I motivi del dissenso sono noti a tutti, tranne che ad una risicata maggioranza che ha messo sotto ricatto il Parlamento: si fa un bel passo indietro sulla libertà all'insegnamento, si trasformano gli istituti scolastici in prototipi di aziende, i presidi sceglieranno il personale "pescando" dagli albi territoriali, scegliendo i 50mila docenti e i vincitori del nuovo concorso. Gli altri 50mila immessi in ruolo saranno assunti ad anno scolastico iniziato, con almeno altri 70mila insegnanti non assunti che chiederanno risarcimenti al tribunale civile di Roma. Ma non finisce qui: a settembre nelle scuole si creerà un caos senza precedenti, per il ritorno in classe dei vicepresidi e migliaia di dirigenti sguarniti dell'organico dell'autonomia. Vengono poi beffati tutti gli abilitati laureati, che per i prossimi cinque anni non potranno fare concorsi, né insegnare. Arriva, infine, il comitato di valutazione dei docenti, con i fondi del merito distribuiti dal preside-manager, sulla base delle indicazioni fornite anche dagli studenti 15enni.
Marcello Pacifico (presidente Anief): chi continua a non comprendere i perché delle forti proteste di oggi davanti e fuori il Senato, durante la discussione del provvedimento, ha una visione della scuola miope e antidemocratica. Anche stavolta l'ultima parola sarà però quella dei tribunali.
Il colpo di mano della Governo è servito: l'aula del Senato ha approvato la fiducia al disegno di legge di riforma della scuola. Il voto si è svolto in un clima di contrarietà generale, sia all'interno che all'esterno di Palazzo Madama.
A chiedere il voto dell'aula sulmaxi-emendamento presentato dai relatori, Francesca Puglisi del Pd e Franco Conte di Ap, in commissione Istruzione, era stato poco prima il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi (perché non lo ha fatto il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini?), proponendolo come una sintesi degli oltre 2mila emendamenti presentati, ma dimenticando di dire che le modifiche più importanti e più richieste sono state ancora una volta eluse.
I motivi del dissenso sono noti a tutti, tranne che ad una risicata maggioranza che ha messo sotto ricatto il Parlamento pur di non stralciare il piano straordinario di assunzioni, che ci chiede l'Unione Europea, a prescindere dalla riforma più contestata della Repubblica italiana.
L'adozione delle nuove norme porterà le scuole italiane indietro di decenni, sottraendo la libertà all'insegnamento e trasformando gli istituti scolastici in prototipi di aziende. Perché con questa riforma i presidi sceglieranno il personale non solo "pescando", a loro discrezione, dagli albi territoriali non graduati, ma anche scegliendo i 50mila docenti, il prossimo anno, e i vincitori del nuovo concorso.
E che dire degli altri 50mila immessi in ruolo, saranno assunti ad anno scolastico abbondantemente iniziato? Solo che altri 70mila insegnanti, ma forse anche 100mila, invece non assunti, potranno chiedere congrui risarcimenti al tribunale civile di Roma, citando la Presidenza del Consiglio per la violazione della norma comunitaria che impone la stabilizzazione del personale precario di lungo corso.
Inoltre, nelle scuole si creerà un caos senza precedenti, per il ritorno in classe dei vicepresidi. Con un periodo di interregno, che nella migliore delle ipotesi terminerà in autunno, durante il quale migliaia di dirigenti scolastici rimarranno privi di vicario, in attesa che si materializzi l'organico dell'autonomia richiesto dai collegi dei docenti solo con l'inizio del nuovo anno scolastico.
Purtroppo la lista delle brutte notizie, collegate all'approvazione del ddl, è davvero lunga. Riguarda anche il reclutamento: all'assurda esclusione dalle assunzioni degli abilitati dopo il 2011, che diventa illegittima per quelli che hanno svolto più di 36 mesi di servizio, si aggiunge la beffa per tutti gli abilitati laureati, cheper i prossimi cinque anni non potranno partecipare alle nuove selezioni, né insegnare più nelle scuole statali.
Con il maxi-emendamento, arriva poi l'originalissimo comitato di valutazione dei docenti, che dovrà assegnare i fondi del merito distribuiti dall'amministrazione centrale ad ogni istituto: questo organismo, che nessun Paese europeo detiene con questo genere di componenti, prevede che degli studenti, anche quindicenni, stabiliscano non solo i criteri per valutare il merito dei docenti, con l'ultima parola comunque del dirigente-manager, ma anche che valutino l'insegnante nell'anno di prova.
"Chi continua a non comprendere i perché delle forti proteste tenute oggi davanti e fuori il Senato, durante la discussione del provvedimento, ha una visione della scuola miope e antidemocratica - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal -: noi, come sindacato, che opera in difesa dei lavoratori e di chi vive la scuola ogni giorno, non possiamo accettare queste imposizioni, che non dovrebbero appartenere ad un paese democratico quale è l'Italia. Abbiamo già predisposto la macchina organizzativa per portare dinanzi al tribunale civile di Roma la Presidenza del Consiglio italiano".
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