Il problema dei maltrattamenti degli alunni a scuola “non risiede nell’indole perversa di pochi insegnanti o nel genoma delle maestre italiane ma piuttosto nell’usura psicofisica professionale: occorre che il legislatore riveda tutti i punti fin qui trascurati e malamente modificati quali la previdenza, il riconoscimento e la prevenzione delle malattie professionali”: a questa conclusione è giunto Vittorio Lodolo D'Oria, medico e scrittore esperto in burnout degli insegnanti, a seguito di uno studio sui "Presunti maltrattamenti a scuola" pubblicato su La Repubblica. Dopo avere analizzato articoli, studi e pubblicazioni apparsi in internet negli ultimi dieci anni, dal 2014 al 2024, l’esperto ha scoperto che sono stati oltre 400 gli insegnanti coinvolti in Italia, mente il fenomeno non sembra presente all’estero.
“Lo studio del valido medico Vittorio Lodolo D'Oria costituisce la conferma che è ora di finirla di gettare la croce addosso agli insegnanti – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - , perché sappiamo bene che la stragrande maggioranza delle accuse rivolte agli insegnanti indicati come violenti si esauriscono con un nulla di fatto: le ipotesi di reato, infatti, quasi sempre non sussistono, trattandosi di esasperazioni degli insegnanti, in età spesso avanzata, lasciati soli con alti numeri di alunni e senza alcuna considerazione per il loro stato psicologico. Non è un caso che i docenti italiani abbiano alte possibilità di incorrere nel burnout a seguito di quel rischio biologico, per l’attività svolta a contatto con gli alunni, che uno Stato indifferente continua a non volergli riconoscere. Ecco perché – conclude il presidente Anief – servono accorgimenti specifici per la categoria, come il ritorno delle compresenze, l’aumento di organici e l’uscita dal lavoro anticipata a 62 anni”.
LO STUDIO
Il dottor Lodolo D’Oria ha criticato anche l’utilizzo delle intercettazioni ambientali: si realizzano “centinaia di ore di registrazioni che nessun giudice vedrà mai per intero” affidate ad agenti che non hanno alcuna competenza pedagogica in materia e che possono portare “al soggettivo concetto arbitrario di “abitualità” del reato. Quindi, ricorda che “nove volte su dieci la denuncia parte direttamente dai genitori”, partendo dal fatto che si rivolgono direttamente all’autorità giudiziaria, senza dimenticare “ciascuna mamma è solitamente convinta che il proprio stile educativo sia quello giusto e l’unico perseguibile”. È quindi fisiologico che i rapporti siano talvolta turbolenti. Ma se l’attrito non dovesse risolversi neppure con la mediazione autorevole del dirigente scolastico, il “contrasto si acuisce, i genitori passano alla denuncia, il caso si complica, si amplifica attraverso i media e incrina definitivamente la fiducia scuola-famiglia”.
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