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Il tavolo del Governo sui precari è un bluff. Oggi il ministro Patroni Griffi ha incontrato i sindacati e aggiornato l'incontro alla prossima settimana, con un tavolo specifico sull’istruzione: si discute sull'ipotesi di un accordo quadro ma a legislazione vigente, che per scuola e sanità rappresenta una deroga alla direttiva comunitaria. Anief e Confedir rompono gli indugi: domani il sindacato sarà a Bruxelles per consegnare la denuncia sulla reiterata violazione dell’Italia della direttiva comunitaria che obbliga ad assumere i precari dopo 36 mesi di servizio.

Il ministro della Funzione Pubblica, Patroni Griffi, ha oggi riaperto il tavolo sulla precarietà dei lavoratori italiani del pubblico impiego. Ma lo ha fatto organizzando un incontro vuoto di proposte reali: in realtà il Governo non ha alcuna intenzione di trovare una soluzione sul personale statale non di ruolo. Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief e delegato Confedir alle alte professionalità e alla scuola, permane l’anacronistica resistenza dell’amministrazione nel non volere stabilizzare centinaia di migliaia di dipendenti e migliaia di dirigenti assunti a tempo determinato per più di 36 mesi.

“Malgrado l’apparente disponibilità del Governo – sostiene Pacifico - non trapela alcuna volontà di eliminare la discriminazione dei lavoratori pubblici italiani, vittime della reiterata violazione della direttiva comunitaria 1999/70/CE. Per questi motivi si deve prevedere uno strumento di armonizzazione della legislazione nazionale con quella comunitaria, tramite la stabilizzazione dei precari utilizzati per non incorrere in nuove procedure d’infrazione”.

Il sindacalista Anief-Confedir, deluso per l’incontro con il Governo, ha annunciato quindi di aver deciso di partire immediatamente per Bruxelles e Strasburgo, dove domani depositerà la denuncia del sindacato per la reiterata violazione dell’Italia della direttiva comunitaria 1999/70 e annuncerà l’arrivo, sul tavolo della Commissione, di migliaia di denunce da parte dei precari docenti e Ata della scuola italiana. Il sindacato offrirà gratuitamente ai precari il modello di denuncia da inviare in Europa, dove è bene ricordare che ogni procedura acclarata costa una condanna fino a 8 milioni di euro per lo Stato soccombente.

Secondo Pacifico la questione, almeno per quanto riguarda la scuola, è ancora aperta nonostante la recente sentenza della Cassazione che bloccherebbe le assunzioni dei precari anche di lunga durata. La direttiva CE che obbliga ad assumere questi dipendenti, peraltro recepita nel nostro ordinamento già dal decreto legislativo 368/01, non può infatti continuare a non essere considerata, solo per garantire risparmi o aumenti di produttività e a dispetto della cancellazione di diritti soggettivi riconosciuti prima ancora che dall’Europa dalla nostra Costituzione.

“Non è possibile – conclude Pacifico – che il personale pubblico considerato nell’immediato idoneo a svolgere la funzione richiesta, non sia più tale per svolgere lo stesso lavoro a tempo indeterminato. È giunto il momento di eliminare tutte quelle norme derogatorie alla normativa comunitaria per evitare una palese discriminazione dei lavoratori italiani del pubblico impiego”.

 

Ma la scuola ha bisogno di altre risposte: sblocco del contratto, fondi per l’edilizia, stabilizzazione dei precari, innovazione didattica e ricerca sono le priorità su cui investire come in Francia, Germania e Stati Uniti. Anief chiede di ridurre i costi della politica.

Non basta ritornare alle 18 ore come quando ci si sveglia da un brutto sogno ma ci si accorge che la realtà è ancora più tragica. Per una settimana, infatti, il legislatore si è interrogato su come reperire i milioni di euro richiesti alla scuola senza prendere coscienza che bastava semplicemente cancellare auto blu, accesso gratuito a mezzi di trasporto, cinema e teatro per alcuni privilegiati, in un momento in cui essere cittadino italiano, in una repubblica fondata sul lavoro, è diventato un privilegio per pochi:

- l’accesso al lavoro per le nuove generazioni è rimandato per il blocco del turn-over, la razionalizzazione, l’aumento dell’età pensionabile;

- la precarietà del rapporto di lavoro è assunta come modello principale nella firma dei contratti al fine di comprimere il diritto alle ferie, a un’equa retribuzione, a permessi;

- il blocco delle carriere e degli stipendi riporta il potere d’acquisto a vent’anni fa, rispetto all’aumento del costo della vita con mortificazione di motivazione, professionalità, dignità;

- il patrimonio pubblico inteso come servizi e beni è in svendita, laddove non utilizzato in strutture fatiscenti e insicure, non rispondenti all’interesse del territorio.

L’unica nota positiva è il risveglio tardivo del sindacato, dovuto ai rumorosi malumori della base, disposto a riesumare la vecchia arma dello sciopero generale (mai in questi anni abbandonata dall’Anief), eppure ancora schiavo di tatticismi e narcisismi, con due scioperi proclamati a distanza di dieci giorni (14 e 24 novembre) ma da organizzazioni diverse, in un momento in cui anche le due più grandi confederazioni (CGIL, CISL) si sono rese conto della necessità del ricorso, quando sono private del potere contrattuale (seguendo l’Anief che di questa necessità ha fatto virtù, in mancanza di rappresentatività).

Nel frattempo, gli altri Paesi d’Europa economicamente più avanzati investono in ricerca, innovazione didattica, personale, stipendi proprio nel settore della conoscenza, sordi ai richiami di quegli ignoranti detrattori del sapere che hanno incrementato i loro redditi grazie anche alle speculazioni dei mercati.

Qualunque partito o movimento che intenda essere protagonista nella prossima XVII legislatura deve dare una risposta urgente alle altre domande che provengono dal mondo della scuola e dell’università o è meglio che non si presenti alle future elezioni perché gli italiani, con le proteste di questi giorni, hanno dimostrato di non voler cambiare Paese e di voler vivere ancora in uno stato di diritto.

 

Aumento dell’orario settimanale dei docenti da 18 a 24 ore: cresce l’insofferenza della categoria verso un provvedimento unilaterale e incostituzionale. Anief si appella ancora ai Collegi dei Docenti: inviateci le vostre mozioni contro la sua approvazione in Parlamento. Così le raccoglieremo e invieremo all’Amministrazione per rendere la protesta più viva. Il rischio che l’emendamento di abrogazione non venga approvato rimane infatti ancora in piedi, poiché vi sarebbero difficoltà nel reperire fondi alternativi.

Mentre prosegue l'iter parlamentare sulla valutazione dell'emendamento che prevede l’abrogazione della norma attraverso cui il Governo vorrebbe innalzare l’orario di insegnamento dei docenti della scuola superiore da 18 a 24 ore, assume proporzioni sempre più grandi l’insofferenza della categoria verso un provvedimento considerato a furor di popolo ingiusto, oltre che in evidente violazione della normativa vigente, ad iniziare dall’articolo 36 della Costituzione, che regola i parametri della giusta retribuzione dei dipendenti pubblici e privati.

Anief ricorda che è inconcepibile aumentare l’orario di cattedra del 25% a stipendio invariato e bloccato al netto dell’inflazione, irrecuperabile ai fini di progressione di carriera, e con una mole di lavoro che supera del 25% la media OCDE (l’insegnante italiano lavorerebbe 854 ore rispetto alle 704 dei colleghi dei Paesi economicamente più sviluppati nelle scuole medie e alle 658 nelle scuole superiori). Ciò accadrebbe, inoltre, mentre è stato accertato che lo stipendio a fine carriera rimane più basso in media di almeno 8mila euro annui. Senza dimenticare che il cambio di un aumento di ferie, prospettato dal Governo, non può essere interpretato come una monetizzazione del rapporto di lavoro ma un diritto già costituzionalmente protetto.

Questi motivi, oltre a quelli legati all’immodificabilità dell’orario di lavoro del personale della scuola, assoggettato a particolari necessità didattico-formative e di preparazione-programmazione delle lezioni, sono in questi giorni pienamente sposati da innumerevoli Collegi dei Docenti. I quali stanno deliberando, all’unanimità o a larghissima maggioranza, una serie di mozioni che contrastano l’incauta iniziativa del Consiglio dei Ministri.

Anief comunica, a tal proposito, che stanno pervenendo nella propria sede nazionale diverse delibere espresse dagli stessi Collegi dei Docenti e che le sta raccogliendo per trasmetterle celermente all’Amministrazione. “In questo modo – spiega il presidente del giovane sindacato, Marcello Pacifico – cerchiamo di far comprendere ai vertici di chi governa la scuola italiana qual è lo stato d’animo con cui verrebbe accolto questo provvedimento unilaterale. Giunto in Parlamento, peraltro, del tutto privo di un adeguato confronto con le parti interessate. Senza dimenticare l’evidente contrasto che presenta a livello di applicazione, sia con la Costituzione che con il Contratto collettivo nazionale. Per rendere più forte la protesta, quindi, chiediamo agli istituti di continuare a inviarci le loro mozioni contro l’approvazione di un provvedimento che ad oggi rimane in piedi, visto che ancora non sarebbero state trovate le risorse finanziarie alternative”.

 

I dati emessi oggi dall’Istat sull’impennata di disoccupati in Italia rappresentano un altro colpo al cuore per l’economia italiana. Ma anche per i nostri giovani e per le loro famiglie. Sapere che nel 2013 gli italiani in cerca di occupazione passeranno dall’attuale 10,6% all’11,4%, con “un deterioramento complessivo delle condizioni del mercato del lavoro”, rappresenta un’ulteriore conferma della rottura in atto di quella solidarietà sociale e professionale, la cui presenza rimane indispensabile per rilanciare il Paese.

Secondo Marcello Pacifico, presidente dell'Anief e delegato Confedir ai direttivi, quadri e alte professionalità, “siamo di fronte alla conferma che in Italia occorre da subito rilanciare l’economia attraverso un serio piano di riconversione industriale. Per farlo è indispensabile che il Governo punti a potenziare quei comparti nei quali il Paese è notoriamente competitivo. Ad iniziare dallo sviluppo del patrimonio culturale. Invece si continua a fare ‘cassa’ – continua Pacifico – cercando di tagliare migliaia di posti nella pubblica amministrazione. Continuando a fare finta di dimenticare i quasi 280mila tagli che negli ultimi sei anni hanno colpito sempre i soliti ‘noti’: i ministeriali (che hanno perso 25 mila posti), le regioni e gli enti locali (-19 mila), la sanità (-28 mila) e soprattutto la scuola (-200 mila unità tra docenti e Ata)”.

Bisogna poi ricordare che nella nostra Penisola, rispetto alla media Ocse, si pagano pensioni superiori per via dei privilegi consentiti nel passato soltanto ad alcune categorie, quando con 15 anni di contributi o una legislatura si maturava il diritto a un beneficio a vita. Mentre oggi i giovani dovranno lavorare almeno 50 anni per andare in pensione dopo i 70 di età, peraltro con il 35% dell’ultima retribuzione.

“Per uscire da questo squilibrio - fa rilevare il sindacalista Anief-Confedir - serve necessariamente più equità e un patto generazionale sulle pensioni. Inoltre, va sempre ricordato che la spesa per il settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca è scesa negli ultimi venti anni del 5,4%. Adottando una politica opposta a quella degli Stati Uniti e della Germania. Senza dimenticare che gli stipendi sono stati bloccati per quattro anni, mentre si è proceduto all’utilizzo di personale precario per un settimo del fabbisogno ordinario per risparmiare le spese sugli stipendi. Per questo, consigliamo al Governo di abbandonare la strada controproducente dei tagli lineari ai servizi e dell’aumento della pressione fiscale: l’unica strada rimane la riconversione industriale e produttiva intorno a un progetto condiviso che rilanci il nostro patrimonio culturale unico, anche turistico, che ha già avuto in passato l’onore di ospitare la metà dei monumenti Unesco dell’umanità”, conclude Pacifico.

 

Così commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola, le ultime dichiarazioni del ministro Cancellieri e del sottosegretario Polillo. Troppi luoghi comuni che dimostrano qualunquismo e improvvisazioni.

La scuola ha pagato più di tutti gli altri settori del pubblico impiego con il 75 per cento dei tagli negli ultimi sei anni, più di 200.000 posti bruciati al netto di pensionamenti e turn over. Mentre l'orario di lavoro non può essere relegato a quello di lezione né paragonato a quello degli operai, quando negli altri Paesi OCSE è di poco superiore (dalle 30 alle 70 ore) ma molto meglio pagato a fine carriera (8.000 euro).

Sull'aumento delle 18 ore, gli esponenti del Governo farebbero bene non soltanto a fare un passo indietro ma a chiedere scusa per non cadere nella tragicommedia e alimentare una campagna di veleni che i nostri insegnanti non meritano. Non bisogna dimenticare che da loro passano le generazioni del domani. Altro che pianti...

 

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