Finalmente in Italia si registra una riduzione di Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, però il dato resta superiore alla media europea, evidenziando un gap soprattutto tra i diplomati. A rilevarlo è l’Istat, che ha analizzato la quantità di Neet nel 2023: la percentuale si è fermata al 16,1%, con un incoraggiante calo di 2,9 punti percentuali rispetto al 2022 e di ben 7 punti rispetto al 2021. Ma soprattutto il dato è assai più basso del 2014 (quando i Neet arrivavano al 26,2%), posizionandosi anche al di sotto del livello pre-crisi del 2007 (18,8%). E a guardare fuori Italia c’è poco da rallegrarsi: nonostante il trend positivo, scrive oggi la stampa specializzata, l’Italia si posiziona ancora al di sopra della media europea (11,2%) e supera significativamente Paesi come Germania (8,8%), Francia e Spagna (entrambe al 12,3%).
“Questi numeri fanno riflettere – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, impegnato in questi giorni a Terrasini per la Scuola estiva e una serie di iniziative formative organizzate del giovane sindacato - , perché confermano che in Italia vi sono delle condizioni sfavorevoli ai giovani che vanno affrontate e superate. Prima di tutto, ci siamo chiesti perché siamo la maglia nera in Europa per numero di Neet? Ci siamo domandati perché in Italia al Sud vi sono il doppio di disoccupati e Neet rispetto al Nord? La verità è che paghiamo la politica dei tagli a senso unico dei servizi pubblici degli ultimi vent’anni, in particolare per comparti come l’istruzione e la sanità. E con l’autonomia differenziata, se non si introdurranno LEP omogenei e armonizzati e se non si lascerà fuori la scuola, andrà sempre peggio”.
Il sindacalista ricorda che “vi sono province italiane, soprattutto al Sud, carenti in infrastrutture, sia formative che sociali. Manca una progettazione globale e di settore. E non ci sono piani per favorire la mobilità studentesca. Come pure il turn over: la legge Fornero, che manda in pensione quasi a 70, impone il riscatto gratuito della laurea, come pure l’uscita anticipata senza specializzazioni per chi svolge lavori usuranti come quelli del docente. Poi dobbiamo fare i conti con i problemi allargati a dismisura della scuola e con i tagli dei finanziamenti universitari degli atenei, in particolare del Sud, la cui riduzione non ha tenuto minimamente conto delle difficoltà oggettive e culturali in cui versano gli atenei da Roma in giù. I giovani del Meridione spesso, infatti, guardano al Nord come se si trattasse di una ‘terra promessa’”.
“Attraverso una serie di misure ad hoc - come organici potenziati, scuole derogate dal numero minimo di iscritti perché collocate in territori sfavorevoli, abbandono scolastico da combattere con una didattica più personalizzata, apprendistato realmente sostenuto - si dovrebbe quindi puntare a un livello d'istruzione e di competenze che garantiscano più opportunità ai giovani provenienti da contesti svantaggiati. Senza dimenticare lo sviluppo del patrimonio turistico-culturale, una risorsa inestimabile che l’Italia continua a tenere in disparte: un investimento cospicuo – conclude Pacifico – rilancerebbe l’economia e assorbirebbe un altissimo numero di giovani oggi senza lavoro e formazione”.
L’INFAUSTO CONFRONTO CON L’EUROPA
Sempre rispetto alla quantità di Neet, il divario con l’Europa risulta ancora più evidente se si analizza il dato in base al titolo di studio. I giovani diplomati italiani presentano un gap di 6,5 punti percentuali rispetto alla media europea, mentre la differenza si riduce a 4,7 punti per i laureati e a 2 punti per chi possiede solo la licenza media. Il calo dei Neet registrato nel 2023 è da attribuire a una maggiore partecipazione al sistema di istruzione, soprattutto tra chi possiede un titolo di studio inferiore, e a un aumento dell’occupazione, in particolare tra i giovani con bassi livelli di istruzione.
Va anche detto che l’incidenza dei Neet risulta molto contenuta tra i 15 e i 19 anni (6,3%), grazie all’alta percentuale di studenti (89,7%). La quota sale invece al 19% tra i 20 e i 24 anni e raggiunge il 22,7% tra i 25 e i 29 anni, fascia d’età in cui diminuisce la partecipazione al sistema educativo e aumenta quella al mercato del lavoro. Infine, il report Istat evidenzia un forte divario di genere e cittadinanza. La quota di Neet tra le donne straniere (35,8%) è di quasi 20 punti percentuali più alta rispetto alle italiane (16%), mentre tra gli uomini la differenza si riduce a 1,4 punti percentuali (15,7% tra gli stranieri e 14,3% tra gli italiani). Nonostante i passi avanti, l’Italia deve ancora lavorare per colmare il divario con l’Europa, investendo in politiche attive del lavoro e in percorsi di formazione che favoriscano l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con particolare attenzione alle fasce più fragili e a rischio esclusione.
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