Nei giorni scorsi, a seguito di alcuni interventi politici e sindacali, era riapparsa la tesi secondo cui le vecchie abilitazioni conseguite a tutto il 2001-2002 presso gli ex-istituti magistrali erano titolo valido per l’ammissione ai corsi di specializzazione per il sostegno (e implicitamente erano anche validi per l’immissione in ruolo.
Il Ministero dell’istruzione, con nota n. 13390 dell’11 dicembre2013, a chiarimento ha fornito l’elenco dei titoli abilitanti utili sia per la partecipazione ai corsi di specializzazione per il Sostegno di cui al D.M. 706/2013 sia per le immissioni in ruolo:
Facendo seguito alla nota di questa Direzione Generale prot. n. 13190 del 6 dicembre 2013 ed in risposta a numerosi quesiti, si precisa che per “abilitazione valida per l’immissione in ruolo”, si deve intendere l’abilitazione all’insegnamento conseguita a qualsiasi titolo, come da elenco seguente:
- Laurea in Scienze delle formazione primaria (per la scuola dell’Infanzia e primaria);
- SSIS (per la scuola secondaria);
- COBASLID (per la scuola secondaria)
- Diplomi accademici di II livello rilasciati dalle istituzioni AFAM per l’insegnamento
dell’Educazione musicale o dello Strumento;
- Diploma di Didattica della Musica (Legge 268/2002);
- Concorsi per titoli ed esami indetti antecedentemente al DDG 82/2012;
- Concorso per titoli ed esami indetto con DDG 82/2012 (esclusivamente all’atto della
- Titoli professionali conseguiti all’estero e riconosciuti abilitanti all’insegnamento con
apposito Decreto del Ministro dell’Istruzione;
- TFA
- PAS
Come si può vedere, il titolo di abilitazione conseguito negli ex-istituti magistrali non è valido ai fini dell’immissione in ruolo e dell’ammissione ai corsi di specializzazione per il sostegno.
Tutto finito? Probabilmente no, perché l’Anief, impegnato a sostenere con ricorsi le aspettative di molti docenti in possesso di quell’abilitazione, non si darà per vinto.
“Non è possibile assumere docenti in ruolo e continuare a trattarli da precari”. Dopo l’interpretazione penalizzante dell’Aran (per i neoimmessi in ruolo niente scatti per otto anni), Anief è sempre più certa che i tribunali del lavoro faranno giustizia. A inizio della prossima estate i primi pronunciamenti. Pacifico ribadisce: “Il meccanismo dell’invarianza finanziaria crea discriminazioni tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni e operano nello stesso comparto della Pubblica Amministrazione, perciò è anticostituzionale”.
"Una delle più brutte pagine del sindacalismo italiano”: con queste parole Marcello Pacifico, presidente Anief, nell’estate 2011 stigmatizzava l’accordo tra i principali sindacati della scuola e il Governo per lo sblocco delle assunzioni su posti vacanti e disponibili in cambio dell’assorbimento del primo gradone nel secondo, che di fatto blocca per ben otto anni gli scatti di stipendio ai neoassunti dal 1° settembre 2010. “Prendiamo atto che il meccanismo dell’invarianza finanziaria non è applicabile al comparto scuola dopo che l’Unione europea ha riconosciuto il diritto agli scatti maturati durante gli anni del precariato. Questo è stato confermato da centinaia di sentenze di primo grado e, in alcuni casi, anche già in appello”. A chi va la responsabilità della sua introduzione? “Ce la prendiamo soprattutto con i quattro sindacati unitari, Cisl, Uil, Snals-Confsal e Gilda, che il 4 agosto 2011 hanno firmato l’accordo. Una vera doccia fredda (ancora di più perché retroattiva di un anno) per i tantissimi neo-assunti che avevano vagheggiato il primo scatto dopo tre anni”.
Dall’altra parte si sostiene che senza invarianza finanziaria sarà sempre più difficile procedere a nuove immissioni in ruolo: “Non è una affermazione credibile, già 67.000 assunzioni rappresentano una goccia nel mare a fronte dei 25.000 posti liberi all’anno creati dai pensionamenti della legge Fornero. Noi come Anief ci batteremo per la disapplicazione della norma sull’invarianza, e i quattro sindacati che l’hanno avallata dovranno rendere conto ai loro iscritti della loro scelta”. Gli iscritti Anief, invece, nutrono speranze fondate sul fatto che “sia un contratto sia una norma di legge possono essere disapplicati dal giudice se si accerta che si trovano in contrasto con una direttiva sovranazionale”.
“Purtroppo – continua Pacifico – non si è tenuto in alcun conto delle indicazioni comunitarie incluse nella direttiva 1999/70/CE, facendo prevalere le logiche dell’invarianza finanziaria come principio imperativo. Questo significa una cosa sola, cioè negare la parità del trattamento stipendiale a dipendenti che lavorano nello stesso comparto della pubblica amministrazione”. ‘Puniti’, insomma, perché assunti in anni di crisi economica. “L’Anief non può accettare questa iniquità ed è convinta che il tribunale restituirà giustizia a chi oggi teme che il suo stipendio possa restare fermo per ben otto anni consecutivi”.
Una perdita economica significativa con l’inflazione di questi anni e un livello stipendiale tra i più bassi dell’area OCSE. “L’invarianza finanziaria è un meccanismo sbagliato nelle premesse, ma anche e soprattutto perché, lo ribadisco, crea delle discriminazioni di fatto tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni . A inevitabili disparità di trattamento andranno incontro, per esempio, i neoassunti dal concorsone”. In pratica è come se il datore di lavoro, in questo caso il Miur, facesse delle discriminazioni tra i suoi dipendenti che svolgono lo stesso lavoro e hanno firmato lo stesso tipo di contratto: “Non è possibile immettere in ruolo e continuare a trattare da precari”, sintetizza ancora meglio Pacifico. Che tempi prevedete? “Contiamo entro l’inizio di giugno di poter avere i primi responsi dai tribunali del lavoro”.
Il Miur è uscito nei giorni scorsi con una nota in cui, per l'ammissione ai corsi per insegnanti di sostegno, esclude i docenti di scuola primaria in possesso della vecchia abilitazione conseguita prima dell'anno scolastico 2001-02 (ultimo anno di validità dei vecchi istituti magistrali).
La posizione del Miur su questo problema e' nota da tempo, ma l'Anief la contrasta da qualche anno a questa parte, forte anche del fatto che in Parlamento recentemente ha trovato anche una sponda di sostegno nel M5S. Ancora una volta, quindi, l'Anief invita i docenti interessati ad impugnare l'esclusione, aderendo ad apposita iniziativa legale predisposta dall'associazione.
C'è da dire che se passasse il principio della piena validità della vecchia abilitazione (connessa al titolo di studio conseguito), si aprirebbero anche le porte alle graduatorie ad esaurimento.
L’Anief, in un recente incontro al Miur, ha affrontato con i Dirigenti ministeriali le questioni relative ai PAS. Confermata dal Miur l’indisponibilità di molte Università ad attivare i PAS per infanzia e primaria.
Il MIUR – ci comunica l’Anief – ha, inoltre confermato l’indisponibilità di molte università ad attivare i Pas per infanzia e primaria, ragion per cui sta valutando l’offerta formativa di alcune università private e/o telematiche.
Nel corso dell’incontro il sindacato ha ricordato come il legislatore, in tema di corsi riservati abilitanti, ha sempre ritenuto la competenza didattica esercitata in un biennio (360 giorni) come una condizione di per sé sufficiente per conseguire l’abilitazione, e ha sottolineato l’incoerenza della richiesta di un anno di insegnamento specifico (180 giorni) rispetto alla direttiva comunitaria invocata che prevede il mero riconoscimento della professionalità acquisita dopo tre anni di servizio.
L’amministrazione, pur prendendo atto che, in alcuni casi, come per gli educatori, in passato, è stata consentita l’iscrizione ai corsi abilitanti o ancora che il servizio prestato nelle sezioni primavera è stato svolto nello Stato, ancorché sperimentale, ha ribadito le proprie scelte, peraltro, oggetto di un contenzioso seriale presso il TAR.
Il dossier Ocse-Pisa ogni tre anni valuta le capacità di 510.000 studenti 15enni di 65 Paesi. Stando agli ultimi dati, gli italiani sono ancora una volta indietro rispetto ai colleghi del Paesi Ocse anche se hanno registrato i più importanti progressi in matematica e scienze. Maria Chiara Carrozza: "E'uno stimolo per continuare a lavorare per migliorare la performance dei nostri studenti". Per il ministro adesso ci sono due gap da risolvere: quello di genere e quello regionale.
ROMA - I conti tornano. Tornano per gli studenti italiani che hanno registrato progressi nelle materie scientifiche, in particolare matematica e scienze. Anche se i risultati in matematica risultano inferiori alla media Ocse. Ancora una volta, l'Italia divisa in due tra studenti del nord più competenti in materia e quelli del sud che fanno registrare risultati al di sotto della media italiana. E' quanto emerge dal dossier Ocse-Pisa (Program for International student assessment) che ogni tre anni valuta le capacità di 510.000 studenti 15enni di 65 Paesi. Stando agli ultimi dati, gli italiani sono ancora una volta indietro rispetto ai colleghi del Paesi Ocse anche se hanno registrato i più importanti progressi in matematica e scienze: dal 2003 al 2012 i risultati medi dei test sono migliorati di 20 punti, avvicinandosi notevolmente alla media Ocse che si attesta al 23%. La media degli studenti è di 485 punti in matematica comparabile ai risultati di Federazione Russa, Lettonia, Lituania, Norvegia, Portogallo, Repubblica Slovacca, Spagna e Stati Uniti. Il miglior progresso in matematica si è avuto tra il 2006 e il 2009. In generale, i ragazzi superano le ragazze di 18 punti. Un gap più ampio rispetto a quanto osservato in media negli altri Pesi. I progressi in matematica, pero', non riguardano tutti: se per gli studenti di Trento, Friuli Venezia Giulia e Veneto rappresenta la materia più riuscita con un punteggio superiore alla media Ocse, al sud gli studenti registrano risultati sotto la media. Ma a dividere lo stivale non è solo la matematica. Lo stesso vale per la lettura e le scienze. Un divario regionale talmente forte che se dipendesse dagli studenti del nord, l'Italia sarebbe in tutte le materie al di sopra della media Ocse. Pur non trascurando i risultati inferiori rispetto alla media Ocse da parte degli studenti italiani, il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza vede nei progressi dei ragazzi uno "stimolo per continuare a lavorare per migliorare la performance dei nostri studenti". Per il ministro adesso ci sono due gap da risolvere: quello di genere e quello regionale. "Al Meridione - ha osservato - occorre guardare con più attenzione, come abbiamo già iniziato a fare nel decreto Istruzione, con maggiori investimenti per la lotta alla dispersione scolastica nelle aree più a rischio". Altro dato significativo è l'aumento di studenti stranieri che però restano indietro rispetto ai loro colleghi: il numero è aumentato di cinque punti percentuali e sono il 7,5% del totale contro una media Ocse del 12%. Dalla relazione emerge che la differenza di competenze tra italiani e immigrati e' ben superiore alla media Ocse.
Matematica, croce e delizia Se la matematica resta un ostacolo per gli studenti italiani, nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, per gli studenti di Trento, del Friuli Venezia Giulia e del Veneto è la materia preferita, tanto che ottengono un punteggio ben superiore alla media Ocse, rispettivamente di 524, 523 e 523 punti. Un risultato che inorgoglisce il presidente del Veneto Luca Zaia: "E' una risposta che vogliamo dare a coloro che ritengono si debba andare all'estero per imparare. Il merito va a chi forma le nuove generazioni, perché questi risultati significano che la formazione scientifica in Veneto, è di assoluta qualità'". "Voglio fare i complimenti - aggiunge - agli insegnanti del Veneto, perché i nostri ragazzi delle scuole superiori sono risultati tra i primi al mondo nella matematica e nelle materie scientifiche".
L'Anief: il Sud è abbandonato ''I dati Ocse confermano l'abbandono del Sud''. A lanciare l'allarme e' l'Anief Confedir secondo cui ''i dati Ocse-Pisa 2012 sulle competenze degli studenti 15enni, presentati oggi al Miur, confermano il gap formativo cui sono destinati gli iscritti a una scuola del nord rispetto ai coetanei che frequentano un istituto del sud''. ''I dati Ocse-Pisa sul divario Nord-Sud ci amareggiano - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - ma purtroppo non ci sorprendono: questi numeri non fanno altro che certificare il gap di investimenti che lo Stato ha riservato alle regioni, abbandonando di fatto quelle meridionali. Per tutti vale quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3 per cento degli alunni. Mentre il tempo pieno in Lombardia è presente nel 90 per cento delle scuole primarie''.
''Ed è evidente - sottolinea l'Anief - che tenere gli alunni a scuola anche nel pomeriggio significa garantire loro una maggior offerta formativa. Mentre al termine dei cinque anni di scuola primaria i bambini della Sicilia studieranno 430 giorni in meno, che corrispondono a oltre 2 anni scolastici. A questi dati va aggiunta la scarsità di investimenti per combattere la dispersione scolastica e migliorare l'orientamento. Al sud non c'è solo un problema demografico e migratorio, ma anche un alto tasso di abbandono scolastico in età di obbligo formativo. Con il risultato che negli
ultimi cinque anni tra il sud e le isole si sono persi 150mila alunni - con Molise, Basilicata e Calabria che accusano riduzioni tra il 7% ed il 9% - mentre al nord c'e' stato un incremento di 200mila iscritti (incremento maggiore del 5%)''.
"Così - evidenzia l'Anief - mentre l'Ue ci chiede di raggiungere, nel 2020, un tasso medio nazionale di abbandono
del 10%, con alcune aree del centro-nord gia' vicine a questa soglia, ancora una volta il sud va per conto suo: in Sicilia la quota dei ragazzi che lasciano gli studi in eta' di obbligo formativo supera in certe aree ancora il 25%. E' evidente - commenta ancora Pacifico - che se non si inverte questa tendenza con un serio piano di sviluppo
economico, di implementazione di idee e risorse, il meridione è condannato all'eutanasia. Con il Nord che guarda sempre più da vicino l'Europa, mentre il Sud non riesce nemmeno a garantire il diritto allo studio''. A dare la ''mazzata'' finale alle regioni del sud, che hanno meno risorse, ci hanno poi pensato le riforme scolastiche degli ultimi
anni. Con l'orario curricolare ridotto di un sesto: oggi l'Italia detiene il triste primato di 4.455 ore studio nell'istruzione
primaria, rispetto alle 4.717 dell'area Ocse; in quella superiore di primo grado siamo scesi a 2.970, rispetto alle 3.034 sempre dell'Ocse. Preoccupa, inoltre, il crollo al 20,5% del tasso di occupazione dei 15-24enni. Per non parlare della quota di giovani che non sono né nel mondo del lavoro, ne' in educazione ne' in formazione (Neet), la cui
percentuale è cresciuta in cinque anni, tra gli under 25, di oltre 5 punti, arrivando a fine 2012 al 21,4%. E non vale nemmeno la teoria che tutti sono in queste condizioni: solo Grecia e Turchia, tra i 34 Paesi dell'organizzazione, hanno infatti una quota di Neet più elevata.