso il sacro fuoco dell’insegnamento. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ecco cosa si arriva a fare pur di non affidare gli alunni a giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione. Non siamo contro il volontariato, ma è un segnale negativo: così lo Stato sta sempre più rinunciando ad espletare il diritto all’istruzione e al lavoro.

Le scuole pubbliche hanno sempre più difficoltà ad organizzare lezioni aggiuntive per il recupero degli studenti in difficoltà e con basso profitto? Non c’è problema: ci sono gli enti locali, che negli ultimi tempi si stanno sostituendo allo Stato. Peccato che lo facciano solo in un modo: riportando in classe gli insegnanti in pensione, coinvolgendoli in un’opera di mero volontariato. È successo qualche mese fa a Brescia. Qualche giorno fa a Bolzano. Ed ora sta accadendo a Barletta, Andria e Trani, dove la Giunta provinciale ha deliberato “di approvare l’iniziativa dell’istituzione di un Albo informale di docenti e professionisti in pensione disponibili a mettere a disposizione degli studenti gratuitamente la propria esperienza didattica e professionale per realizzare attività di recupero e/o sostegno in favore dei medesimi studenti”.

Il presidente e gli assessori provinciali hanno preso questa decisione, all’unanimità, dopo aver preso atto della “difficoltà sempre più crescente da parte delle Scuole” di organizzare i corsi di recupero, circostanza purtroppo reale visto che ormai metà degli istituti non li attivano. Una necessità che la Giunta pugliese riconduce alla “ormai tristemente famosa Spending Review”, che “ha ridotto, per lo più cancellato, questa opportunità disattendendo il principio, costituzionalmente garantito, del diritto/dovere all’istruzione”. E anche questo è vero, perché nell’anno in corso alle scuole italiane per il miglioramento dell’offerta formativa non sono arrivati i 1.480 milioni di euro del 2010/11, ma appena 521 milioni (con la promessa di un lieve incremento, a tutt’oggi mai concretizzato).

Ma se le premesse sono corrette, la soluzione escogitata in Puglia, come a Brescia e in Alto Adige, per risolvere il problema è inaccettabile: si cerca, infatti, di garantire un servizio pubblico ricorrendo al volontariato di chi ha smesso di lavorare per sopraggiunti limiti di età. La Giunta di Barletta, Andria e Trani giustifica questa scelta sostenendo che “chi è stato insegnante una volta, è insegnante per sempre, anche quando lo Stato dice ‘grazie, hai finito, vai in pensione’”. Perché un prof pensionato può “essere ancora utile a tanti ragazzi ed è entusiasta di ritornare in cattedra per principio di solidarietà intergenerazionale”. Ma soprattutto perché, sostiene sempre la provincia, “questi docenti sentono ancora imperioso il sacro fuoco dell’insegnamento”.

Anief reputa risibili le giustificazioni addotte dai componenti della Giunta provinciale pugliese per introdurre l’albo dei docenti pensionati ed farli tornare in cattedra gratuitamente. Premesso che il sindacato non ha alcuna preclusione verso il prezioso contributo che il volontariato in assoluto svolge nella nostra società, è però anche convinto che così facendo lo Stato sta delegando due sue funzioni cardine previste costituzionalmente: l’istruzione e il diritto al lavoro. E sta venendo meno alle indicazioni introdotte con l’articolo 2 dell’ordinanza ministeriale 92/2007, firmata dall’allora ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, con cui il Miur obbligava le scuole superiori ad “attivare gli interventi di recupero” da destinare anche agli “studenti che riportano voti di insufficienza negli scrutini intermedi”.

“La verità è che chi governa il Paese non può prima ridurre di due terzi i fondi a supporto della didattica – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , delegando poi ad altri il ruolo di garante del diritto allo studio e alla formazione dei giovani. È il risultato di questo processo ad aver scatenato il ricorso crescente agli ex docenti. I quali, forti della lunga esperienza lavorativa, non abbiamo dubbi che siano all’altezza della situazione”.

Il punto, però, è un altro: perché ci si dimentica che vi sono anche centinaia di migliaia di docenti precari, selezionati e formati proprio per far crescere e sostenere i nostri giovani? Perché si ricorre a certe forzature che snaturano un principio chiave del nostro Paese: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Perché si dimentica che vi sono migliaia di docenti precari, selezionati e formati, laureati e abilitati, i quali per essere assunti a titolo definitivo devono attendere anche decenni? Perché si continua ad ignorare una precisa direttiva comunitaria che sostiene il contrario?

“La verità – conclude il sindacalista Anief-Confedir – è che continuiamo a sfornare Leggi di Stabilità che comportano impegni probanti, sostenuti con svariate decine di miliardi di euro, ma poi per tagliare 400-500 milioni di euro alla Scuola si mette in crisi l’intero sistema d’istruzione. Pur di non affidarsi a giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione, per cercare di garantire quel diritto allo studio sempre più in crisi, si richiamano i docenti in quiescenza.

Pertanto, Anief si appella al Governo italiano perché torni ad espletare il proprio ruolo centrale e attivo per la soddisfazione dei bisogni formativi delle nuove generazioni. Invece di aggrapparsi ai pensionati - come è stato deciso a Brescia, Bolzano, Barletta, Andria e Trani – si trovi la soluzione legislativa per ridurre la davvero troppo alta età media dei nostri insegnanti, oggi di 51 anni, e per favorire delle formule di prepensionamento o di collocazione nell’area del tutoraggio dei docenti con 20-25 anni di servizio. Si inizi, ovviamente, “liberando” i cosiddetti Quota 96.

Per approfondimenti:

Originale di deliberazione della Giunta provinciale di Barletta, Andria e Trani n. 26/2014

Scuole allo stremo, a Brescia si richiamano gli insegnanti in pensione per farli lavorare gratis

Anche a Bolzano lo Stato alza bandiera bianca: ora l’italiano agli stranieri lo insegnano gratis i prof in pensione

Corsi di recupero delle insufficienze, è un vero flop: metà delle scuole non li attivano

Corsi di recupero a scuola? Sì, ma a pagamento. Il caso del liceo scientifico «Fermi» di Cosenza (Corriere della Sera)

Scuole a corto di fondi: ora i corsi di recupero li tengono gli studenti più bravi

Quando gli studenti fanno da prof ai compagni rimasti indietro (Corriere della Sera)

Pacifico a Unomattina la domenica di Pasqua: sì al volontariato ma rispetto per il lavoro e per i giovani in cerca di occupazione

 

Ad oggi in Campania, Molise, Umbria e Veneto non vi è un CPIA, i nuovi centri provinciali per i cittadini che vogliono tornare a studiare o riformarsi professionalmente. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è l’ennesimo paradosso italiano, perché sono quasi tutte zone dove la presenza di un’alternativa ai canali formativi tradizionali sarebbe fondamentale per combattere l’altissima percentuale di Neet e l’elevata presenza di ragazzi che abbandonano i banchi di scuola prima del tempo.

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la Circolare n. 39 che dà il via alle iscrizione degli adulti, anche con cittadinanza non italiana, ai percorsi formativi loro riservati per l’anno scolastico 2014/15. Entro la fine di maggio, ma di fatto anche fino al prossimo 15 ottobre, tutti coloro che hanno superato l’età anagrafica per far parte di un corso di studi normale, potranno chiedere di iscriversi alle rinnovate strutture denominate ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’: nei CPIA, collocati anche all’interno dei centri di prevenzione e pena, gli adulti potranno svolgere percorsi di istruzione di primo e secondo livello, ma anche di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana. I percorsi di secondo livello verranno attuati solo dopo la stipula di accordi di rete da sottoscrivere entro il 30 settembre 2014, all’interno di istituti superiori in orario serale.

Un’alta percentuale delle attività formative rivolte agli adulti si svolgerà all’interno delle nuove strutture create appositamente dal Miur: i ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’. Il problema è che i 144 CPIA attivati non solo sono privi di dirigente scolastico, ma anche maldistribuiti: attraverso una ricerca svolta su dati ufficiali, l’Anief ha scoperto che, anche a seguito dei tagli effettuati negli ultimi due anni, ci sono regioni – come Campania, Molise, Umbria e Veneto - che non possono contare nemmeno su un centro formativo per adulti.

Eppure la Campania è la regione italiana dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti solo 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, è concentrata una percentuale altissima degli oltre 2 milioni e 200mila Neet italiani: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Appare quindi quasi paradossale che in Lombardia, dove la presenza di Neet è meno delle metà (16,2%) di quella della Campania, sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir “rimane un mistero su quali motivazioni logiche abbiano portato l’amministrazione a rinnovare i centri di formazione per gli adulti non attivando nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet. Una regione dove i diplomati, riporto gli ultimi dati Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore. E addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere le superiori sono il 65% dei giovani”.

La Campania, inoltre, si contraddistingue per l’alto numero di abbandoni scolastici: ben il 22% dei giovani lascia i banchi anzitempo. In zone d’Italia dove abbandonano Neet e giovani senza titolo di studio, la presenza di centri di formazione per adulti sarebbe quindi fondamentale: i CPIA, infatti, che alla lunga dovrebbero sostituire i tradizionali corsi serali per adulti, permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Gli obiettivi sono contenuti nella Gazzetta Ufficiale 47/2013: negli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 è stato pubblicato il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, dove si indicava la messa a regime immediata delle nuove strutture, comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.

Sempre nel D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento. Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.

L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per due milioni e mezzo di Neet. Oltre che per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale. Ad oggi però siamo ancora in alto mare: la partecipazione ai corsi italiani per adulti rimane tra le più basse dei paesi avanzati: gli italiani tra i 25 ed i 64 anni che si formano sono appena il 6,6%. Una vera miseria: basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.

Per approfondimenti:

ISTAT - Giovani che non lavorano e non studiano (2013)

Il Regolamento sui Centri di formazione per gli adulti: D.P.R. 263/12

Istruzione, altra bacchettata Ue all’Italia: solo in Grecia serve più tempo per trovare lavoro dopo il diploma