La riduzione di investimenti per l’Istruzione prevista dal Governo con l’ultimo Def, a seguito del calo delle nascite in Italia, fa storcere il naso anche a più di qualcuno. Anche in Parlamento: a spendere parole di condanna è stata la VII Commissione della Camera dei Deputati, secondo la quale la denatalità non può essere motivo di tagli alla spesa ma un’opportunità per elevare gli investimenti nella crescita dei giovani italiani. Dello stesso parere sono i senatori della Commissione omologa a Palazzo Madama. Ricordiamo che se in Italia nel 2020 la spesa pubblica per l’Istruzione è stata pari al 4% del totale, già molto al di sotto di quella di altri Paesi avanzati, nel 2025 scenderà al 3,5% e nel 2030 ancora al 3,4% per poi mantenersi nei decenni sui quello standard ridotto.
Adesso, i parlamentari della Commissione Istruzione della Camera indicano all’Esecutivo Draghi “la necessità di disporre un ulteriore adeguamento quantitativo delle risorse da destinare al comparto della scuola indicando come obiettivo programmatico di lungo termine il raggiungimento del valore della media europea dell’indice di spesa per l’istruzione in rapporto al Prodotto interno lordo”. Lo stesso indicano i componenti della Commissione Cultura del Senato: “le risorse liberate dalla riduzione della spesa per istruzione conseguente al calo demografico siano reinvestite nel medesimo settore a beneficio dei giovani e delle future generazioni”.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, si esprime favorevolmente per la puntualizzazione dei componenti delle Commissioni di Camera e Senato: “Invece di cogliere la ghiotta occasione di beneficiare del calo delle nascite per ridurre il numero di alunni per classe, spazzare via le oltre 13mila classi pollaio con almeno 26 alunni e spazzare via i tagli di organici, tempo scuola, istituti e compresenze introdotto con il DPR 81/2009, il Governo pensa anche stavolta a fare cassa sia sulla pelle degli alunni, ammassati in aule vecchie e piccole, costretto a fare lezione in condizioni di non sicurezza, sia su quella del personale, che si valorizza a parole e si mortifica nei contratti”.
LE RAGIONI DEL PRESIDENTE ANIEF
“Già – continua il sindacalista Anief - perché i fondi assegnati alla scuola potrebbero andare pure a quei docenti e Ata che nel 2022 si vedranno assegnare un aumento miseria del 4%, con poco più di 100 euro lordi medi a testa e tra i mille e duemila euro di arretrati sempre a lavoratore. Peccato che sommando queste cifre all’unico altro rinnovo di contratto degli ultimi lustri, si arriva solo ad un +7,5%, mentre l’inflazione è salita del 20%. Così se non arriveranno altre risorse, da noi quantificate in circa 270 euro mensili e 25mila euro di arretrati, considerando anche il caro bollette e carburanti dell’ultimo periodo derivante dalla guerra in Ucraina, i dipendenti della scuola si ritroveranno con un rinnovo contrattuale approvato ma in realtà sempre più vicini alla soglia di povertà piuttosto che alla media dei pagamenti dei colleghi europei. Come si può pensare di tagliare l’impegno economico ad una categoria che sta sprofondando a livello di condizione e considerazione sociale”, conclude Pacifico.
LE SPIEGAZIONI DELLA VII COMMISSIONE DI MONTECITORIO
Nel documento redatto dai deputati della VII Commissione di Palazzo Madama, riportato dalla stampa specialistica, si legge che “lo sviluppo e la competitività del Paese è imprescindibile un deciso salto di qualità nell’investimento nel capitale umano”. E continuano sostenendo che “sulla formazione iniziale dei docenti, nel senso indicato nelle premesse, riconoscendone la centralità quale momento formativo in cui acquisire le effettive competenze, non solo disciplinari, che gli insegnanti devono possedere. Infine siano potenziate le risorse destinate alla formazione continua dei docenti”.
IL DECREMENTO DI RISORSE
Il calo di investimenti per la scuola nei prossimi anni, deciso dal Governo, è bene illustrato nelle tabelle sottostanti (fonte Orizzonte Scuola).
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