L’amministrazione scolastica continua ad inanellare condanne per la mancata assunzione del personale precario con oltre tre anni, anche non continuativi, di servizio svolti: l’ultima sentenza è stata emessa dalla sezione Lavoro del Tribunale di Modena, che ha accolto il ricorso di una docente di religione cattolica della scuola primaria, precaria per 10 anni, assegnando alla stessa maestra un risarcimento pari a ben dieci mensilità stipendiali, che corrispondono a un mese per ogni anno di precariato, più gli interessi legali, per un somma complessiva che si aggira sui 15mila euro.
“Siamo soddisfatti – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché questa sentenza conferma la coerenza del nostro operato, anche in sede giudiziaria. Continuare ad ignorare le norme che confliggono con l’abuso dei contratti a termine, anche in presenza del record di posti vacanti e delle supplenze da conferire, a settembre saranno 250mila, significa non volere adeguarsi alla realtà. Ancora di più perché in questo modo l’amministrazione si accanisce contro gli stessi docenti, uno ogni quattro, che ogni mattina permettono alle nostre scuole di assolvere al meglio ad uno dei servizi essenziali e più delicato che lo Stato è chiamato ad assolvere: la formazione dei giovani”.
La docente, assistita dall’Anief e difesa dagli avvocati Lo Bue, Ganci e Miceli, aveva chiesto di essere stabilizzata per avere “prestato più di 36 mesi di servizio alle dipendenze del MIUR su posti vacanti e, comunque, in assenza di esigenze sostitutive di personale temporaneamente assente”. I legali, dopo avere fatto riferimento alla mancata considerazione delle indicazioni, da parte della nostra amministrazione, rispetto a quanto espresso dalla Corte di Giustizia Europea per evitare l’abuso dei contratti a termine, hanno chiesto la stabilizzazione della decente e “in estremo subordine” anche “di accertare e dichiarare l’illegittimo e abusivo superamento della soglia dei 36 mesi di servizio (prestato per ragioni non temporanee e non imprevedibili né tantomeno per esigenze sostitutive di personale temporaneamente assente) e, conseguentemente condannare le parti convenute al risarcimento danno” a causa proprio della “abusiva reiterazione di contratti a termini”. Inoltre, gli stessi legali hanno fatto osservare che “la CGUE ha, inoltre, ribadito che il rinnovo dei contratti a termine per rispondere ad una “ragione oggettiva” ai sensi della clausola 5 punto 1 lettera a) dell’accordo quadro deve servire a soddisfare esigenze di carattere provvisorio”.
Nelle motivazioni di accoglimento del ricorso, il giudice ha fatto riferimento all’alto “numero di contratti a termine succedutisi nel corso degli anni senza soluzione di continuità” è dovuto anche alla mancata attivazione di procedure concorsuali: “dopo un primo concorso svolto dopo l’entrata in vigore della legge 186/2003, nel 2004”, si legge nella sentenza, “non sono stati più indetti i concorsi a cadenza triennale previsti dalla normativa”. Per giudice, inoltre, “deve certamente riconoscersi il diritto degli insegnanti al risarcimento del danno subito per la precarizzazione cui sono stati sottoposti. Nel caso di specie ricorre, in sostanza, l’indebita precarizzazione in cui consiste il c.d. danno comunitario da reiterazione dei contratti a termine e da ciò deriva, secondo i principi delineati dalle Sezioni Unite, l’esonero dalla prova del concreto pregiudizio”.
In conclusione, il giudice ha stabilito che “nel caso di specie la reiterazione abusiva ha avuto luogo, sino alla data della presente pronuncia, per circa 10 anni scolastici completi, sicché, alla luce dei criteri sopra richiamati, si stima equo individuare l’indennità risarcitoria nella misura pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, attribuendo una mensilità risarcitoria ogni 12 mesi di abusiva reiterazione (oltre il trentaseiesimo mese), considerato il limite minimo di 2,5 mensilità”. Alla docente di religione verranno inoltre assegnati “gli interessi legali dalla notificazione del ricorso al saldo”. Infine, il tribunale di Modena “condanna il MIUR al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 259,00 per esborsi ed € 2.100,00 per compensi, oltre rimb. forf., IVA e CPA, da distrarsi ex art. 93 c.p.c.”.
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