Per alcune migliaia di docenti e Ata della scuola arrivati a fine carriera sono giorni tormentati quelli di febbraio: una recente circolare del Ministero dell’Istruzione condivisa con INPS ha stabilito che tutto il personale del comparto scuola entro il prossimo 28 febbraio avrà facoltà di presentare la domanda di cessazione (con effetto dal 1° settembre 2022) per il pensionamento anticipato dal servizio. Le funzioni ministeriali riguardano, in particolare, “Opzione Donna” e “Quota 102”: la prima prevede un taglio secco che può superare il 30% dell’assegno di quiescenza, pari a oltre 600 euro al mese; la seconda, più conveniente ma transitoria, perché solo annuale, si può intraprendere con il raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di un’età anagrafica di almeno 64 anni e non meno 38 anni di anzianità contributiva. La stessa stampa specializzata oggi scrive che “non sempre il pensionamento anticipato è possibile e in alcuni casi, quando è possibile, non è conveniente”.
“Il punto è che tutti gli insegnanti, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario che non rientrano nei parametri minimi indicati nella circolare – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – purtroppo con le regole attuali devono mettersi l’anima in pace e attendere 67 anni di età. Questo per noi è inaccettabile, prima di tutto perché chi governa il Paese continua a ignorare l’alta percentuale di burnout tra i lavoratori della scuola, con un’incidenza tumorale molto più alta rispetto ad altri comparti pubblici e privati. Per questo continuiamo a chiedere l’uscita con le stesse condizioni delle forze armate, quindi attorno a 60 anni e senza tagli”.
“Poi c’è da dire – continua il sindacalista autonomo - che prima delle Legge Fornero, quindi del 2011, si poteva andare in pensione con i contributi versati, senza ulteriori penalizzazioni: si può passare in pochi anni a un regime così fortemente sfavorevole? Evidentemente no. Oggi si può invece lasciare il posto di lavoro un po’ prima solo se si accettano tagli pesanti alla pensione oppure a 67 anni. Con le proiezioni che ci dicono che tra non molto si arriverà a 70, se non a 75 anni di età anagrafica. Tra l’altro senza vedersi riconosciuto il rischio biologico, invece accordato ad altri professionisti, come nella Sanità, andando infine a percepire assegni pensionistici sempre più bassi, perché formati da contributi considerati interamente con il sistema contributivo e sempre meno con quello ‘misto’”. Pacifico conclude con due domande quasi provocatorie: “Quando si fermerà questa deriva? Bisogna morire in servizio per lasciare il lavoro?”.
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