Così commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, la parte del contenuto di un articolo di oggi del Corriere della Sera che riprende l'idea lanciata dal nuovo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi in un suo libro prima di diventare titolare del dicastero di viale Trastevere. “Fa bene il neo ministro ad affrontare la questione, ma non è certo riducendo di un anno le superiori che si potrà risolvere il problema del ritardo delle competenze dei nostri alunni – dice il sindacalista autonomo -, ancora di più perché si tratta di un tentativo fatto in passato e andato a vuoto, per tagliare 40mila cattedre e risparmiare oltre un miliardo di euro: l’ultima volta a proporlo fu l’ex ministra Maria Chiara Carrozza, sette anni fa, ma non si è andati mai oltre la sperimentazione adottata in alcuni licei. Sicuramente gli intenti dell’attuale ministro sono diversi, però cancellando di un anno l’offerta formativa di fatto si andrebbe a incrementare i già alti tassi di dispersione scolastica e di Neet. Riteniamo che l’obbligo formativo vada esteso, dai 3 anni alla maggiore età e comunque fino al diploma, e non ridotto, potenziando il Pcto nel triennio finale delle superiori”
Il sindacato Anief dice no a qualsiasi ipotesi di riduzione del quinquennio delle superiori. Lo fa commentando le posizioni del nuovo ministro Patrizio Bianchi, in un testo pubblicato oggi su un quotidiano nazionale. L’organizzazione sindacale ritiene che il tempo scuola vada mantenuto e ampliato, non certo ridotto: ancora di più oggi che viviamo in un periodo emergenziale e si sta cercando di far recuperare gli apprendimenti persi per via della pandemia.
Come riporta il Corriere della Sera, sono “due in particolare, interconnesse fra loro, le linee di pensiero: da un lato Bianchi insiste sulla necessità di rafforzare i percorsi professionali che troppo spesso invece di funzionare da trampolini per il mondo del lavoro si trasformano in anticamere della disoccupazione e dell’emarginazione sociale; dall’altro rilancia la necessità di accorciare il percorso dei licei da 5 a 4 anni, come già accade nella maggior parte degli altri Paesi europei. Due interventi che si saldano nella proposta di innalzare l’obbligo scolastico da 16 a 17 anni in modo da uscire da un percorso scolastico che lascia andare i ragazzi dopo il primo biennio di scuola superiore senza preoccuparsi che non abbiano un pezzo di carta in mano. Per legge infatti l’obbligo scolastico si esaurisce a 16 anni, cioè alla fine della seconda, ma per poter avere un diploma professionale in tasca bisogna aver frequentato un corso di almeno tre anni. Nelle ambizioni di Bianchi si vorrebbe creare una passerella - attraverso dei tirocini formativi in azienda della durata di un anno - che consenta a chi ha smesso la scuola dopo tre anni di proseguire anche in un secondo momento gli studi iscrivendosi a un Its, ovvero a un corso triennale post secondario ad alta specializzazione. Gli Istituiti tecnici specializzati sono stati finora una grande occasione sprecata: da un lato infatti vantano tassi di occupazione altissima perché licenziano profili tecnici richiestissimi dalle aziende, dall’altro però contano solo 15 mila iscritti mentre Bianchi vorrebbe in quattro anni portarli a 150 mila: un progetto - quest’ultimo - che è scritto anche nelle bozze del Recovery messe a punto dal Conte bis prima dell’addio”.
LA POSIZIONE DI ANIEF
Per Anief le strade da intraprendere sono altre: occorre estendere l’istruzione, allargando l’obbligo scolastico dagli attuali 16 fino ai 18 anni di età e comunque fino al diploma di maturità, così da ‘coprire’ tutti i cicli scolastici, peraltro con avvio a 3 anni e non più a 6 come avviene oggi. Come bisogna incentivare le esperienze di lavoro in modo organico, coinvolgere tutti gli studenti impegnati nel triennio finale delle superiori.
Marcello Pacifico ribadisce che “solo anticipando l’inizio della scuola, specializzando gli studenti e estendendo l’obbligo formativo, si andrebbe a scalfire finalmente quel 36% di giovani che oggi non si iscrivono a un corso di laurea e non lavorano. Recuperando in tal modo almeno una parte dei 50 mila quindicenni che ogni anno lasciano i banchi proprio quando cade l’obbligo di frequenza. E in tal modo si andrebbe pure a operare per cercare di perdere il vergognoso record italiano dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Ridurre di un anno le superiori non aiuterebbe a centrare questi obiettivi”.
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