Anche il docente che ha svolto una sola annualità di supplenze può chiedere la restituzione dei 174,50 euro relativi alla retribuzione professionale docenti - previsti dall’art. 7 del CCNL comparto scuola del 15.03.2001 - che lo Stato ogni mese gli ha negato: sia perché l’orientamento dei giudici si sta sempre più orientando ad accogliere i ricorsi, ritenuti più che legittimi per palese discriminazione, sia perché l’entità della somma recuperata anche per un solo contratto stipulato non è trascurabile. Il tribunale del lavoro di Verona ha infatti appena restituito, il 19 maggio scorso, ben “1.204,53, oltre alla maggior somma fra interessi legali e rivalutazione dalla maturazione del credito sino al saldo” per la mancata assegnazione della Retribuzione professionale docente nell’anno scolastico 2017/18.
La legge prevede un forte indennizzo per il lavoratore della scuola precario, che ha svolto almeno 36 mesi di supplenze, anche non continuative, al quale lo Stato nega l’immissione in ruolo automatica come invece previsto dalla Corto di Giustizia europea: ricorrere in tribunale serve proprio a farsi attribuire questa somma risarcitoria, anche se la stabilizzazione non si è ancora materializzata. Così è andata ad docente tecnico-pratico in servizio ad Imola che per alcuni anni ha sottoscritto contratti di lavoro a tempo determinato, annuali o di durata breve, dal 2006 ad oggi”: il Tribunale ordinario di Bologna, sezione Lavoro, ha accertato che il docente “aveva diritto a partecipare al piano straordinario di stabilizzazione varato con la legge 107/2015”, dal quale è stato invece escluso.
Adesso si può dire: sulla retribuzione professionale docenti negata a tutti i docenti precari (come pure la Cia al personale Ata) sempre più tribunali si stanno convincendo che si tratta di somme sottratte in modo illegittimo a supplenti che già percepiscono stipendi ridotti poiché privi di scatti automatici. Sulla restituzione dei 174,50 euro al mese si era espresso favorevolmente a febbraio il tribunale di Forlì, poi quello di Modena, quindi di Catania, pochi giorni fa abbiamo avuto la sentenza favorevole di Paola. Sempre dai giudici della stessa provincia di Cosenza apprendiamo dell’accoglimento della tesi dei legali che operano per Anief, grazie alla quale una maestra della scuola primaria ha recuperato “1.818,41 oltre interessi dal dovuto al saldo”, a seguito della mancata assegnazione della Rpd per gli anni di supplenza svolti dal 2009/2010 al 2018/2019.
Anief continua a collezionare sentenze favorevoli alla restituzione della retribuzione professionale docenti a tutti i supplenti che fanno ricorso a giudice del lavoro. Secondo i giudici, infatti, assegnare i 174,50 euro al mese solo a chi è stato assunto a tempo indeterminato è un atto illegittimo. Dopo l’esito positivo del tribunale di Catania, l’ultima sentenza favorevole è quella di Paola, in provincia di Cosenza, dove una docente della scuola d’Infanzia e Primaria ha fatto ricorso per la mancato assegnazione della Rpd negli anni di supplenza svolti tra il 2010/2011 e il 2018/2019. Sovvertendo quanto previsto dall'art. 7 del CCNL del 15-3-2001, il giudice del lavoro ha stabilito che “il ricorso è sicuramente fondato”, con “il giudicante” che “ritiene di dover aderire all’orientamento manifestato dalla Corte di Cassazione e alla copiosa e successiva giurisprudenza di merito che ha aderito all’orientamento manifestato dal giudice di legittimità (Cass. sez. lav., 27/07/2018, n.20015)”. Ha quindi accolto “il ricorso per quanto di ragione e per l’effetto”, condannando “il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al pagamento, per il titolo di cui in motivazione, della complessiva somma di € 2.225,23 oltre interessi dal dovuto al saldo”.
In Italia si continua a minimizzare il servizio lavorativo dei precari, disapplicando il principio di non discriminazione previsto dalla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla dir. 99/70 del Consiglio dell’Unione Europea: lo ha ribadito il Tribunale di Catania, che in funzione di giudice del lavoro ha ordinato al ministero dell’Istruzione la revisione della ricostruzione della carriera di un’assistente amministrativa assunta a tempo indeterminato nel settembre 2011 considerando a pieno tutti i servizi svolti. Il giudice ha quindi stabilito l’assolvimento del “diritto del ricorrente all’immediato riconoscimento dell’anzianità maturata in tutti i servizi non di ruolo prestati a decorrere dall’a.s. 2001-02, con la medesima progressione professionale riconosciuta dai CCNL Comparto Scuola via via vigenti al personale ATA di pari qualifica assunto a tempo indeterminato e, per l’effetto, condannare il Ministero dell’Istruzione a collocare la ricorrente al livello stipendiale corrispondente a tutta l’anzianità di servizio maturata e al pagamento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione dei conseguenti incrementi stipendiali, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di scadenza dei singoli ratei”.
Arriva la prima pronuncia di un giudice del lavoro che dà ragione alla tesi dell’Anief: il Green pass rafforzato è valido entro 6 mesi dalla guarigione per lavorare e non entro 3 mesi, come invece segnala il sistema telematico ministeriale Sidi sullo stato vaccinale del lavoratore. Il giovane sindacato invita i dirigenti scolastici a rispettare la norma primaria per non incorrere in sentenze negative. “Siamo pronti ad impugnare le sospensioni e la circolare ambigua del ministero della salute”, dichiara oggi Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief.
La Retribuzione professionale docenti – pari a 174,50 euro al mese - va assegnata a tutti gli insegnanti: quelli precari, come quelli di ruolo. Pagarla solo a chi è stato assunto a tempo indeterminato è un atto illegittimo che il giudice contrasta con sentenze di tenere opposto. Così è accaduto anche a Catania, dove il Tribunale del Lavoro, seconda Sezione Civile, ha restituito ad una docente “1677,87 euro oltre accessori, come per legge” e condannato il ministero dell’Istruzione “al pagamento delle spese processuali, in favore della parte ricorrente, che si liquidano in €.981 per compensi, oltre IVA e CPA, rimborso forfettario al 15%”.
Il servizio del precario vale pienamente ai fini degli scatti stipendiali e dell’anzianità di servizio da calcolare all’interno della ricostruzione di carriera e se si è svolto anche un giorno di supplenza prima del 2011 dà titolo a recuperare l’avanzamento di livello del terzo anno oggi cancellato: lo ha stabilito anche il Tribunale ordinario di Firenze, sezione Lavoro, nell’accogliere la richiesta di una docente che aveva prestato servizio “in favore dell’amministrazione resistente, in forza di plurimi contratti a tempo determinato, dall’a.s. 2004/2005 all’a.s. 2018/2019”. Superando anche “la clausola di salvaguardia prevista dal C.C.N.L del 19 luglio 2011 in favore dei soli docenti assunti con contratto a tempo indeterminato in servizio al primo settembre del 2010”, il giudice ha anche restituito all’insegnante lo “scatto” del terzo anno di carriera cancellato per coloro che non hanno avuto rapporti di lavoro con l’amministrazione (anche da precari) prima del 2011. Come differenza, alla docente sono stati anche assegnati “1.903,85 euro oltre interessi legali dalla data di maturazione delle singole somme al saldo”.
Con la sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, annulla la precedente sentenza del TAR Lazio esprimendosi solo sull'aspetto formale per cui il TAR Lazio aveva annullato l'intero decreto interministeriale n. 182/2020, appare evidente che ora sia necessario un intervento “a valle” della procedura e, quindi, come chiarito dallo stesso Consiglio di Stato, “attraverso la mediazione di un provvedimento applicativo, che renda attuale l’eventuale pregiudizio, radicando l’interesse alla reazione in sede giurisdizionale”. Marcello Pacifico (Anief): “Il Consiglio di Stato non si esprime sui gravi motivi per cui il TAR aveva ritenuto illegittimo il Decreto in quanto lesivo degli interessi degli alunni con disabilità, ma rimanda ai singoli provvedimenti attuativi dello stesso per la valutazione della sua illegittimità, dunque come sindacato non ci tireremo indietro e con la nostra iniziativa “Sostegno: non un'ora di meno!” tuteleremo tutte le famiglie con azioni legali mirate e gratuite”.
A un insegnante che svolge dei periodi di supplenza con il titolo idoneo all’insegnamento va corrisposto il punteggio pieno e ciò a prescindere dalla graduatoria di appartenenza: lo ha stabilito il Tribunale di Venezia, sezione per le controversie di Lavoro, che ha accolto la tesi dei legali Anief e cancellato la decurtazione di 22 e 11 punti sottratti illegittimamente a un ITP, insegnante tecnico pratico, il punteggio di servizio maturato negli anni scolastici 2017/2018 e 2018/19 a seguito dell’esito di sentenze che lo ricollocavano, a seconda dell’esito, in diverse fasce d’Istituto. La decisione del Consiglio di Stato di inserire il docente in terza fascia non avrebbe dovuto infatti penalizzare lo stesso ITP.
Anche il precario della scuola ha diritto a percepire gli scatti di anzianità: non può essere fermo per anni, se non per decenni, sempre allo stipendio base. L’indicazione arriva dal tribunale di Modena, sezione Lavoro, che nell’esaminare un ricorso prodotto nel giugno 2020 dai legali operanti per Anief in difesa di una “docente abilitata della scuola primaria, ancora precaria”, ha esaminato il caso per giungere al riconoscimento degli anni di precariato dal 2015 e quindi il “riconoscimento della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, in relazione ai servizi non di ruolo prestati, con applicazione della clausola di salvaguardia di cui al CCNL del 4 agosto del 2011”; inoltre, il giudice del lavoro ha condannato “il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca a corrispondere a favore della ricorrente le differenze retributive dovute sulla base del calcolo dell’anzianità di servizio che sarebbe maturata in costanza dei rapporti di lavoro a termine allo stesso modo di quella riconosciuta, in relazione ai medesimi periodi, al corrispondente personale di ruolo” e che sono state “maturate dal giorno 26.11.2015 sino al 30.06.2020, oltre interessi legali o, se maggiore, rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 22 comma 36 l.n.724/1994, relativo ai crediti dei pubblici dipendenti, dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo”; infine, è stata condannato “l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 3513,00 per compensi oltre rimb. forf., IVA e CPA, da distrarsi ex art. 93 c.p.c.”.
Ancora una sentenza che riconosce in pieno il periodo di supplenza ai fini della ricostruzione di carriera, comporta le differenze retributive che ne scaturiscono, pari a migliaia di euro, e il “salto” nella fascia stipendiale superiore con effetti immediati in busta paga. La beneficiaria è una docente di scuola superiore, che si era rivolta alla sezione Lavoro del Tribunale ordinario di Lucca: il giudice ha studiato il caso e non ha potuto che richiamare la clausola 4, comma 1, dell’Accordo quadro 1998 recepito con la Direttiva 99/70, secondo cui il calcolo del servizio svolto come supplente va considerato alla pari di quello effettuato dopo l’immissione in ruolo, che nel caso della docente si è materializzata nel mese di settembre 2013. Nei cinque anni precedenti, tra l’a.s. 2008/09 e l’a.s. 2012/13, la professoressa aveva lavorato sempre con contratti a tempo determinato: annualità che adesso il giudice ha deciso di considerare pienamente e non in modo parziale come invece intendeva il Ministero.
Ancora una sentenza favorevole ad un insegnante della scuola pubblica al quale il ministero dell’Istruzione ha negato nella ricostruzione di carriera il riconoscimento del servizio pre-ruolo: riguarda una docente immessa in ruolo nel 2015 in un Liceo Musicale del Veneto che aveva svolto supplenze prima del 2010. Alla professoressa è stato assegnata la fascia stipendiale 0-3 anni cancellata nel 2011 per uno scellerato accordo con gli altri sindacati. Più quasi 3mila euro di rimborso. La decisione è stata presa dal Tribunale di Verona in funzione di giudice del lavoro. Nella sentenza è stato accordato “il diritto a percepire ad personam l’aumento retributivo relativo al passaggio dalla fascia stipendiale 0-2 alla fascia 3-8 anni fino al conseguimento della fascia retributiva 9-14 anni; a ricevere “a titolo di differenze retributive la somma lorda di € 2.907,71 oltre agli interessi legali dalla maturazione del credito sino al saldo”, condannando “l’amministrazione a rifondere alla ricorrente, le spese di lite, che liquida in 1.200 per compensi, oltre IVA e CPA come per legge, 15% per spese generali ed € 49,00 per contributo unificato, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari”.
Gli anni di supplenze vanno tutti conteggiati per intero e inseriti come tali nella ricostruzione di carriera: vale sia per i docenti che per il personale Ata. Lo ha ribadito il giudice, stavolta del Tribunale ordinario di Lucca, che ha ordinato di considerare tutto il “servizio alle dipendenze del medesimo Ministero, prima dell’immissione in ruolo” con “contratti a tempo determinato dal dicembre del 2000 fino all’agosto del 2010”, riguardante “una collaboratrice scolastica assunta a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione l’1.9.2011”.
Gli uffici scolastici continuano a concedere alle scuole un numero di ore di sostegno inadeguato, perché inferiori alla necessità stabilite dall’equipe psico-pedagica e contenute nel Piano Educativo Individualizzato, con il conseguente numero ridotto di insegnanti per assicurare un adeguato sostegno scolastico agli studenti disabili iscritti. Per ottenere la quantità necessaria all’alunno con disabilità occorre rivolgersi al giudice. È quello che ha fatto la famiglia di una alunna veneta alla quale Ufficio Scolastico Regionale e Ambito Territoriale Provinciale avevano assegnato “un insegnante di sostegno per un numero insufficiente di ore (11 ore settimanali)”.
Lo Stato si ostina a non calcolare integralmente servizi di supplenza, precedenti all’immissione in ruolo, del personale scolastico, ma ancora una volta il giudice gli dà torto e risarcisce il docente o Ata di turno che fanno ricorso: stavolta è stato il Tribunale di Sassari, sezione Lavoro, a stabilire che è errato applicare i limiti di valutazione “in base ai criteri di cui all’art. 485 d.lgs. n° 297/94, in violazione della direttiva CE 1999/70”.
Tutto il periodo di supplenza, non un giorno di meno, è da considerare utile per l’anzianità della carriera: il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, va attuato nella ricostruzione del servizio svolto, una volta una volta entrati in ruolo. A ribadirlo è stato il Tribunale di Modena, sezione Lavoro, che ha accolto il ricorso di una assistente amministrativa assunta a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero il 1° settembre 2014, ma che in precedenza aveva svolto 6 anni, 6 mesi e 3 giorni di supplenze. Secondo il giudice, per non cadere in “una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni” è inevitabile considerare tutto il periodo pre-ruolo. Il giudice, pertanto, ha condannato il ministero dell’Istruzione, ordinandogli di valutare tutti i periodi di supplenza dell’assistente amministrativo, quantificato in oltre 2mila euro di “differenze retributive”. Inoltre, tale considerazione ha permesso alla lavoratrice di passare nello scaglione successivo, usufruendo quindi di uno stipendio più alto.
Lo Stato non può sottoporre a tassazione le somme risarcitorie assegnate dal giudice al personale scolastico per compensare la mancata assunzione a tempo indeterminato e quindi l’abuso dei contratti a termine: lo ha stabilito la Sezione Terza del Tar della Lombardia, che con sentenza del 25 marzo ha restituito ad un docente che aveva presentato ricorso, attraverso degli avvocati dell’Anief, l’importo “di euro 1.512,87 illegittimamente trattenuto a titolo di ritenuta IRPEF” applicata sul risarcimento di 6.175,00 assegnato sempre a seguito di ricorso presentato dal sindacato.
Il tribunale di Torino accoglie il ricorso presentato dal legale Anief: un docente riceve 3mila euro di risarcimento anche per gli anni precedenti. Sono migliaia i supplenti che stanno aderendo al ricorso
L’abilitazione all’insegnamento acquisita in altri Paesi, se risponde a determinati requisiti formativi, ha il medesimo valore del titolo conseguito in Italia ed è quindi adeguata per esercitare la professione di insegnante: lo ha stabilito la settima sezione del Consiglio di Stato, ricordando che “le Autorità nazionali sono tenute a valutare il diploma prodotto dalla parte istante”: è stato quindi annullato l’atto con cui nel 2019 il ministero dell’Istruzione aveva rifiutato il riconoscimento dell’abilitazione conseguita in Bulgaria da un insegnante italiano.
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