La Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico evidenzia quanto denunciato da tempo dal sindacato Anief: tra il 2008 e il 2014 il personale docente di ruolo è sceso di 9 punti, i dirigenti scolastici sono stati ridotti di oltre il 30%, si è risparmiato sugli automatismi stipendiali bloccando gli scatti di anzianità, si è negato il rinnovo contrattuale e l’adeguamento stipendiale anche al solo costo della vita. Dopo il dimensionamento degli istituti, è così arrivato pure quello del personale e del relativo trattamento economico. Nel 2014 un docente ha guadagnato in media 30.699 euro lordi; un dirigente scolastico 62.890 euro, mentre un dirigente di seconda fascia dell’Università ha percepito 94.455 euro; un dirigente delle Regioni 93.450 euro; un dirigente ministeriale di prima fascia 178.301 euro. Per il personale Ata, i compensi rasentano la soglia di povertà: 22.000 euro. A scanso di equivoci, è bene sapere che la riforma della Buona Scuola, approvata un anno fa, se si eccettua l’immissione in ruolo di circa 47.000 nuovi docenti “potenziatori”, non ha sanato nulla.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): nella cinica visione del Mef, assecondata dal Miur, razionalizzare gli stipendi di chi opera nella scuola porta un sicuro ritorno risparmio per le casse dello Stato. Solo che si fa colpendo al cuore chi lavora a favore delle nuove generazioni: dipendenti, pluri-titolati, abilitati, laureati, specializzati, a cui la Costituzione riconosce un compenso equo, adeguato all’impegno profuso, e rispondente almeno all’inflazione. I nostri governanti non sanno cosa significa vivere nel 2016 con mille euro al mese, lo stipendio di un collaboratore scolastico. Oppure l’umiliazione che deve subire un insegnante, dopo una vita di studi, a percepire 1.280 euro al mese per i primi dieci anni della sua carriera. E che dire dei dirigenti scolastici, che guadagnano meno della metà dei colleghi di altri comparti, pur avendo responsabilità decuplicate?