Ricorso alla Corte dei Conti rivolto ai pensionati per sollevare questione di legittimità costituzionale del decreto legge Renzi n. 65/2015 e della legge Letta n. 147/2013, così da perequare al 100% le pensioni superiori a tre volte il minimo INPS nel quinquennio (+ 3% per 2012, + 1,2% per 2013).
Il ricorso, in considerazione delle motivazioni che hanno portato all'abrogazione dell'art. 24, comma 25 della legge 22 dicembre 2011, n. 214 voluta da Monti, mira a ottenere la perequazione al 100% dell'assegno al costo della vita per gli anni 2012-2013 e al riconoscimento di quanto spettante anche per gli anni successivi.
Il tribunale di Palermo solleva questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 36 e 38 richiamati dallo stesso giudice delle leggi nella sentenza n. 70/2015. Sono migliaia i ricorsi in corso di deposito per ottenere quanto spettante per il biennio 2012-2013, a partire da 3 mila euro di arretrati e mille a regime. M. Pacifico, presidente Anief, aveva denunciato subito l’illogicità, l’arbitrarietà e l’irragionevolezza del decreto legge n. 65/2015 rispetto anche a quanto deciso dal precedente Governo Letta nella legge 147/2013 per il triennio 2014/2016.
Il giudice ha rilevato nella sua ordinanza la profonda incongruenza con la scelta presa dal legislatore nella rimodulazione della perequazione tra anni differenti, e certamente maggiormente penalizzante voluta dal Governo Renzi rispetto alle aliquote decise dal Governo Letta (perequazione del 40% rispetto al 95% da tre a quattro volte il minimo INPS, del 20% rispetto al 75% da quattro a cinque volte, del 10% rispetto al 50% da cinque a sei volto, blocco totale per il 2012-2013 da sei volte rispetto al solo 2014) e ha ritenuto che il legislatore abbia eluso quanto prescritto dal giudice delle legge nella recente sentenza n. 70/2015 a cui doveva dare adeguata risposta, dopo l’annullamento del comma 25, dell’art. 24, del decreto legge 201/2011 come convertito dalla legge 214/2011. La norma voluta dal Governo, inoltre, non garantisce l’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita nemmeno per la fascia più basse, supera il limite della ragionevolezza, della proporzionalità, ha effetti che si ripercuotono nel tempo e violerebbe ben tre articoli della Costituzione, l’art. 3, l’art. 36 primo comma, l’art 38 secondo comma. Ai pensionati non rimane che ricorrere e affidarsi nuovamente al giudice delle leggi.
Non è giunto alcun correttivo alla riforma Fornero e la flessibilità in uscita rimane una chimera: si dovrà lavorare per un periodo di tempo ancora più lungo, rappresentato da 4 mesi in più, a causa adeguamento dell'indice dell'aspettativa di vita. E le prospettive non sono migliori, se è dato certo che dal 2019 sarà previsto un ulteriore scatto che attualmente, secondo lo scenario demografico dell'Istat, sarà di nuovo pari a 4 o 5 mesi. Non va meglio per la pensione di vecchiaia: gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e 7 mesi di età. Intanto, l’ufficio studi Anief ha stimato che gli insegnanti immessi in ruolo quest’anno attraverso la Buona Scuola, rispetto a chi lascia il servizio oggi, andranno a percepire un assegno a dir poco decurtato: se un docente che oggi lascia a 65 anni percepisce una pensione media di 1.500 euro, chi è stato immesso in ruolo nel 2015 andrà in pensione a 70 anni con 825 euro.
Coinvolte alcune decine di migliaia di docenti e Ata. Per accedere la pensione di vecchiaia il requisito anagrafico è giunto a 66 anni e 7 mesi compiuti entro il 31 agosto 2016 ed in questo caso l’uscita dal servizio avverrà d'ufficio; coloro che intendono presentare domanda di pensione anticipata, potranno farlo solo se avranno raggiunto entro il 31 dicembre 2016 (senza arrotondamenti) ben 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per le donne, e un anno in più, 42 anni e 10 mesi, per gli uomini da possedersi.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): non aver trovato una via d’uscita nemmeno per i 3mila Quota 96, bloccati da un errore marchiano della riforma Fornero, è un esempio clamoroso, al limite dell’assurdo, di come il personale scolastico viene poco considerato dai nostri governanti. Si va verso un turn over sempre più complicato e un’età media sempre più da record. E l’Europa si allontana.
L’ufficio studi Anief ha stimato che gli insegnanti immessi in ruolo quest’anno attraverso la Buona Scuola, rispetto a chi lascia il servizio oggi, andranno a percepire un assegno mensile fortemente decurtato: se un docente che oggi lascia il servizio attorno ai 65 anni percepisce una pensione media di 1.500 euro, chi è stato immesso in ruolo oggi andrà in pensione a 70 anni con 825 euro.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il personale non si rende ancora conto di tutto ciò e di quanto è stato penalizzato a livello previdenziale. Per questo motivo, il nostro sindacato ha programmato una serie di incontri con i lavoratori della scuola: gli esperti dell’Anief forniranno stime realistiche sulle pensioni che gli attali 40enni sono destinati a percepire, prospettando loro le possibili iniziative da intraprendere. Esistono da alcuni anni dei fondi integrativi di settore che rappresentano un’opportunità. La vera soluzione però è quella politica: bisogna sganciare il primo possibile, per via legislativa, il bilancio Inps dalle spese per lo stato sociale che ne assorbono i due terzi.