Si sta sempre più deteriorando l’ultima grande riforma della scuola, la Legge 107/2015 voluta dal Governo PD: il bonus merito, uno dei punti più osteggiati di quella discussa riforma, diventerà infatti materia da contrattare al tavolo con le Rsu, all’interno del Fondo d’Istituto, e quindi non più ad appannaggio del dirigente scolastico sulla base delle regole stabilite dalle commissioni di valutazione. Allargando anche i possibili fruitori tra il personale Ata. La novità è contenuta in un emendamento alla manovra di fine anno approvato in Commissione Bilancio a firma del Movimento 5 Stelle. Tra le modifiche apportate alla manovra figura anche l’incremento di 5.000 posti di sostegno da collocare in organico di diritto: una goccia nel mare che non cambierà la situazione visto che il precariato tra gli specializzati per insegnare agli alunni disabili rimane previsto dalla Legge 128/13.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, “lo spostamento del bonus merito nel fondo d’istituto è un provvedimento che non coglie il cuore del problema dei compensi dei docenti e del personale Ata: i nostri decisori politici sanno bene che la priorità rimane quella di vincolare gli stipendi, ridotti ai minimi termini, al costo della vita che è più avanti di quasi 10 punti percentuali. Sul sostegno abbiamo ottenuto solo un piccolo passo avanti, peraltro frutto della nostra azione nei tribunali che insiste da anni sulla necessità di rispettare il volere delle commissioni mediche e pedagogiche, mentre non ha più senso ridurre le cattedre e ore settimanali di sostegno all’interno delle stanze degli uffici scolastici”.
La riforma della Buona Scuola di Matteo Renzi continua a perdere pezzi. La rivista Orizzonte scuola ricorda che in realtà l’iniziale proposta del M5S era stata quella di cancellare il bonus merito, destinando le somme nel Contratto collettivo nazionale. Invece, l’unico compromesso al quale si è arrivati è stato quello di modificare la destinazione delle somme, che confluiscono adesso nel Fondo di istituto: un fondo che, ricordiamo, serve a retribuire prestazioni del personale docente, educativo e ATA sia a tempo indeterminato che determinato, nel rispetto della progettualità del PTOF.
Anief ritiene che, anziché impegnarsi seriamente su come e dove reperire le risorse necessarie per rinnovare il contratto e produrre incrementi superiori a 200 euro, si va ad incentivare il fondo d’istituto con somme che non andranno di certo a cambiare la consistenza delle buste paga di chi opera nella scuola: per intenderci, i poco più di 200 milioni rimasti per sovvenzionare il bonus merito, se assegnati solo alla metà del personale, sulla base di prestazioni extra effettivamente svolte, considerando che si tratterebbe comunque di mezzo milione di lavoratori, andrebbero ad accreditare ad ogni dipendente in media 250 euro netti l’anno, ovvero 20 euro in più netti al mese. È una cifra che si commenta da sola. Senza dimenticare che la scomparsa del bonus merito giunge senza alcuna norma che tuteli l’attività degli attuali vicari non più destinatari dell’indennità di dirigenza, ponendo una seria riflessione su come in contrattazione integrativa valutare la loro professionalità.
Ma sono anche altre le contraddizioni che caratterizzano i provvedimenti adottati con la legge di bilancio 2020 a proposito della scuola italiana. Uno di questi è senz’altro la decisione di trasformare 5.000 posti di sostegno per gli alunni disabili dall’organico di fatto a quello di diritto: concettualmente, ritiene il sindacato, si tratta di un’operazione apprezzabile, salvo poi rendersi conto che si va a coprire solo una minima parte degli almeno 60.000 posti vacanti disponibili sul sostegno oggi vergognosamente collocati tra quelli in deroga.
Sulla decisione di collocare poche migliaia di posti di sostegno in organico di diritto ha comunque sicuramente pesato l’azione incessante prodotta dai legali anni Anief, attraverso le campagne #nonunoradimeno, che continua ad inanellare vittorie in tribunale, dove i giudici non possono che avallare le richieste di assegnazione dell’organico non in base al contesto sociale e alla burocrazia, come fa il Miur, ma in base alla certificazione dell’alunno e delle necessità riscontrate attraverso la stesura del PEI. Il problema è che se si vuole realmente conquistare la continuità didattica anche sul sostegno, ad oggi tante decine di migliaia di famiglie con alunni disabili si ritroveranno sempre costrette a chiedere l’intervento di un giudice e il legittimo risarcimento, che si aggira sui 500 euro al mese.
Quella del mancato sostegno è, in definitiva, un’altra scommessa fino ad oggi tutt’altro che vinta da chi ha cercato di introdurre una riforma del settore senza però ragionare sulle necessità effettive sugli obiettivi da raggiungere: lo stesso decreto legislativo n. 66 del 13 aprile 2017, approdato solo pochi mesi fa in Gazzetta Ufficiale, dopo un lungo excursus di approvazione, ha complicato non poco il percorso di riconoscimento delle certificazioni, senza incidere minimamente sull’ altissima quota di precariato che caratterizza l’organico dei docenti, ogni anno diritto allo studio e continuità didattica.
“Ancora una volta – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – si sono percorse delle strade pressoché inutili, pur in presenza di emendamenti invece risolutivi, molti dei quali ispirati da Anief. Ecco perché continuiamo a dire che il Parlamento ha perso l’ennesima occasione per risollevare la scuola. L’unica buona notizia che arriva dalle commissioni del Senato è che alla lunga si sta smantellando quella riforma della Buona Scuola voluta a tutti costi dal Partito Democratico e che tutto il sindacato italiano aveva compattamente rigettato. Il problema è che ci sono voluti quattro anni e ancora l’opera non è completa”.
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