“Nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti”: a scriverlo è stato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1842/22del 16 marzo 2022 e a ribadirlo è stato il Tribunale di Velletri, lo scorso 17 marzo, nel dare ragione al ricorso proposto dai legali Anief in difesa di un’insegnante che tra il 2019 e il 2023 ha svolto quattro supplenze annuali senza vedersi assegnato un euro per la propria formazione professione.
“I docenti assunti a tempo indeterminato beneficiano della” carta elettronica d 500 euro per l’aggiornamento “anche se assunti con contratto a tempo parziale, anche se ancora impiegati nel periodo di prova e perfino se dichiarati inidonei per motivi di salute o in posizione di comando, distacco, fuori ruolo, mentre (b) risultano esclusi dal beneficio suddetto soltanto i docenti a tempo determinato”: lo prevede la Legge 107/15 che ha introdotto la Carta del docente.
Se la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito, con l’Ordinanza della VI Sezione del 18 maggio 2022, che non è lecito “trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato”, perché la Carta del docente continua a non essere assegnata ai precari? Lo chiedono i supplenti da tempo. Se lo Stato non sembra dare seguito alle indicazioni che arrivano da Lussemburgo, allora sono i giudici nazionali a fornire risposte convincenti: anche a Tivoli, dove il Tribunale del lavoro ha condannato il Ministero dell’Istruzione e del Merito a pagare 2.000 euro per le quattro supplenze annuali svolte da una insegnante di Roma tra il 2019 e il 2023 senza vedersi assegnare la Carta del docente. Difesa dai legali Anief, la docente ha dunque ottenuto gli arretrati e giustizia, coì ora potrà finalmente aggiornarsi alla pari dei colleghi insegnanti di ruolo.
“La giurisprudenza maggioritaria ha chiarito, riguardo alla questione controversa in questa sede, che la limitazione ai soli docenti di ruolo della previsione di una forma di sostegno economico correlata alla formazione professionale costituisce una palese discriminazione a danno dei docenti non di ruolo, in collisione con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., poiché attua un illegittimo “sistema di formazione a doppia trazione” (cioè una formazione differenziata all’interno del corpo docente a seconda della diversa durata contrattuale dell’impiego), “[da un lato] quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e [dall’altro] quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico”: a scriverlo è il Tribunale di Velletri nel dare piena ragione ai legali Anief che hanno presentato ricorso per l’erogazione di 2.000 euro ad un docente precario che ha svolto supplenze tra il 2019 e il 2023: il giudice del lavoro ha detto sì alla richiesta, riportando nella sentenza innanzitutto la significativa parte della sentenza n. 1842/22 del 16/3/2022 del Consiglio di Stato secondo cui esiste “un’indiscutibile identità di ratio – la già ricordata necessità di garantire la qualità dell’insegnamento – che consente di colmare in via interpretativa la predetta lacuna” del legislatore della Buona Scuola che ha introdotto l’aggiornamento obbligatorio e strutturale.
Gli aumenti stipendiali e gli arretrati assegnati tra dicembre 2023 e gennaio 2024 al personale docente e Ata della scuola sono contrassegnati da complessità e discrepanze: si tratta di problematiche legate alla gestione contrattuale e agli adeguamenti dovuti all’inflazione che stanno penalizzando molto i lavoratori. Lo ha rimarcato oggi Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, durante una diretta su Orizzonte Scuola Tv. Il sindacalista ha sottolineato che gli incrementi stipendiali percepiti dopo la riforma contrattuale si traducono in modesti arretrati mensili, ben al di sotto delle aspettative e delle necessità legate all’aumento del costo della vita. Questi aggiustamenti, che dovrebbero riflettere l’inflazione passata, risultano insufficienti e non allineati alle previsioni legali italiane.