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Anche l’Aran conferma il gap tra il costo della vita in estrema crescita e gli stipendi praticamente fermi del personale pubblico e della scuola, con tanto di beffa dovuta alla risposta decisamente inferiore rispetto al comparto privato. L’ultimo report nazionale sulle retribuzioni contrattuali a confronto, formulato su dati ufficiali della Ragioneria generale dello Stato e Istat e aggiornato in questi giorni dall’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, non lascia spazio a dubbi: lo studio settoriale, suddiviso in vari file, riporta che nella seconda decade del nuovo millennio, gli aumenti degli stipendi dei dipendenti pubblici (un terzo dei quali in servizio nel comparto Istruzione e Ricerca) sono stati più della metà inferiori all'aumento del costo della vita, a dispetto di quelli dei privati, invece leggermente superiori all’inflazione.
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Senza un intervento in extremis del prossimo Governo, dal 1° gennaio 2023 la Legge Fornero tornerà pienamente in vigore: venuta meno anche Quota 102, il risultato è che l’anno prossimo si potrà andare in pensione a 67 anni di età ed almeno 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne). Gli unici a potere anticipare i tempi di uscita dal lavoro saranno i dipendenti appartenenti a determinate categorie professionali, ritenute particolarmente stressanti: all’interno di questo novero, occorre includere tutti i lavoratori della scuola e non solo i docenti maestri a contatto con gli alunni più piccoli, già comunque giustamente considerati.
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Sulla copertura delle oltre 200mila cattedre scoperte, il ministro dell’Istruzione dispensa tranquillità ma non convince nessuno. Invece di spiegare come mai i tre quarti di quei posti continueranno ad andare a supplenza, Patrizio Bianchi si sofferma sulle dimezzate immissioni in ruolo del 2021 (meno di 60mila su 112mila autorizzate), sulle procedure concorsuali in corso che però in gran numero non sono state concluse e quindi non potranno incidere sulle attuali stabilizzazioni e sui 70 mila docenti da assumere entro il 2024. A sottolinearlo è il sindacato Anief, che denuncia l’incapacità anche dell’attuale Governo di stabilizzare il personale scolastico lasciando in vita una quantità impressionante di cattedre senza titolare: anche quest’anno quei posti sono destinati per almeno il 50% a non essere assegnati e i contratti a tempi indeterminato si realizzeranno non certo con la celerità indicata dal Ministero, ma attraverso nomine che si protrarranno ben oltre l’inizio dell’anno scolastico.

A darne notizia il ministero dell’istruzione - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - con la nota “Contrasto alla diffusione del contagio da COVID-19 in ambito scolastico. Riferimenti tecnici e normativi per l’avvio dell’a.s. 2022/2023” rivolta ai dirigenti scolastici e ai direttori degli uffici scolastici regionali.
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Marcello Pacifico (Anief): “la politica deve realmente occuparsi dei problemi della scuola, non solo a livello propagandistico. Istruzione al centro non solo con promesse elettorali, i candidati devono esprimere il loro parere su punti cardini, partendo dalla centralità dello studente”.
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