Sono numeri impressionanti quelli che riguardano le donne che insegnano nella scuola italiana: 735 mila, a fronte di 908 mila docenti italiani complessivi. Più di 170 mila non sono di ruolo, Poi ci sono altre 150 mila donne impiegate, assistenti tecnici, collaboratrici scolastiche e Dsga, tra le quali figurano almeno altre 40 mila supplenti “rosa”. Donne quasi sempre ipertitolate, con esperienza e competenze da vendere, ma che continuano a non avere tutele, né prospettive professionali e di carriera, tanto che pur di entrare di ruolo accettano di spostarsi a centinaia di chilometri e di rimanervi per almeno cinque anni pur in presenza di cattedre libere vicino casa. A ricordarlo è il sindacato Anief, alla vigilia della “Giornata internazionale della donna”.
“Anziché favorire l’impiego delle donne che nella scuola rappresentano più dell’80% dei lavoratori – commenta Marcello Pacifico, leader dell’Anief – si continuano a introdurre vincoli sulla mobilità, dopo anni anche decenni di precariato, in barba alle assunzioni automatiche che chiede da tempo pure Bruxelles. Donne pagate poco, che vivono nelle difficoltà e sotto stress, si ammalano di burnout e vengono pure costrette a lasciare il lavoro a quasi 70 anni, senza quasi più alcuna possibilità di anticipo. Quello che non comprende chi governa il paese è che la mancata occupazione delle donne e l’inosservanza per la loro carriera professionale diventano pregiudizievoli per benessere sociale e la crescita economica di tutto il paese. Come pure indicato di recente dal Cnel, è grave la mancanza di servizi di cura e di assistenza, pubblici e privati, affinché i costi di un nuovo welfare familiare non siano più solo sulle spalle delle imprese lavorative. Quando si parla di inclusione, uguaglianza, emancipazione del sesso femminile e parità di genere è bene tenere conto di tutto questo. Altrimenti, la giornata della donna si limiterà a essere un rituale sterile”.
Si celebra domani la Giornata internazionale della donna, nata per ricordare le conquiste sociali, economiche, culturali e politiche del sesso femminile, oltre che evidenziare quelle aree in cui è ancora necessaria un’azione per realizzare l’uguaglianza e abbattere le forme di violenza che ancora costringono la donna a non poter realizzare il proprio futuro e propri sogni. Ma la violenza non è solo quella fisica.
LA VIOLENZA PSICOLOGICA
Come scrive Orizzonte Scuola, “nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 48/104 del 20 dicembre 1993, si intende per “violenza contro le donne” ogni atto di violenza rivolto contro il sesso femminile, che arrechi o sia suscettibile di arrecare pregiudizio o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, nonché la minaccia di eseguire tali atti, la costrizione o la privazione arbitraria di libertà, tanto nella vita pubblica quanto nella vita privata”.
LA LONTANANZA DAGLI AFFETTI
Anief ritiene che la limitazione della libertà delle donne che operano nella scuola sia una delle battaglie più importanti da vincere. Vi sono decine di migliaia di donne costrette a lavorare a centinaia di chilometri da casa, spesso per colpa di algoritmi errati e norme sul reclutamento troppo rigide, che hanno toccato l’apice dell’assurdo nel recente vincolo di permanenza nella sede di destinazione, derivante dalla Legge 159/2019, attraverso la quale si obbliga chi è stato immesso in ruolo dal 2020/21 a rimanere ben cinque anni nella sede di titolarità senza diritto a trasferirsi e nemmeno a presentare domanda di passaggio di ruolo o assegnazione provvisoria. Una norma iniqua contro la quale Anief sta lottando con tutte le sue forze, prima con un emendamento all’ultima Legge di Bilancio, poi con una richiesta specifica al decreto Milleproroghe ed infine con un ricorso specifico contro l’imminente bando di mobilità 2021/22.
“UNA NORMA INGIUSTA”
“Stiamo parlando di una norma davvero ingiusta – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – con tante donne che non stanno vedendo crescere i loro figli non perché costrette da situazioni oggettive, ma perché ferme anche a mille chilometri da casa per barriere e vincoli artificiosi, che non hanno motivo di esistere visto che comunque i posti liberi per accoglierle in sedi più vicine ci sono, tanto è vero che vengono poi assegnate ai supplenti, spesso pure ad anno scolastico abbondantemente iniziato”.
L’ASSUNZIONE CHE NON ARRIVA
Ma il percorso di una donna che vuole lavorare nella scuola è in salita sin dall’inizio. Da quando decide di fare le supplenze o di partecipare ad un concorso. Si è arrivati al punto che vengono immesse in ruolo e poi, come accaduto a migliaia di maestre con diploma magistrale, rimesse a fare le supplenti, pure escludendole dalle graduatorie provinciali. Invece di assumerle dopo 36 mesi di supplenze, come l’Unione europea chiede da 22 anni, così come ribadito dal Comitato dei diritti sociali europei, che ha di recente accolto il ricorso Anief n. 146/2017 sull’illegittimità della reiterazione dei contratti a termine, lo Stato continua e tenerle sotto scacco continuando a tenere chiuse le Gae e a non fare concorsi riservati per titoli e servizi.
LE VITTIME DI ABUSI LASCIATE SOLE
Spesso per essere assunte in ruolo devono aspettare decenni, con stipendi illegittimamente fermi. E quando entrano in ruolo devono subire anche l’onta della ricostruzione di carriera che non tiene conto di tutti gli anni di precariato. I numeri confermano tutto: le insegnanti donne con meno di 30 anni non superano le 0,5%, mentre in Spagna arrivano quasi al 7%. E il numero di violenze sul lavoro nei loro confronti continua ad essere presente e sottostimato: a questo proposito, Anief continua a chiedere l’approvazione di una norma che agevoli i trasferimenti delle vittime di abusi all’interno della stessa pubblica amministrazione.
LA PENSIONE LONTANA
Tra le iniquità che colpiscono il genere femminile vi è anche l’obbligo a rimanere in servizio fino ormai quasi a 70 anni, sebbene sia stato scientificamente dimostrato che nella scuola il burnout colpisca il personale in percentuali decisamente alte. E non possono bastare di certo gli anticipi limitati, con l’Ape Social, alle educatrici e maestre di nidi e scuole dell’Infanzia, oppure le decurtazioni-ricatto contenute nell’Opzione donna che arrivano a tagliare l’assegno di quiescenza anche di 600 euro al mese. Come non è una bella notizia la fine di Quota 100, che seppure in cambio di una riduzione della pensione ha comunque garantito negli ultimi tre anni un’opportunità di anticipo.
“MANCA UNA POLITICA DI AMPIO RAGGIO”
“La verità – dice Marcello Pacifico, presidente Anief – è che manca una politica di ampio raggio che permetta alle donne di accedere al ruolo con stipendi degni di questo nome e a lavorare con serenità. In moltissimi territori non è istituito il tempo pieno nella scuola primaria. E anche negli altri cicli scolastici il monte orario settimanale continua a essere ridotto dalle norme derivanti dal dimensionamento dell’ultimo Governo Berlusconi. Per non parlare dell’assenza totale di sgravi fiscale e incentivi di carattere strutturale a sostegno del loro ingresso nel mercato lavorativo”.
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