Marcello Pacifico, presidente Anief, replica alle accuse mosse dall’accademico nei confronti dei sindacati del comparto scolastico: “Ha ragione l’universitario quando si inalbera perché gli insegnanti non hanno ‘voce’. Il problema è che il sindacato esiste proprio perché quel diritto non venga calpestato. Se un precario deve rimanere tale per decenni, c’è qualcosa che non va nel sistema. Soprattutto, non può essere accettato che quello stesso precario si ritrovi assunto a tempo indeterminato, con tanto di anno di prova superato con lode, e poi di nuovo licenziato, addirittura pure scalzato dalle graduatorie. Il tutto, dopo avere messo a disposizione delle nuove generazioni la sua preparazione, la sua disponibilità a trasmettere conoscenze e competenze, acquisite a seguito di esami, abilitazioni, specializzazioni e concorsi. In cambio di 1.200 euro al mese, mentre in Germania per lo stesso lavoro lo stipendio è raddoppiato. Quando si illustra un sistema da risanare è bene raccontare tutto, non solo quello che porta ragione alle proprie convinzioni, tra l’altro molto discutibili”.
“Una delle caratteristiche più singolari del panorama scolastico italiano è l’assenza da sempre della voce degli insegnanti”: lo scrive il professore Ernesto Galli della Loggia in un davvero poco illuminato intervento pubblicato sul Corriere della Sera. Nell’articolo, viziato da un palese pregiudizio verso la categoria dei precari già insito nel titolo (“Gli insegnanti prigionieri dei sindacati della scuola”), si cita Gaetano Salvemini che quasi settant’anni fa sulle colonne del Mondo scriveva: «Quando gli insegnanti scenderanno in campo per esigere che i concorsi cessino dall’essere fatti per burla, e che il metodo dei concorsi per la scelta degli insegnanti governativi sia mantenuto rigidamente?».
Il riferimento alla scuola dell’Italia che usciva dalla seconda guerra mondiale la dice lunga sulla attualità dei rilievi mossi dall’accademico. Anche il riferimento alle soluzioni “ope legis” e al “todos caballeros”, da intendere come una sanatoria a favore del precario di turno, va ricondotto a una logica qualunquista e priva di un elemento che un accademico non dovrebbe mai perdere: la conoscenza oggettiva dei fatti.
Sul perché esistono 200 mila precari “fissi” nelle nostre scuole non c’è traccia nel pessimo articolo di Galli della Loggia. Perché non si dice a chiare lettere che la scuola italiana oggi funziona e non si ferma, anche a distanza, proprio grazie a questi docenti assunti e licenziati, questo sì a tempo indeterminato? Perché non si dice che una fetta consistente di questi supplenti ha svolto molto più dei 36 mesi che in tutta Europa, non in Papuasia, valgono per essere immessi in ruolo, senza che nessun accademico ricordi loro che si tratta di una concessione visto che non lo è? Perché non si ricorda all’opinione pubblica che stiamo parlando di docenti già ampiamente qualificati, formati, specializzati e selezionati? Perché non ci dice, soprattutto, come si deve comportare uno Stato moderno nei confronti di un docente che svolge questo lavoro da precario da tre, sei, dieci e anche vent’anni?
L’apice della generalità dell’intervento dell’illustre professore, che pone dei problemi senza entrare mai nel merito, è il riferimento alle retribuzioni dei nostri docenti: si parla di “richieste retributive legate in sostanza all’anzianità”, di ferma resistenza del sindacato per rendere tutto “automatico, omogeneizzato e appiattito”. Premesso che parliamo della categoria di lavoratori meno pagati del Vecchio Continente, viene da chiedersi come si fa a parlare di merito quando lo stipendio iniziale di un insegnante è al di sotto di quello di un impiegato non specializzato. Certo, anche il sindacato è favorevole per premiare chi merita, ma la priorità rimane quella di assegnare compensi almeno dignitosi, che non possono di certo fermarsi al 3,48% di aumento concesso negli ultimi 12 anni.
Viene da chiedersi, infine, perché in questi interventi sulla Conoscenza italiana e sui presunti motivi dei suoi “mali”, non si parli mai del sistema stipendiale dei docenti universitari, né si discute sui sistemi di reclutamento adottato negli atenei che portano in cattedra a tempo indeterminato dei candidati tramite concorsi per titoli ed esami costruiti non di rado ad personam. Mentre altre figure, come i ricercatori, vengono messe all’angolo, se non destituite.
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