Perché ai docenti precari che svolgono supplenze per brevi periodi vengono tolte dallo stipendio circa 170 euro al mese? È quello che non si spiegano i giudici. Tanto che con sistematicità oramai dicono sì alle richieste di risarcimento presentate dal sindacato. L’ultima è quella del Tribunale di Firenze, sezione Lavoro, che applicando il principio di non discriminazione tra il personale che svolge le stesse mansioni ha condannato il ministero dell’Istruzione ad assegnare oltre 2mila euro, più interessi, ad una docente che ha lavorato a tempo determinato tra il 2015 e il 2018 con supplenze “brevi e salturie”.
Ancora una sentenza a favore di un insegnante precario che chiede di ricevere la Carta del docente da 500 euro annui: a produrla questa volta è stato il Tribunale ordinario di Roma, che ha assegnato 2 mila ad una docente di scuola primaria che ha svolto quattro annualità di supplenze annuali, tra il 2016 e il 2021, dovendosi formare a proprie spese. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “la maestra si è formato in questi anni autonomamente, sostenendo spese irrisorie per migliorare la Dad, acquistare nuove tecnologie e software, ancora di più perché svolte in un periodo difficile perché contrassegnato dalla pandemia da Covid e dalla didattica a distanza. Ben venga la decisione del giudice, che sulla base dell’ordinanza madre della Corte di Giustizia europea del 18 maggio scorso, sulla causa C-450-21, ha assegnato al docente le somme a lui negate per un evidente ‘buco’ della Legge 107/15 che ha introdotto la stessa Carta del docente”.
La “Carta del docente” da 500 euro l’anno va assegnata al personale di ruolo, ma anche al supplente annuale: lo ha confermato la sezione Lavoro del Tribunale di Trani che ha esaminato il ricorso, patrocinato da Anief, di un insegnante che ha stipulato quattro contratti a termine stipulati a partire dal mese di settembre 2017 giungendo alla conclusione che il docente precario ha pieno diritto a vedersi riconosciuti 2mila euro. Si conferma, inoltre, la velocità con cui il giudice risponde positivamente all’istanza prodotta, condannando il ministero dell’Istruzione a somministrare la somma al docente precario che si è dovuto formare a proprie spese: in questo caso, il ricorso è stato depositato il 26 luglio scorso. Altre sentenze, sempre positive, sono state prodotte in ancora meno tempo. Tutte si riconducono all’ordinanza madre della Corte di Giustizia europea del 18 maggio scorso sulla causa C-450-21.
“Il servizio di leva obbligatorio e il servizio civile ad esso equiparato sono sempre utilmente valutabili, ai fini della carriera (art. 485 cit.) come anche dell'accesso ai ruoli (art. 2050, comma 1, cit.), in ogni settore”: lo ha ribadito la sezione Lavoro del Tribunale di Foggia esaminando il ricorso di un assistente amministrativo che ha chiesto il riconoscimento del servizio militare prestato non in costanza di nomina ai fini dell’aggiornamento delle graduatorie interne di Istituto. Interpretando la normativa vigente che si rifà in particolare all’articolo n. 2050 del d.lgs. 66/2010 (“Codice dell’ordinamento militare”), il giudice ha ricordato nella sentenzache sulla validità del servizio di leva e quello equiparato che rispetto al quesito posto dal ricorrente vi sono “numerosi altri precedenti: Corte di Cassazione civile Sez. Lav., l’Ordinanza n. 33151/2021, Sentenze n. 34686 e n. 34687 del 16 novembre 2021, Cass. 2 marzo 2020 n. 5679, Cass. 31 maggio 2021 n. 15127 e Cass. 3 giugno 2021 n. 15467”. Pertanto, con “disapplicazione del D.M. 50/2021”, il Tribunale di Foggia “dichiara il diritto del ricorrente al riconoscimento del punteggio per il servizio di leva svolto e, per l’effetto, ordina l’aggiornamento delle graduatorie di Istituto”.
I servizi pre-ruolo sono vanno tutti considerati utili alla ricostruzione di carriera. A confermarlo è la sezione Lavoro del Tribunale di Foggia che ha esaminato il ricorso di un’assistente amministrativa per mancata inclusione nella propria ricostruzione di carriera di quasi un anno di lavoro, per la precisione 11 mesi e 10 giorni: il giudice ha accertato che tale condotta non è lecita, perché confligge con “la clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999, che stabilisce che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato”. Dopo avere esaminato una serie di sentenze nazionali (Tribunale Torino sentenza n. 429 del 2019; Tribunale Bologna 12/03/2020, n.139; Tribunale Palermo, 17/07/2020, n.2262; Tribunale Cosenza 03/07/2020, n.1013, ma anche una recente espressione della Corte di Cassazione), il giudice ha deciso di assegnare “le differenze retributive spettanti al ricorrente”, per “complessivi € 3.056,13, di cui € 1.305,97 dovute in applicazione della clausola di salvaguardia per il servizio svolto con contratto a tempo determinato e tempo indeterminato fino al conseguimento della fascia 9/14, avvenuto in data 1/4/2020, ed € 1.750,16 per differenze retributive a seguito del riconoscimento integrale del servizio pre–ruolo in sede di ricostruzione della carriera”.